CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 aprile 2021, n. 11165
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Litisconsorzio processuale necessario – Cause scindibili – Mancata integrazione del contrddittorio – Nullità del procedimento – Esclusione
Rilevato che
1. C.B. impugnò innanzi alla C.T.P. di Foggia la cartella di pagamento, per I.R.P.E.F. 2002-2003, emessa dall’A.F. dopo che da un controllo automatizzato ex art. 36-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, era emerso che la contribuente non aveva versato l’imposta, applicata separatamente (c.d. tassazione separata), per le plusvalenze realizzate con la cessione di cinque aziende; oltre ad alcuni vizi formali della cartella, eccepì la nullità della sanzione pecuniaria irrogata, trattandosi di quella prevista dall’art. 1, comma 412, della legge n. 311 del 2004, quale disposizione non ancora in vigore all’epoca della liquidazione dell’imposta; sostenne infine che neppure vi era certezza che ella avesse incassato le somme assoggettate a tassazione, come comprovato dalla pendenza di un procedimento penale volto ad accertare proprio tale aspetto controverso;
2. la C.T.P. accolse il ricorso, con sentenza (n. 123/7/11) riformata dalla C.T.R. della Puglia (sezione staccata di Foggia), la quale, con la sentenza menzionata in epigrafe, ha accolto l’appello dell’ufficio, rilevando: innanzitutto, che l’A.F. aveva applicato le sanzioni previste dall’art. 19 [recte: 13 ], del d.lgs. n. 471 del 1997, in vigore dal 1° gennaio 1998, secondo cui, in caso di mancato pagamento dopo l’avviso bonario, si applica una sanzione del 30% delle somme non versate; in punto di asserito mancato incasso delle somme assoggettata a tributo, che l’Amministrazione aveva liquidato le imposte, ai sensi dell’art. 36- bis, cit., sulla base della dichiarazione della contribuente; che, in ultima analisi, l’esistenza di una notizia di reato al vaglio del Pubblico ministero circa la percezione o meno delle somme era un fatto irrilevante, in assenza persino di una decisione di primo grado che attestasse la mancata ricezione degli importi risultanti dalla dichiarazione dei redditi;
3. la contribuente ricorre con tre motivi, illustrati con una memoria, e l’Agenzia resiste con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso [«1) Nullità del procedimento e della sentenza in relazione all’art. 53 e all’art. 14 del d.lgs. n. 546/1992, nonché all’art. 331 c.p.c., ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.»], la ricorrente denuncia la nullità della sentenza in quanto il processo d’appello si era svolto senza che l’Agenzia avesse notificato l’atto di appello al concessionario della riscossione (Foggia Riscossioni S.p.a.), quale litisconsorte processuale necessario, che aveva partecipato al giudizio di primo grado poiché, con il ricorso introduttivo, erano stati eccepiti (anche) vizi propri della cartella, ascrivibili all’Agente della riscossione;
1.1. il motivo non è fondato;
la giurisprudenza di legittimità (Cass. 08/11/2017, n. 26433) ha affermato che «L’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331c.p.c.), nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado. Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.»;
nella specie, la C.T.R., laddove ha omesso di ordinare la chiamata in causa di Foggia Riscossioni S.p.a., non ha commesso alcun error in procedendo. Infatti, la contribuente aveva impugnato la cartella per vizi di forma e per l’infondatezza della pretesa impositiva, ed era risultata totalmente vittoriosa in primo grado in quanto, come si legge nella sentenza d’appello (pag. 2) «La Commissione [n.d.r.: provinciale] accoglieva il ricorso ritenendo corretta la cartella esattoriale opposta sul piano formale, mentre riteneva la stessa illegittima circa l’applicazione della sanzione prevista da una legge successiva alla sua infrazione». Dato che la parte privata (vittoriosa in primo grado) non aveva interposto appello contro il capo di sentenza della Commissione provinciale a sé sfavorevole, e trattandosi di cause scindibili, nel senso che il rapporto processuale tra la contribuente e l’ufficio era distinto ed autonomo rispetto al rapporto processuale tra la parte privata e il concessionario della riscossione, non era affatto necessario che l’A.F. (unica parte soccombente in primo grado) integrasse il contraddittorio, nel giudizio d’appello, anche nei confronti del concessionario della riscossione, verso la quale ovviamente non avanzava alcuna pretesa;
2. con il secondo motivo [«2) Violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere violato il principio di non contestazione (art. 115, cit.) e quello sulla fede privilegiata dell’atto pubblico, non avendo considerato che tra gli atti di causa vi era un’informativa della Guardia di Finanza, diretta alla Procura della Repubblica di Foggia, non contestata dall’A.F., che attestava inequivocabilmente che la contribuente non aveva ricevuto le somme successivamente riprese a tassazione dal Fisco;
2.1. il motivo non è fondato;
è ius receptum, recentemente riaffermato dalle Sezioni unite (Cass. sez. U. 30/09/2020, n. 20867), che «In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.»;
nella specie, diversamente da quanto prospetta la ricorrente, la Commissione regionale non ha violato l’art. 115, cod. proc. civ.; infatti, all’esito del libero apprezzamento delle risultanze probatorie, la C.T.R. ha negato che la parte privata avesse dimostrato di non avere percepito i redditi dichiarati, soggetti a tassazione separata, dopo avere (implicitamente) escluso che tale profilo fattuale fosse estraneo al thema probandum, quale aspetto non contestato dall’Agenzia;
3. con il terzo motivo [«3) Falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, in relazione all’art. 1, commi 412/572, della legge n. 311/2004 e all’art. 3 della legge n. 212/2000, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto corretta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13, del d.lgs. n. 471 del 1997 (in vigore dal 1 gennaio 1998) che prevede che, in caso di mancato pagamento dopo l’avviso bonario, si applichi una sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, trascurando che tale norma non si attaglia al caso di specie, in quanto essa è stata “estesa” ai redditi soggetti a tassazione separata (come quello oggetto del giudizio) dalla legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 412), entrata in vigore il 1 gennaio 2005 (come risulta dal successivo comma 572), e, quindi, per il principio d’irretroattività delle disposizioni tributarie (art. 3, dello Statuto dei diritti del contribuente) non si riferisce ai redditi, tassati a mezzo dell’impugnata cartella, relativi a periodi d’imposta pregressi (segnatamente: il 2002 e il 2003);
3.1. il motivo non è fondato;
la sentenza impugnata, senza incorrere nel prospettato errore di diritto, ha rilevato la legittimità della sanzione applicata (pari al trenta per cento di ogni importo non versato), in conseguenza del mancato pagamento dell’imposta sui redditi del 2002 e del 2003 soggetti a tassazione separata, successivamente alla ricezione dell’avviso bonario, secondo quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997, in vigore dall’anno seguente;
nemmeno vi è stata l’indebita estensione ai redditi soggetti a tassazione separata di tale sanzione, secondo quanto adombra la ricorrente. In vero, l’art. 1, comma 412, della legge 31 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), senza violare il divieto d’irretroattività delle disposizioni tributarie, sancito dall’art. 3, legge 27 luglio 2000, n. 212, ha previsto, in esecuzione dell’articolo 6, comma 5, di tale legge, l’invio della comunicazione degli esiti della liquidazione effettuata ai sensi dell’articolo 36-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata percepiti a decorrere dall’anno 2001.
Inoltre, la stessa disposizione ha previsto, in caso di mancato pagamento entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, l’iscrizione a ruolo della somma dovuta con l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (pari al 30% dell’imposta e degli interessi);
4. le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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