CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 agosto 2018, n. 21262
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Assenza per malattia – Inidonea attività lavorativa imposta
Rilevato
che con sentenza in data 5 maggio 2016, la Corte d’appello di Brescia rigettava il reclamo proposto da M.L.C. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’inefficacia dell’impugnazione del licenziamento intimatole il 27 maggio 2014, del quale lo stesso Tribunale aveva accertato, con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49 I. 92/2012, la legittimità per superamento del periodo di comporto, per decadenza dall’impugnazione a norma del novellato testo dell’art. 6, primo comma I. 604/1966 e dell’art. 410, secondo comma c.p.c.: esclusa dalla Corte territoriale, che invece ribadiva nel merito la legittimità del licenziamento per superamento dei periodo di comporto;
che avverso tale sentenza la lavoratrice ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resisteva la società datrice con controricorso, contenente ricorso incidentale.
condizionato con unico motivo, cui la prima replicava con controricorso;
Considerato
che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per erroneo assunto di mancata propria contestazione della programmazione da tempo del (terzo) intervento chirurgico alla caviglia del 14 maggio 2014, resosi invece necessario in conseguenza dell’adibizione datoriale, al suo rientro al lavoro dopo la frattura alla caviglia (e ben due interventi chirurgici) il 24 gennaio 2014, a mansioni di archivista che, come fatto presente, non avrebbe potuto svolgere costringendola a restare a lungo in piedi; e tale impossibilità avendo la società datrice ammesso nella memoria di costituzione nella fase sommaria del giudizio di primo grado, senza pertanto alcun onere proprio di contestare una circostanza a sé favorevole (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: quale l’ammissione dalla società datrice (a pgg. 12 e 39 della propria memoria 14 maggio 2015) della dipendenza causale dell’intervento chirurgico del 14 maggio 2014 dalle mansioni inidonee assegnate alla lavoratrice reduce da malattia, avendone riconosciuto l’impossibilità a rimanere a lungo in posizione eretta; e quale la specifica contestazione, nel proprio atto di opposizione (ai p.ti da 38 a 41 di pgg. 6 e 7), delle deduzioni datoriali in ordine alle cause della propria assenza per malattia (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per erronea esclusione dalla Corte datoriale di offerta dalla lavoratrice di elementi dimostrativi della dipendenza della propria assenza per malattia dal 14 maggio 2014 dall’inidonea attività lavorativa impostale dalla datrice, avendo pure, al di là delle già illustrate ammissioni di controparte, dedotto puntuali prove orali al riguardo e richiesto idoneo accertamento tramite C.t.u. medico-legale: istanze tuttavia disattese (terzo motivo); omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, quali il contenuto degli atti difensivi già citati al secondo motivo e le istanze istruttorie oggetto del terzo, nell’irrilevanza di una mancanza di certificati medici per il periodo da gennaio a maggio 2014, in quanto la lavoratrice non risultante malata, ma regolarmente al lavoro (quarto motivo);
che a propria volta la società controricorrente deduce, in via di ricorso incidentale condizionato, violazione e falsa applicazione degli artt. 410 c.p.c., 6 l. 604/1966 anche in relazione all’art. 12 disp. prel. c.c., per la decadenza della lavoratrice dall’impugnazione del licenziamento, per il deposito del ricorso oltre i 180 giorni previsti dalla seconda norma denunciata, computato anche il termine di sospensione stabilito dalla prima norma, nell’inapplicabilità (in via analogica, non consentita per la natura eccezionale della disposizione) della previsione dell’art. 6, secondo comma, ult. parte I. 604/1966, di decadenza dal deposito del ricorso “entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo” , nel caso in cui “la conciliazione o l’arbitrato siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento” (unico motivo);
che il collegio ritiene che tutti i motivi del ricorso principale, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, siano inammissibili;
che non sussistono le violazioni di legge denunciate, da dedurre, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass, 15 gennaio 2015, n. 635);
che in particolare, non si configura violazione del precetto dell’art. 2697 c.c., ricorrente soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);
che parimenti inconferente è la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., non potendo essere invocata per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000);
che le censure consistono nel loro complesso, in una contestazione, in funzione di una diversa ricostruzione del fatto, del suo concreto accertamento e della valutazione probatoria compiuti dalla Corte territoriale e sorretti da un ragionamento argomentativo corretto (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 10 all’ultimo di pg. 12 della sentenza), nella sottesa ma evidente sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più per il rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);
che a quest’ultimo riguardo deve essere escluso l’omesso esame di un fatto, pure equivocamente individuato tra l’ammissione dalla società datrice della dipendenza causale dell’intervento chirurgico del 14 maggio 2014 dalle mansioni inidonee assegnate alla lavoratrice e il riconoscimento della sua impossibilità a rimanere a lungo in posizione eretta (peraltro smentite dalla trascrizione della memoria difensiva della società datrice a pgg. da 24 a 27 del controricorso; assente invece nel ricorso, con evidente difetto di specificità, in violazione della prescrizione a pena di inammissibilità dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo dell’inosservanza del principio di autosufficienza: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48): posto che la Corte territoriale ha esaminato i fatti, avendone dato una valutazione (argomentata con le ragioni suindicate) insindacabile in sede di legittimità;
che dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso principale, con assorbimento dell’incidentale condizionato e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna M.L.C. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00, per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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