CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2020, n. 5501
Tributi – IVA – Operazioni in sospensione d’imposta – Prova del plafond spettante – Assenza della documentazione giustificativa del titolo di non imponibilità e del possesso dello status di esportatore abituale – Assoggettamento operazioni al regime IVA ordinario
Rilevato che
Il Fallimento C. Società Coop. a r.l. impugna per cassazione, con cinque motivi, la decisione della CTR in epigrafe, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate e con cui aveva recuperato l’IVA per l’anno 2003 per operazioni effettuate in sospensione d’imposta in assenza di documentazione giustificativa del titolo di non imponibilità e del possesso dello status di esportatore abituale.
L’Agenzia deposita atto di costituzione per l’eventuale partecipazione alla discussione.
Considerato che
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, motivazione inesistente ed omessa, nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per non aver la CTR preso specifica posizione sulle questioni sottoposte dall’appellato e non aver adeguatamente indicato gli elementi posti a fondamento della decisione stessa.
2. Il motivo è inammissibile in entrambe le sue articolazioni, traducendosi, in realtà, in una globale censura sull’adeguatezza e sufficienza della motivazione, non più denunciabile a seguito della modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. con modif. nella I. 7 agosto 2012 n. 134, che ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost., sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale requisito minimo non risulta soddisfatto, invero, soltanto quando ricorrano quelle stesse ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile), mentre al di fuori di esse residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che è stato oggetto di discussione e che sia “decisivo“, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Sez. U, n. 8053 del 2014, Rv. 629831 e 629830).
2.1. Ne deriva che la censura può essere formulata solo come omesso esame di fatto decisivo, nella specie neppure individuato.
Né porta ad un più favorevole esito l’eventuale qualificazione della doglianza come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., essendo chiara la ratio decidendi e il percorso argomentativo della CTR, incentrato sulla mancata prova, da parte della contribuente, dello status di esportatore abituale e del carattere di non imponibilità delle operazioni poste in essere.
2.2. Pari considerazioni valgono quanto alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. che, nel contestare al giudice una generica mancata pronuncia sulle eccezioni proposte dalla contribuente ed asseritamente tali da inficiare la pretesa erariale, si risolve sempre in una inammissibile contestazione sull’adeguatezza della motivazione.
3. Il secondo motivo denuncia “violazione o falsa applicazione della norma di legge relativa alla sussistenza del titolo agevolativo”.
3.1. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.
La doglianza, infatti, oltre ad essere carente di specificità (non è precisato quali siano le doglianze in diritto e le asserite violazioni), si risolve, in realtà, in una generica contestazione sulla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, non consentita neppure nella vigenza dell’art. 360 n. 5 c.p.c. nella precedente formulazione.
4. Il terzo motivo denuncia “nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c. per mancata motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
4.1. Anche tale censura, in realtà, a fronte dell’affermazione della CTR secondo la quale l’affermazione della contribuente è carente sul piano probatorio poiché «mancando la prova del plafond spettante per il 2003, tanto le operazioni attive che quelle passive dovevano essere assoggettate al trattamento ordinario», mira a contestare l’asserita “erroneità” della decisione e, quindi, la sufficienza della motivazione e, ancor più, la valutazione delle prove, da cui, per le ragioni su esposte, l’inammissibilità della stessa.
5. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per aver la CTR ritenuto incombere sul contribuente l’onere di provare la non imponibilità delle operazioni.
5.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 8, primo comma, lett. c, d.P.R. n. 633 del 1972 lo status di esportatore abituale è acquisito dall’impresa che esporta od effettua vendite intracomunitarie di beni o servizi per almeno il 10% avuto riguardo alle operazioni poste in essere nell’anno precedente.
Da tale condizione deriva il riconoscimento della possibilità di acquistare beni e servizi in sospensione d’imposta nei limiti del plafond disponibile così maturato.
La prova di aver compiuto, nell’anno precedente, operazioni di tal genere (ossia, esportazioni dirette a cura del cedente o del cessionario estero ex art. 8, primo comma, lett. a e b, d.P.R. n. 633 del 1972; operazioni assimilate ex art. 8 bis; servizi internazionali o ad essi connessi ex art. 9; operazioni intracomunitarie) ricade necessariamente sul soggetto che le ha realizzate. Né è condivisibile – come sostiene la ricorrente – che tale dimostrazione configuri una “prova negativa”, essendo, anzi, richiesto il riscontro della tipologia di operazioni (anche attraverso le lettere di intento) e dell’effettività del trasferimento del bene all’estero.
6. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 342 c.p.c. e 2909 c.c. per avere la CTR ritenuto essersi formato il giudicato sulla sentenza di primo grado in relazione alla statuizione, sfavorevole alla contribuente e non impugnata dalla stessa, con cui era stata riconosciuta la debenza dell’Iva sulle operazioni attive, derivandone l’inesistenza del diritto all’agevolazione su quelle passive.
6.1. Il motivo è inammissibile.
La decisione della CTR, infatti, si fonda su una duplice ratio: da un lato la carenza di prova dei titoli giustificativi perii riconoscimento dello status di esportatore abituale e del regime di sospensione d’imposta; dall’altro, il giudicato (interno) sulla debenza dell’Iva per le operazioni attive.
Orbene, il rigetto delle censure dirette a contestare la prima ratio comporta, attesa la sufficienza di questa ai fini dell’intangibilità della sentenza, l’inammissibilità della doglianza, per carenza d’interesse, avverso il secondo fondamento.
7. Il ricorso va pertanto respinto. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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