CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 dicembre 2018, n. 33637
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cessione fabbricati – Plusvalenze
Fatti di causa
A.D.N. impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF ed IVA, per l’anno d’imposta 2003, sull’assunto di plusvalenze tratte dalla cessione di taluni fabbricati e di maggiori compensi professionali percepiti e non dichiarati.
Respinta integralmente l’impugnazione in primo grado, A.D.N. propose appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, che, con sentenza depositata il giorno 22 settembre 2011, lo accolse parzialmente, annullando sia la ripresa a tassazione relativa ai redditi da capitale, sia quella fondata sui maggiori compensi non dichiarati, ancorché solo con riferimento alle somme corrispondenti ai prelevamenti bancari annotati.
Il medesimo contribuente impugnò poi altro avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF, sempre per l’anno d’imposta 2003, fondati sulle ulteriori plusvalenze che sarebbero state ricavate dalla medesima cessione dei detti fabbricati.
Accolta l’impugnazione in primo grado, l’Agenzia delle Entrate propose appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, che, con sentenza depositata il giorno 8 luglio 2014, lo dichiarò inammissibile per omessa impugnazione di tutte le ragioni della decisione e, comunque, infondato nel merito.
Avverso la prima sentenza del giudice di secondo grado A.D.N. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico mezzo; avverso la seconda sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale A.D.N. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, avuto riguardo alla palese connessione oggettiva e soggettiva esistente tra i ricorsi in esame, ne va disposta senz’altro la riunione.
2. Con l’unico motivo del ricorso principale proposto da A.D.N., si deduce la violazione dell’art. 42, commi 2 e 3, del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, dell’art. 7, comma 1, legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in quanto la commissione tributaria regionale non ha colto l’illegittimità dell’avviso impugnato per difetto di chiarezza della sua motivazione, la quale prendeva le mosse dall’assunto che fossero state poste in essere operazioni elusive, ma poi aveva ancorato formalmente l’accertamento sull’esistenza di operazioni di mera evasione, né ha considerato che anche i versamenti bancari sul conto corrente del contribuente erano stati tutti compiutamente giustificati.
2.1. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
Per un verso, invero, la doglianza si mostra inammissibile, in quanto il motivo in esame omette di trascrivere l’avviso di accertamento impugnato, difettando così della necessaria specificità, ex art. 366 c.p.c., che consente alla Corte di coglierne la rilevanza.
Per altro verso, il mezzo difetta del necessario interesse all’accoglimento, considerato che nella parte in cui si duole del mancato accoglimento dell’eccezione riferita al vizio di motivazione dell’atto impugnato, omette di considerare che la commissione tributaria regionale ha integralmente accolto – per altre ragioni – il motivo di appello teso a fare valere l’illegittimità di quella parte dell’avviso impugnato, che si riferiva alle plusvalenze derivanti da redditi da capitale non dichiarati sulla quale si appuntano le rimostranze del D.N..
Per altro verso ancora, tutte le ulteriori censure formulate nella restante parte del motivo in esame, concernenti la riconducibilità a maggiori redditi dei versamenti di denaro effettuati sul conto corrente del contribuente, appaiono chiaramente tese a sollecitare alla Corte una inammissibile rivalutazione degli accertamenti in fatto operati dal giudice di merito, cui resta sottratto il giudizio di legittimità.
Né il ricorrente ha inteso individuare i “fatti” storici, decisivi ai fini della decisione, in relazioni ai quali la motivazione della commissione tributaria regionale risulti effettivamente carente o contraddittoria, laddove giunge alla conclusione che tutti i versamenti confluiti sul suo conto costituissero il frutto di compensi professionali non dichiarati, meritevoli quindi di essere assoggettati a tassazione.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale proposto da Agenzia delle Entrate, si lamenta vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., poiché il giudice di merito, da un lato, ha riconosciuto che le somme rinvenute sul conto corrente personale del D.N. costituivano il prezzo della cessione di taluni immobili appartenenti alla società di cui quest’ultimo era amministratore e, dall’altro, ha negato che nella fattispecie potesse trovare applicazione l’art. 37, comma 3, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.
3.1. Il motivo è fondato, dovendosi peraltro evidenziare come, sia pure invocando nella rubrica del motivo in esame un vizio di motivazione, la ricorrente incidentale denuncia in realtà in questa sede una falsa applicazione del cennato art. 37 del d.p.r. n. 600 del 1973, norma che – com’è noto – imputa al contribuente i redditi formalmente intestati ad un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare.
Orbene, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’applicazione della norma in parola non resta limitata alle sole operazioni simulate, ma è consentita anche in presenza di atti negoziali veri, purché sia stata raggiunta la prova che i redditi oggetto di ripresa a tassazione siano riconducibili alla sfera giuridica del contribuente (Cass. 30/10/2018, n. 27625; Cass. 29/07/2016, n. 15830; Cass. 15/11/2013, n. 25671; Cass. 10/06/2011, n. 12788).
3.2. Nella vicenda che ci occupa, invece, la commissione tributaria regionale ha ritenuto che il reddito da capitale tratto dalla vendita di taluni immobili appartenenti a società di capitali di cui il D.N. era socio di maggioranza, non potesse essere ricondotto al predetto, ai sensi della richiamata disciplina, solo perché il negozio di trasferimento dei detti immobili doveva ritenersi effettivamente voluto dalle parti, non essendo stata raggiunta alcuna prova di una interposizione fittizia tra le società venditrici e il contribuente.
In realtà, come osservato in precedenza, al fine di imputare il reddito derivante dall’esecuzione di una determinata operazione economica ad un soggetto diverso da quello risultante dall’atto negoziale, è sufficiente che lo stesso sia individuato quale «effettivo possessore» del reddito, id est quale beneficiario ultimo delle utilità economiche nascenti dal medesimo atto, ancorché non si tratti di negozio simulato in via assoluta o relativa (anche nella nota forma soggettiva dell’interposizione personale), bensì di un atto effettivamente voluto dalle parti che hanno partecipato al rogito.
È chiaro, allora, che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare l’esistenza o meno di presunzioni gravi precise e concordanti in ordine al fatto che le somme confluite sul conto corrente del D.N., nella stessa giornata in cui venne perfezionata la vendita degli immobili e di importo pari esattamente al prezzo corrisposto dall’acquirente, potessero costituire o meno reddito da capitale derivante dal ridetto atto di trasferimento e, quindi, assoggettabile ad imposizione fiscale; e tale accertamento spettava comunque alla commissione tributaria, a prescindere dalla esatta qualificazione dell’operazione negoziale posta in essere come di interposizione reale e non fittizia.
4. Con il primo motivo del ricorso principale avanzato dall’Agenzia delle Entrate, si deduce la violazione dell’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto il giudice di merito ha ritenuto inammissibile l’appello, per mancata impugnazione di una delle ragioni della decisione, nonostante dalla lettura del ricorso emergesse, sia pure in maniera sommaria, una censura complessivamente estesa all’intera motivazione resa dalla sentenza di primo grado.
4.1. Il motivo è fondato.
È vero che secondo l’orientamento granitico di questa Corte, ove la sentenza risulti sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 27/07/2017, n. 18641; Cass. 11/02/2011, n. 3386; Cass. 20/11/2009, n. 24540).
Nella vicenda all’esame è poi incontroverso che l’avviso impugnato venne annullato in primo grado dalla commissione tributaria provinciale, in accoglimento del motivo di ricorso proposto dal D.N., fondato sulla denunciata violazione dell’art. 43, comma 3, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600; disposizione che, com’è noto, nel caso di nuovi avvisi di accertamento che facciano seguito a precedenti altri atti impositivi concernenti la medesima vicenda, fondati sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, impone all’Ufficio di indicare specificatamente nel medesimo avviso detti nuovi elementi, a pena di nullità dell’avviso stesso.
4.2. Tuttavia, dalla mera lettura del ricorso in appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – come compiutamente trascritto nel motivo in esame -, emerge chiaramente che l’appellante intese censurare anche la descritta ratio decidendi, assumendo l’esistenza di nuovi elementi di fatto – riconducibili alla scoperta che la società acquirente degli immobili avesse trattenuto una parte del prezzo effettivamente pattuito per la vendita, quale corrispettivo per il c.d. “maxicanone” locativo dovuto dalle società locatrici dei medesimi beni -, ovviamente compiutamente esposti dall’Ufficio nell’avviso impugnato ed idonei, come tali, a giustificare l’emissione del nuovo avviso, esattamente in ossequio al ridetto art. 43, comma 3, del d. p.r. n. 600 del 1973.
5. Con il secondo motivo del ricorso principale lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., poiché la commissione tributaria regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, invocando l’autorità di una sentenza resa da altra commissione tributaria regionale – la quale aveva annullato la pretesa impositiva dell’Ufficio -, non ancora divenuta cosa giudicata poiché tempestivamente impugnata in cassazione dalla medesima appellante.
5.1. Il motivo è manifestamente fondato.
La commissione tributaria regionale, per escludere la riferibilità al D.N. dei redditi provenienti dalla vendita degli immobili su cui si fonda l’avviso di accertamento impugnato, ha richiamato espressamente il precedente costituito dalla sentenza n. 861/10/2011 resa dalla medesima commissione tributaria e, peraltro, oggetto del ricorso per cassazioni qui riunito, id est una decisione ancora pacificamente sub iudice.
Così facendo il giudice di merito ha errato, ritenendo in sostanza di essere vincolato ad una statuizione che, come visto in precedenza, non era ancora divenuta cosa giudicata e che, anzi, all’esito dell’odierno processo risulta attinta da cassazione da parte di questa Corte.
6. In definitiva, respinto il ricorso principale ed accolto quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate iscritti al 06214/2012 R.G e il ricorso della medesima iscritto al n. 04232/2015 R.G., entrambe le sentenze impugnate devono andare cassate in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, per statuire anche sulle spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi iscritti al n. 06214/2012 R.G. e al n. 04232/2015 R.G., rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale iscritti al n. 06214/2012 R.G., accoglie il ricorso iscritto al n. 04232/2015 R.G.; cassa entrambe le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia i giudizi riuniti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese di legittimità.
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