CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2019, n. 2321
Tributi – Dichiarazioni dei redditi – IVA – Accertamento – Studi di settore – Riscossione
Rilevato che
– Con sentenza n. 247-1/17 depositata in data 15 febbraio 2017 la Commissione tributaria regionale del Piemonte (in seguito, la CTR) accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 248/3/15 della Commissione tributaria provinciale di Novara (in seguito, la CTP) che aveva accolto il ricorso di F.A. (in seguito, il contribuente) contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2009;
– La CTR osservava in particolare che l’Ente impositore aveva dimostrato l’applicabilità in concreto dello studio di settore posto alla base delle riprese fiscali, mentre il contribuente non aveva adeguatamente assolto al proprio onere di prova contraria;
– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi, che illustra con memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
– Va trattato in via pregiudiziale il secondo motivo, con il quale – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente);
– La censura è infondata. Va ribadito che: «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232);
– «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053);
– La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde ai paradigmi invalidanti indicati nei principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali. Il giudice tributario di appello infatti, pur concisamente, ma puntualmente, ha chiaramente indicato le ragioni della sua decisione meritale sia con riguardo all’assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’Ente impositore sia con riguardo all’assolvimento di quello gravante sul contribuente. In tal guisa può affermarsi che tale motivazione rispetti lo standard del “minimo costituzionale”;
– Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – il ricorrente lamenta la violazione di plurime disposizioni legislative, poiché la CTR ha affermato la fondatezza delle pretese erariali basate sull’applicazione dello studio di settore e l’inadeguatezza delle contro prove offerte.
– La censura è inammissibile. Va ribadito che: «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Cass. n. 26110 del 2015);
Inoltre, «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097);
– Lo sviluppo della censura collide radicalmente con le indicazioni sui limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. Pur con dovizia argomentativa, con il mezzo de quo il ricorrente infatti mira ad una “revisione” del giudizio meritale del giudice tributario di appello, che appunto in virtù di detti arresti giurisprudenziali non è consentita a questa Corte.
– In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, e condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in € 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
La Corte dà atto che, ai sensi dell’art. 1 comma 17 della legge 24.12.2012 n. 228 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-bis D.P.R. n. 115/2002, testo unico spese di giustizia.
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