CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5938
Tributi – IVA – Credito esposto in dichiarazione – Istanza di rimborso – Termine di decadenza ex art. 21 del D. Lgs. n. 546 del 1992 – Esclusione
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 249/15/2012 in data 11.4.2012 la Commissione Tributaria provinciale di Caserta accoglieva il ricorso presentato da C.M. contro il provvedimento di diniego, da parte della Agenzia delle Entrate, della richiesta, proposta dal contribuente in data 27.12.2007, di rimborso del credito IVA, pari ad euro 198.521,00, esposto nella dichiarazione IVA per l’anno 2004 ai quadri VL ed RX, in assenza di presentazione del modello VR.
La Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che il contribuente fosse decaduto dal diritto al rimborso avendo presentato la richiesta per la prima volta oltre il termine di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno 2004, ma la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta riteneva invece che non si applicasse nel caso in esame il termine biennale di decadenza ai sensi dell’art. 21 del D. Lgs. n. 546 del 1992 poiché la imposta versata in eccesso si consolidava con il decorso di due anni dalla presentazione della dichiarazione annuale in assenza di avviso di rettifica o accertamento da parte della Amministrazione Finanziaria ed era esigibile nei successivi tre mesi ai sensi dell’art. 38 del DPR n. 633 del 1972.
Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate, che aveva lamentato come non fosse sufficiente, al fine del diritto al rimborso, la semplice indicazione del credito all’interno della dichiarazione IVA, essendo necessaria la manifestazione della volontà di richiedere il rimborso mediante la compilazione del modello VR, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 346/52/2013, depositata il 4.12.2013, ha rigettato l’appello e compensato fra le parti le spese del grado ritenendo che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione, una volta manifestata con la dichiarazione IVA la volontà di recuperare il credito, il diritto al rimborso non fosse più assoggettabile al termine biennale di decadenza, bensì a quello ordinario di prescrizione decennale ai sensi dell’art. 2946 c.c., pur in assenza di una ulteriore domanda preordinata a dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso.
Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso la Agenzia delle Entrate con atto notificato il 23.4.2014 affidato ad un unico motivo.
L’intimato non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
Con un unico motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38 bis del DPR n. 633 del 1972, 21 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e 2946 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, rilevando che, anche in base all’orientamento della Corte Suprema, la richiesta di rimborso Iva, ai fini della esclusione del termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, del D. Lgs. n. 546/1996, deve essere inserita nella dichiarazione IVA, mediante compilazione del pertinente campo e quadro RX4 della dichiarazione annuale, che configura esercizio del diritto, pur se non formulata con modello VR, non essendo invece sufficiente – al contrario di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata – che in dichiarazione sia solo esposta l’eccedenza di IVA versata. E poiché nel caso in esame, sulla base delle dichiarazioni del contribuente inserite nel ricorso introduttivo, emergeva che lo stesso aveva soltanto indicato in dichiarazione una eccedenza di credito di euro 198.521,00 nel campo riferito al credito IVA da utilizzare in compensazione / detrazione ed in particolare nei quadri VL ed RX, la sentenza impugnata appariva emessa in violazione di legge laddove si era limitata a riportare il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza senza verificare se fosse o meno applicabile nel caso concreto.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza più recente, ma ormai consolidata, di questa Corte è nel senso che, in tema di IVA, l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendosi solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione. Ove il credito di imposta sia già desumibile dalle dichiarazioni del contribuente e non sia contestato dall’Amministrazione finanziaria, non è infatti necessaria una specifica istanza di rimborso, che costituisce solo il presupposto di esigibilità per l’avvio del relativo procedimento, per cui non trova applicazione il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma solo quello di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. atteso che l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (v. Cass. sez. 5 n. 4559 del 22/02/2017 Rv. 643105 — 01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20678 del 01/10/2014 Rv. 632503 — 01; Cass. 27 marzo 2013, n. 7706; 11 settembre 2012, n. 15229).
In questo quadro, nel cui ambito la presentazione dell’istanza di rimborso, come già affermato da questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 19115 del 28/09/2016 Rv. 641101 — 01; Cass. n. 7223 del 2016; nn. 4857 e 9941 del 2015; n. 20678 del 2014; nn. 7684, 14070; 15229 e 23580 del 2012; n. 13920 del 2011; n. 9794 del 2010), costituisce dunque solo un adempimento per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso, non è in conseguenza condivisibile quell’orientamento minoritario affacciatosi in questa Corte (Cass. 16 settembre 2011, n. 18920, citata dalla Agenzia delle Entrate nel giudizio di appello e di cui dà conto la sentenza della Commissione Tributaria regionale a pagina 3) il quale subordina il diritto al termine di decadenza biennale previsto, in via residuale, dall’art. 21 proc. trib., in quanto confonde il fatto costitutivo del diritto con il presupposto di esigibilità del credito, poiché la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello VR (che attiene alla specifica domanda di rimborso) costituisce, ai sensi del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso (“ex plurimis”, Cass. nn. 4592, 4857 e 9941 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011). Deve perciò ritenersi ormai definitivamente superato l’apparentemente diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività (come nel caso in esame), solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546, mentre si ritiene di dovere dare continuità alla rimeditazione di tali aspetti da parte di copiose, più recenti e ormai costanti pronunce di questa Corte, che nella dichiarazione annuale ravvisano l’esaustiva manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorché non accompagnata dalla presentazione dell’ulteriore “mod. VR” (in tal senso “adde”, a quelle già sopra citate, Cass. nn. 2005, 3742, 6486, 6986, 6987 e 8790 del 2014; nn. 8813 e 23755 del 2013; nn. 7684, 7685 e 15229 del 2012).
Al riguardo l’Agenzia delle Entrate, pur condividendo e richiamando parte della giurisprudenza sopra indicata, per cui non è necessaria, al fine di evitare la decadenza biennale, la presentazione del modello del modello VR in sede di dichiarazione dei redditi, con il ricorso sostiene che era però necessario, come ritenuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16.5.2012 n. 7684, la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro “RX4” che configura un formale esercizio del diritto al rimborso, mentre la Commissione Tributaria Regionale, pur affermando corretti principi di diritto, non ne aveva verificato l’applicabilità nel caso di specie posto che la parte contribuente “aveva semplicemente riportato in dichiarazione una eccedenza di credito …nel campo riferito al credito IVA da utilizzare in compensazione / detrazione” come si desumeva dalle dichiarazioni della stessa contenute nel ricorso laddove aveva affermato che “in data 27.12.2007, il sig. C. M. presentava istanza informale di rimborso IVA all’Agenzia delle Entrate — Ufficio di Caserta, prot. mod. 8 n. 60208, in qualità di titolare della ditta individuale omonomo di P. IVA….., cessata in data 30.6.2006, con la quale richiedeva il rimborso IVA risultante dall’Unico 2005, presentato per il periodo di imposta 2004; per un credito IVA pari ad euro 198.521,00 correttamente indicato nel quadri VL e RX della dichiarazione e non richiesto a rimborso con modello VR”.
Orbene, tale doglianza è frutto di un equivoco in cui è caduta la Agenzia delle Entrate, poiché, per un verso, dà per pacifico che il ricorrente avesse compilato i quadri VL ed RX della dichiarazione, ma per altro verso afferma che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto verificare se la indicazione effettuata dal contribuente fosse stata inserita nella parte della dichiarazione relativa alla richiesta di rimborso, che però, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, è proprio il rigo RX4, il quale, come risulta dalle istruzioni contenute nel sito Internet della Agenzia delle Entrate, corrisponde al rigo 4 (dedicato all’IVA, mentre i righi 1, 2 e 3 sono dedicati ad IRPEF, addizionale regionale ed addizionale comunale) della colonna 1 del quadro RX sezione prima, che deve essere compilato relativamente ai crediti ed alle eccedenze di versamento risultanti dalla dichiarazione con riguardo all’IVA. La compilazione del quadro RX relativamente all’IVA poteva perciò avvenire solo con riguardo al rigo RX4 e cioè proprio a quel rigo del quadro RX che avrebbe dovuto ed ha di fatto compilato il ricorrente nel caso in esame, come era pacifico in causa sulla base delle stesse deduzioni della Agenzia nel giudizio di merito, puntualmente riportate nella sentenza impugnata.
Il dibattito, nel giudizio di merito, come riportato nella sentenza impugnata, ma come anche riconosciuto dal ricorrente, si era infatti sviluppato soltanto con riguardo alla mancanza della compilazione del modello di rimborso VR, mentre era pacifico che il contribuente avesse compilato i quadri VL ed RX (quest’ultimo necessariamente nel rigo RX4 che riguardava l’IVA) della dichiarazione e di ciò da atto anche l’Agenzia delle Entrate a pagina 2 del ricorso, laddove riporta il contenuto del provvedimento di diniego di rimborso della Amministrazione nel quale, a motivazione del diniego, era “stato evidenziato che la somma richiesta era stata esposta nei quadri VL e RX della dichiarazione presentata per l’anno 2004, ma mai chiesta a rimborso con modello VR”. Non si comprende quindi quale altra verifica dovesse eseguire il giudice d’appello al fine di ritenere che i dati risultanti dalla dichiarazione contenessero già di per se, con la esposizione del credito, la domanda di rimborso o di restituzione dell’IVA in eccedenza. Tanto più che è del tutto pacifico che quel credito non è stato mai utilizzato in compensazione o in detrazione, per cui non si vede quale altra finalità potesse avere la sua esposizione.
Come già si è riferito, nella giurisprudenza di questa sezione tributaria, sono rinvenibili alcune più remote affermazioni, egualmente condivisibili in linea di principio e con le quali la presente conclusione va armonizzata, specificamente quelle per cui, in materia di Iva, soltanto una domanda di rimborso (dell’eccedenza detraibile) conforme al modello legale, ossia contenente tutti gli elementi necessari stabiliti dalla legge e indicati nell’apposito modello ministeriale (il citato mod. VR), corrisponde allo schema tipico di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art.30. Con la conseguenza che una domanda difforme, da un lato non è idonea a determinare il decorso degli interessi, sulla somma di cui sia riconosciuto il diritto al rimborso, dal novantesimo giorno successivo a quello di sua presentazione (v. Cass. n. 21053/2005 e n. 1935/1999); e dall’altro può rimanere assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art.21 (cfr. Cass. n. 18920/2011), dal momento che codesta norma opera anche al di là delle domande di restituzione di imposte versate in eccedenza sul dovuto (v. Cass. n. 27057/2008; n. 8461/2005; n. 16477/2004, e anche, esplicitamente su tale ultimo principio, la stessa Cass. n. 20039/2011).
Il punto di equilibrio, idoneo ad armonizzare le citate affermazioni e a spiegare in qual misura le stesse non sono in contrasto, trovasi nella considerazione – evidenziata dalla citata sentenza della Cass. n. 18920/2011 – che l’indicazione del credito nella dichiarazione Iva non implica, di per sè, la manifestazione di volontà di ottenimento del rimborso, dovendo al riguardo verificarsi se nella compilazione della dichiarazione annuale possa in concreto rinvenirsi l’esplicitazione di una tale volontà. Ciò però nel caso di specie è avvenuto considerato che lo stesso provvedimento di diniego del diritto al rimborso da parte della Amministrazione, così come trascritto dal ricorrente a pagina 2 del ricorso, aveva riconosciuto la corretta compilazione dei quadri VL ed RX ed aveva rigettato la domanda di rimborso solo per difetto di compilazione del modello VR in sede di dichiarazione.
Tanto basta per disattendere la tesi dell’Agenzia delle Entrate, giacché, nella fattispecie di cui si tratta, l’omessa compilazione (e contestuale presentazione) del mod. VR, se anche determinativa della irregolarità formale nel senso sopra detto, e impeditiva, quindi, di una corrispondente pretesa del contribuente a che il procedimento di esecuzione del rimborso potesse avere inizio, non ha avuto l’effetto di rendere la manifestazione di volontà giuridicamente irrilevante. E dunque, in seno a una esegesi sostanzialistica, non ha eliminato la connessa sua configurazione quale domanda di rimborso “fatta in sede di dichiarazione” ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 1.
E’ a tal fine opportuno ribadire che la disciplina del credito Iva, associata al corretto impiego della modulistica fiscale, presupponeva, nella annualità di imposta di cui si tratta, per i contribuenti che avessero presentato il modello unico, la compilazione del quadro RX siccome derivante dalla preventiva compilazione, a scopo liquidatorio, del quadro VL della dichiarazione Iva. Il quadro RX traeva cioè i dati dal ripetuto quadro VL della dichiarazione Iva, non dal modello VR. La funzione del mod. VR era (ed è) rapportata al fatto di doversi esplicitare il presupposto legittimante la domanda di rimborso secondo la serie tassativamente prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, in coerenza con la ratio di rendere più tempestive e meno onerose le successive verifiche dell’amministrazione finanziaria. E tuttavia il dato identificativo della differenza tra gli importi dell’Iva esposti a credito e quelli, viceversa, esposti a debito finiva in ogni caso con l’essere rappresentato da quanto riportato nel quadro VL della dichiarazione Iva, ovvero nel quadro RX.
In quest’ultimo modello, peraltro, il rigo RX4 conteneva, tra gli altri, proprio il riferimento al “credito di cui si chiede il rimborso”. E il relativo campo di esposizione si deve ritenere essere stato in effetti compilato, nel caso di specie, dal contribuente, in base alle stesse affermazioni dell’Agenzia delle Entrate, questa avendo ammesso, come detto, a pag. 2 dell’odierno ricorso, che il diniego di rimborso, pur riconoscendo che erano stati compilati i quadri VL ed RX della dichiarazione, era avvenuto soltanto perché il contribuente non aveva chiesto il rimborso con il modello VR.
Si può quindi in conclusione ribadire il seguente principio di diritto: “in tema di rimborsi dell’Iva, la compilazione del quadro RX del modello di dichiarazione unica, nel campo attinente al credito di cui si chiede il rimborso, è legittimamente considerata alla stregua di manifestazione di volontà di ottenere il rimborso; tale manifestazione di volontà identifica, invero, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, la domanda di rimborso fatta nella dichiarazione, e, ancorché non accompagnata dalla presentazione del mod. VR ai fini della determinazione dell’importo richiesto a rimborso nella dichiarazione Iva, sottrae la fattispecie al termine biennale di decadenza sancito, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21“.
L’impugnata sentenza si è conformata a tale principio di diritto, per cui il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere rigettato. Stante il rigetto del ricorso, in assenza di difesa della parte intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese.
Non sussistono i presupposti, pur se la impugnazione è respinta integralmente, per affermare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché tale obbligo non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v. ex multis Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 — 01)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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