CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 settembre 2022, n. 28090

Lavoro – Prestazione proseguita dopo il pensionamento – Accertamento ispettivo – Cartella esattoriale – Opposizione – Art. 25, D.lgs n. 46/1999 – Inapplicabilità

Considerato che

1. la Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello della società ricorrente e confermato la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva respinto il ricorso in opposizione a cartella esattoriale per il pagamento di Euro 1.003,01, a titolo di premi, sanzioni e interessi richiesti dall’INAIL;

2. per quanto qui solo rileva, la Corte di appello ha giudicato inammissibile, prima ancora che infondata, l’eccezione di decadenza dal potere di iscrivere a ruolo il credito, ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs nr 46 del 1999; l’eccezione, infatti, era stata formulata per la prima volta in appello, come si ricavava dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio e della sentenza, in cui il vizio sollevato ineriva non alla tardiva iscrizione a ruolo del credito da parte dell’istituto appellato bensì alla tardiva notificazione del verbale di contestazione, ai sensi dell’art. 14, comma 2, della legge nr. 689 del 1981;

3. la Corte territoriale escludeva, poi, una violazione dell’art. 418 cod.proc.civ.; a tale riguardo, osservava come l’INAIL non avesse proposto alcuna domanda riconvenzionale (che richiedesse il differimento dell’udienza di discussione);l’ente, infatti, si era limitato a chiedere la conferma della propria pretesa, cioè l’esistenza del credito posto in esazione, articolando le relative richieste istruttorie;

4. nel merito, osservava, invece, come la controversia traesse origine da un accertamento ispettivo, nel corso del quale gli ispettori avevano trovato, intento a lavorare, un pasticciere, già dipendente della società fino al pensionamento del 31 dicembre 2002; per la Corte di appello, la prestazione lavorativa era proseguita secondo lo schema negoziale della subordinazione. In tal senso, orientavano tutte le risultanze istruttorie e, anche, le dichiarazioni rese dal lavoratore, in sede ispettiva, molto più precise e dunque maggiormente attendibili di quelle, di diverso tenore, rese in sede giudiziaria, anche contraddittorie;

5. avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, la società in epigrafe con cinque motivi, cui ha resistito l’INAIL con controricorso; E.S.R. S.P.A è rimasta intimata;

6. entrambe le parti costituite hanno depositato memoria;

Rilevato che

7. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. in relazione agli artt. 24 e 25 D.Igs nr. 46 del 1999, per avere la Corte di merito, quanto all’eccezione di decadenza dal potere di iscrizione a ruolo del credito da parte dell’INAIL, ritenuto che la stessa, prima ancora che infondata, fosse inammissibile perché tardivamente proposta, per la prima volta, in appello. Secondo la ricorrente, trattandosi di questione rilevabile anche d’ufficio, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in errore di diritto;

8. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione degli artt. 24 e 25 D.lgs nr. 46 del 1999, per non avere la pronuncia d’appello considerato che il verbale ispettivo era del luglio 2005 e risultava notificato il 19 dicembre 2006 mentre il ruolo era reso esecutivo nel 2008;

9. i due motivi possono congiuntamente esaminarsi e respingersi in base all’assorbente considerazione che la previsione dell’art. 25 cit., come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, non è applicabile alla fattispecie di causa, in ragione dei dati fattuali sopra riportati;

10. in base alle argomentazioni di Cass. nr. 5963 del 2018 (seguita da Cass. nr. 27726 del 2019; Cass. nr. 14368 del 2020; Cass. nr. 19157 del 2021), infatti, per effetto degli interventi normativi succedutisi nel tempo, la regola della decadenza è slittata al 10 gennaio 2012; in particolare, l’efficacia della previsione di cui all’art. 25, d.lgs. n.46/1999, già differita, rispetto all’entrata in vigore dell’intero procedimento di riscossione, dalla disposizione transitoria contenuta nell’art. 36, comma 6, del medesimo decreto legislativo e poi più volte ulteriormente differita dall’art. 38, comma 8, l. n. 289/2002, e dall’art. 4, comma 25, l. n. 350/2003, sino a prevederne l’applicazione dal 10 gennaio 2004, è stata ulteriormente oggetto di disciplina da parte dell’art. 38, comma 12, d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), che «stabilendo che le disposizioni contenute nell’art. 25, d.lgs. n 46/1999, non si applicano, limitatamente al periodo compreso tra l’1.1.2010 e il 31.12.2012, ai contributi non versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1°.1.2004 dall’ente creditore, si è posto in chiave di raccordo temporale con le precedenti proroghe, di talché, utilizzando il meccanismo della sospensione di efficacia per un triennio dell’applicazione della regola della decadenza, ha consentito il recupero coattivo di crediti non compresi nelle proroghe operative sino alla data suddetta, incidendo anche sulle decadenze già verificatesi nell’arco temporale compreso tra il 1°.1.2004 ed il 1°.1.2010» (così Cass. nn. 5963 del 2018 e 27726 del 2019 cit. e succ. conf.).

Si è, peraltro, escluso che tale disciplina possa essere sospettata di illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 111 Cost. e 6 CEDU (Cass. nr. 22663 del 2018);

11. con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione dell’art. 418 cod.proc.civ., avendo l’INAIL spiegato domanda riconvenzionale di accertamento del rapporto di lavoro subordinato e del credito; per la ricorrente, era necessario che l’Ente formulasse istanza di differimento dell’udienza, invece non richiesta;

12. il motivo è inammissibile;

13. la sentenza impugnata ha chiarito come l’INAIL non avesse proposto alcuna domanda riconvenzionale (v. pag. 5) ma solo richiesto la conferma delle proprie pretese; per la Corte di appello, in definitiva, la difesa dell’ente convenuto non aveva determinato alcun ampliamento del thema decidendum rispetto a quello introdotto dalla ricorrente; coerentemente, ha escluso la violazione dell’art. 418 cod.proc.civ.;

14. parte ricorrente argomenta il motivo senza confrontarsi minimamente con il decisum, così prospettando censure che restano prive di riferibilità alla sentenza impugnata;

15. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che «la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma 1, nr. 4 cod.proc.civ.» (ex plurimis, Cass. nr. 20652 del 2009; nr. 17125 del 2007; in motivazione, tra le tante, Cass. nr. 9384 del 2017).

16. con il quarto motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 cod.civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la sentenza impugnata tenuto in debita considerazione le dichiarazioni del lavoratore M., sottoscritte dal legale ed inviate all’ispettorato del lavoro in fase preprocessuale e poi successivamente confermate in sede di testimonianza giudiziale;

17. il motivo è inammissibile;

18. le censure, anche quelle sub specie di violazione di legge, investono il ragionamento decisorio e schermano vizi di motivazione, non riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 360 nr. 5 cod. proc.civ., come costantemente interpretato in questa sede (v. Cass., sez. un., nn 8053 e 8054 del 2014 e numerose successive conformi);

19. le dichiarazioni rese in giudizio dal teste M. sono state prese in considerazione dalla Corte di appello; tuttavia, i giudici, nell’esercizio del potere di libero apprezzamento e di selezione degli elementi di prova, hanno ritenuto maggiormente attendibili le dichiarazioni effettuate, dal medesimo lavoratore, nell’immediatezza dei fatti e cioè in sede di controllo ispettivo (v., in motiv., ex plurimis, Cass. nr. 20019 del 2018, in relazione al valore delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di controlli ispettivi);

20. è principio costante quello per cui «spetta al giudice dì merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata» (ex multis, tra le più recente, v., in motiv., Cass. nr. 22935 del 2020);

21. con il quinto motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione dell’art. 2909 cod.civ. con riferimento alla sentenza della Corte di appello di Milano nr. 1243 del 2015 pubblicata il 28/6/2016, intervenuta tra la società ricorrente e l’INPS;

22. anche il quinto motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;

23. a prescindere dai «limiti» di efficacia del giudicato, nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale (per una compiuta ricostruzione della questione, v. in motivazione, Cass. nr. 8101 del 2020), le censure difettano di specificità;

24. va osservato come la giurisprudenza di questa Corte, da tempo, abbia posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena e il principio della necessaria specificità del ricorso. Il motivo fondato su un giudicato esterno deve essere articolato con modalità conformi alle prescrizioni di cui all’art. 366, comma 1, nr. 6 cod.proc.civ. (Cass. nr. 21560 del 2011; in ultimo, in motiv. v., ex plurimis, Cass. nr. 11321 del 2022) tanto sotto il profilo della riproduzione del testo integrale della sentenza passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (Cass. nr. 2617 del 2015), tanto sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed esaminabile nel giudizio di legittimità;

25. nella fattispecie, l’articolazione del motivo non è conforme alla prescrizione di integrale trascrizione della sentenza passata in giudicato non potendosi ritenere il relativo onere comunque assolto dalla riproposizione, solo parziale, di alcuni brani della sentenza della Corte di appello di Milano nr. 1243 del 2015, inadeguati a consentire la completa cognizione, nella loro concatenazione fattuale e giuridica, delle ragioni poste alla base del decisum;

26. sulla base delle esposte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato;

27. le spese seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dell’INAIL, come da dispositivo; nulla deve provvedersi nei confronti di E.S.R. S.P.A, rimasta intimata;

28. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore dell’INAIL, in Euro 1.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.