CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17154
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Registrazioni contabili – Fatture per operazioni inesistenti
Rilevato che
– con sentenza n. 112/9/2009 depositata in data 7 dicembre 2009 e non notificata, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, previa riunione, respingeva l’appello proposto dalla G.A. s.r.l. nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 204/01/07 della Commissione tributaria provinciale di Forlì, e accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la medesima sentenza, dichiarando, in parziale riforma di quest’ultima, la legittimità in toto dell’avviso di accertamento ai fini Iva, per l’anno di imposta 2001, con il quale l’Ufficio di Cesena aveva contestato alla G.A. s.r.l. l’indebita detrazione dell’imposta in relazione a fatture emesse per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti;
– il giudice di appello premetteva che: 1) l’Ufficio di Cesena, previa verifica effettuata unitamente all’Agenzia delle dogane, aveva emesso l’avviso di accertamento ai fini Iva, per l’anno 2001, con il quale aveva contestato alla società l’indebita detrazione dell’imposta per la soggettiva inesistenza delle operazioni fatturate, relative all’importazione intracomunitaria di autoveicoli effettuata dal contribuente per il tramite di altri soggetti, identificati come tipiche “cartiere” fittiziamente interposte tra il cedente europeo e il cessionario; 2) la G.A. s.r.I., esercente attività di commercio di autoveicoli, aveva impugnato l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Forlì, deducendo, tra l’altro, la mancata dimostrazione della sua partecipazione all’accordo fraudolento tra i soggetti ritenuti coinvolti nelle rilevate operazioni; 3) previo espletamento di CTU, la CTP di Forlì, ritenendo configurata l’operazione fraudolenta, aveva accolto il ricorso limitatamente alle sanzioni irrogate; 4) avverso detta sentenza, avevano proposto separati appelli l’Ufficio per la parte relativa alla irrogazione delle sanzioni, e la G.A. s.r.l. deducendo la inesistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni poste a fondamento dell’accertamento, non avendo l’Ufficio dimostrato la partecipazione della società all’accordo fraudolento né tantomeno alcuni fatti dai quali aveva ritenuto di desumere il proprio convincimento;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che gli elementi indiziari (l’arricchimento derivante alla G.A. s.r.l. non solo dall’acquisto di autovetture a prezzi competitivi ma anche dall’acquisizione di clientela; il ricorso a pagamenti anticipati; collegamenti diretti, risultanti dall’esame del traffico telefonico, tra il cedente tedesco e la G.A. s.r.I.; la mancata presentazione da parte dei soggetti interposti della dichiarazione Iva e dei modelli Intra, pur trattandosi di acquisti intracomunitari nonché l’omesso versamento di Iva; la cessazione della attività degli stessi dopo pochi mesi e, l’assenza, almeno per alcuni di essi, di organizzazione imprenditoriale con coincidenza della sede legale con la residenza del Corte di titolare) posti a base dell’accertamento rivestivano i caratteri delle presunzioni gravi, precise e concordanti e che dagli stessi dovesse anche trarsi «la conoscenza da parte della ricorrente della tipologia delle società interposte, vista l’entità dei rapporti esistenti e le caratteristiche delle medesime»;
– il giudice di appello, aggiungeva, altresì, sul piano della prova contraria offerta dalla società G.A. che «le argomentazioni addotte dalla società ricorrente, a parere del Collegio, sono da ritenere generiche, non convincenti e non idonee a contestare gli elementi addotti dall’Ufficio che, nel loro insieme, costituiscono presunzioni gravi precise e concordanti ampiamente motivate » e che non assumevano rilevanza sia il libro di carico, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti, sia le visure delle ditte interposte, trattandosi, nella maggior parte, di soggetti di breve durata, con un solo dipendente, sottoposte a procedure concorsuali;
– avverso la sentenza della CTR, la G.A.U. s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– la G.A.U. s.r.l. in liquidazione ha depositato memoria illustrativa insistendo per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., per non avere l’Ufficio assolto all’onere probatorio circa i “fatti noti” dai quali erano stati desunti per presunzioni i “fatti ignoti”;
– in particolare, la ricorrente deduce la violazione del criterio di riparto dell’onere probatorio per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto provati dall’Ufficio quei fatti addotti dallo stesso come noti – quali l’acquisto delle autovetture a prezzi concorrenziali, il pagamento anticipato del prezzo alle ditte importatrici e l’inesistenza di queste ultime – dai quali sarebbero stati presuntivamente desunti i fatti ignoti;
– la censura è inammissibile;
– va ribadito, infatti, che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006; n. 15107 del 2013); nella specie, invece, proprio un’indebita valutazione la ricorrente intende sostenere senza che, tuttavia, per quanto appena ricordato, possa ritenersi la violazione dell’art. 2697 cit.;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR motivato genericamente e apoditticamente in ordine alla ritenuta infondatezza della prova contraria da parte della società cessionaria;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2729 c.c. per avere il giudice a quo omesso la valutazione delle argomentazioni svolte dalla società per contrastare le presunzioni dedotte dall’ufficio;
– i motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto involgenti la medesima questione, sono infondati;
– preliminarmente, ancorché nella rubrica dei suddetti motivi venga dedotta, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., una “violazione di legge”, nella articolazione degli stessi è chiara la formulazione esclusivamente in termini di omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata;
– in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, questa Corte ha affermato che spetta all’amministrazione finanziaria, che contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, di provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, anche in via indiziaria, quindi, «non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente» (Cass. n. 10414 del 2011; conf. n. 23560 del 2012 e n. 17818 del 2016), spettando, poi, al contribuente l’onere, «di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente» (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, «di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015). E, con specifico riferimento all’evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, questa Corte ha recentemente ribadito che «quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta» (Cass. n. 958 del 2018; n. 10120 del 2017);
– quanto al denunciato vizio motivazionale, si osserva che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 15489 del 2007);
– la CTR, nella sentenza impugnata, ha fatto applicazione dei suddetti principi in quanto, dopo avere richiamato analiticamente le argomentazioni svolte, in sede di prova contraria, dalla società G.A. (e concernenti la assunta inconsistenza- a comprovare la “inesistenza” degli importatori- di una serie di elementi addotti dall’Ufficio quali il pagamento anticipato, il traffico telefonico con la cedente tedesca, il prezzo praticato, l’organizzazione delle operazioni con la “regia” della contribuente cessionaria) ne ha tratto, con una motivazione esauriente, un giudizio di genericità e di inidoneità a contestare gli elementi presuntivi addotti dall’Ufficio;
– quanto poi alla specifica doglianza concernente la erronea valutazione da parte della CTR della valenza probatoria dei “libri di carico”, il vizio di omessa o insufficiente motivazione deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c. non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. n. 584 del 2004; n. 718 del 2003);
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 2729 c.c. e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR fondato il giudizio di inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali sulla base di elementi presuntivi privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza;
– quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 23079 del 2005; n. 15177 del 2002; n. 10276 del 2002);
– peraltro, il ricorso per cassazione esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. n. 18421 del 2009; n. 19920 del 2008);
– nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto, la ricorrente, da un lato, in difetto di autosufficienza, non indica le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata (concernenti la valutazione in termini di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi addotti dall’Ufficio) che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate e, dall’altro, in difetto di specificità, non indica con precisione le ragioni della proposta censura e non deduce, in relazione ai singoli elementi presuntivi contemplati nella sentenza impugnata, le argomentazioni per le quali a questi ultimi non dovessero essere riconosciuti i caratteri di gravità, precisione e concordanza (non attenendo ai singoli elementi presuntivi presi in considerazione nella sentenza gli argomenti svolti dalla ricorrente afferenti alla piccola realtà dimensionale della società cessionaria e al regolare versamento dell’Iva da parte di quest’ultima);
– in conclusione, il ricorso va rigettato; le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna G.A.U. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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