CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 settembre 2021, n. 26094
Tributi – Accertamenti bancari – Instaurazione del contraddittorio – Giustificazione delle movimentazioni bancarie – Accertamento a tavolino – Mancata redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni e mancata concessione del termine dilatorio – Irrilevanza
Fatti di causa
Considerato che: la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso avviso di accertamento relativo ad IRPEF, IVA e IRAP per l’anno d’imposta 2009 per mancata redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni e per mancata concessione del termine di 60 giorni prima dell’avviso di accertamento: l’accertamento trovava fondamento in una indagine finanziaria svolta su rapporti intrattenuti con alcuni istituti di credito, a seguito della quale l’Ufficio aveva chiesto al contribuente di giustificare sia i versamenti che i prelevamenti e il contribuente, aderendo all’invito, con due memorie documentava in parte le movimentazioni bancarie oggetto di verifica e a seguito della disamina di quanto prodotto dalla parte e dopo aver riscontrato l’avvenuta contabilizzazione di alcuni versamenti, l’Ufficio formalizzava la richiesta di ulteriori delucidazioni e di documentazione probatoria in ordine a una serie di anomalie riscontrate e la contribuente produceva ulteriori memorie e documentazione e a seguito di ciò l’Ufficio emanava l’avviso di accertamento;
la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate per mancata redazione del processo verbale di contestazione e per mancata concessione del termine di 60 giorni prima dell’avviso di accertamento previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 tra il processo verbale di contestazione e l’avviso di accertamento, termine che deve essere concesso qualunque sia l’attività di controllo posta in essere dall’Ufficio.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un unico motivo.
La parte contribuente si è costituita con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 in quanto si è trattato di accertamento a tavolino in costante contraddittorio con il contribuente e l’attività di controllo dell’Ufficio non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di contestazione.
Il motivo di impugnazione è fondato.
Secondo questa Corte infatti: il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo (Cass. n. 1497 del 2020);
le garanzie previste dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, sia pure accompagnati da contestuali indagini finanziarie avviate per via telematica e con consegna di ulteriore documentazione da parte dell’accertato, prescindono dal fatto che l’operazione abbia comportato contestazione di violazioni fiscali (Cass. n. 24626 del 2017): da questi primi due principi si ricava che l’accertamento dell’Ufficio non deve necessariamente in ogni caso concludersi con un processo verbale di contestazione; in tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale “vis expansiva” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass. n. 24793 del 2020; Cass. n. 8145 del 2021);
in tema di accertamento, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 non opera nell’ipotesi di accertamenti cd. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (Cass. n. 27420 del 2018; Cass. n. 8145 del 2021);
in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, st.contr. deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (Cass. n. 15843 del 2020; Cass. n. 8145 del 2021);
in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, sia per i tributi non armonizzati che per i tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna – come in Italia – non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio (Cass. n. 701 del 2019);
in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della U.E., pur costituendo un diritto fondamentale del contribuente e principio fondamentale dell’ordinamento europeo, in quanto espressione del diritto di difesa e finalizzato a consentire al contribuente di manifestare preventivamente il suo punto di vista in ordine agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la propria decisione, non è assunto dalla giurisprudenza della CGUE in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, a obiettivi di interesse generale, sicché, nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, anche testimoniali, svolta dall’Amministrazione fiscale (Cass. n. 14628 del 2020).
La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – dopo aver riferito che l’accertamento trovava fondamento in una indagine finanziaria svolta su rapporti intrattenuti con alcuni istituti di credito, a seguito della quale l’Ufficio aveva chiesto al contribuente di giustificare sia i versamenti che i prelevamenti e il contribuente, aderendo all’invito, con due memorie documentava in parte le movimentazioni bancarie oggetto di verifica e a seguito della disamina di quanto prodotto dalla parte e dopo aver riscontrato l’avvenuta contabilizzazione di alcuni versamenti, l’Ufficio formalizzava la richiesta di ulteriori delucidazioni e di documentazione probatoria in ordine a una serie di anomalie riscontrate e la contribuente produceva ulteriori memorie e documentazione e a seguito di ciò l’Ufficio emanava l’avviso di accertamento; conseguentemente respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate per mancata redazione del processo verbale di contestazione e per mancata concessione del termine di 60 giorni prima dell’avviso di accertamento previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 tra il processo verbale di contestazione e l’avviso di accertamento, ritenendo che tale termine debba essere concesso qualunque sia l’attività di controllo posta in essere dall’Ufficio – per un verso ha ritenuto che non vi sia differenza tra accertamento a tavolino e accertamenti compiuti presso il contribuente quanto a garanzie per il contribuente (che invece sono maggiori in quest’ultimo caso), per un altro verso non ha distinto tra imposte dirette che costituiscono tributi non armonizzati e che non sempre necessitano del contraddittorio e l’iva che invece, essendo tributo armonizzato, richiede il contraddittorio sempre che il contribuente sia in grado di addurre dei reali argomenti da farvi valere, e per un altro verso ancora ha ritenuto che fosse necessario emanare un processo verbale di contestazione pur trattandosi di accertamento a tavolino e ancora ulteriormente per un altro verso non si è posta il problema della configurabilità del contraddittorio nello scambio di richieste memorie e informazioni intercorse tra l’Ufficio e la parte contribuente tra l’inizio da parte dell’Ufficio delle indagini volte ad accertare una eventuale violazione delle norme fiscali da parte del contribuente e l’avviso di accertamento.
Deve infine considerarsi da un lato che l’attività di accertamento e di indagine dell’amministrazione finanziaria, specie se svoltasi fuori dai locali della parte contribuente, non deve necessariamente concludersi con un processo verbale di contestazione e dall’altro lato che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. n. 26419 del 2020):
nella specie la Commissione Tributaria Regionale non ha illustrato in quale pregiudizio concretamente ed effettivamente si sarebbe esplicata la compromissione del diritto di difesa della parte contribuente in virtù dell’assenza del contraddittorio.
Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21712 depositata l'8 luglio 2022 - La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 novembre 2019, n. 31339 - Il ricorso in cassazione è inammissibile poiché la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 01 aprile 2022, n. 10660 - Le norme processuali hanno natura servente, sicché la deduzione dei vizi derivanti dalla loro inosservanza (i cd. vizi formali) non serve a tutelare l'astratta regolarità dell'attività…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 23290 depositata il 26 luglio 2022 - Nel processo tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma dell'impugnazione dell'atto fiscale, l'indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 28080 depositata il 27 settembre 2022 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, qualora il processo verbale di costatazione, pur regolarmente notificato al contribuente, non abbia…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 17068 depositata il 14 giugno 2023 - Lo strumento della tutela giudiziaria è utilizzabile solo nel caso in cui il contribuente ravvisi degli errori in fase di liquidazione del tributo da parte dell'amministrazione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…