CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17156
Tributi – Accertamento – Riscossione – Dichiarazione dei redditi – Maggior reddito determinato
Rilevato che
– con sentenza n. 303/31/11 depositata in data 3 ottobre 2011 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di R.A.S. avverso la sentenza n. 508/06/2006 della Commissione tributaria provinciale di Catania, dichiarando, in conferma della sentenza di primo grado, la illegittimità dell’avviso di accertamento n. RJA01T200102, ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni, con il quale, a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza di Riposto, per l’anno di imposta 2001, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione il maggiore reddito d’impresa determinato ex artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972;
– il giudice di appello premetteva che:1) la CTP di Catania aveva accolto il ricorso di R.A.S. contro l’Agenzia delle entrate avverso l’avviso di accertamento con il quale per l’anno di imposta 2001, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione maggiore materia imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, a seguito di indagini bancarie; 2) aveva proposto appello l’Ufficio eccependo il difetto di motivazione della sentenza impugnata nonché la violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) e 32, comma 1, n. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973; 3) Ia contribuente aveva controdedotto eccependo la nullità dell’accertamento per carenza di motivazione nonché l’erroneità delle indagini bancarie espletate sul conto corrente del marito;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che «l’Ufficio, in effetti, a fronte della rilevante rettifica determinata nel volume di affari, pur confermando l’ammontare degli acquisti effettuati, nemmeno in questa sede, fornisce elementi probatori tali da sorreggere adeguatamente la ripresa a tassazione dallo stesso operata» e che, peraltro, l’Ufficio, a fronte della scarna motivazione dell’atto impositivo, non aveva neanche prodotto il p.v.c. da cui potere trarre maggiori elementi a sostegno dell’accertamento;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
– rimane intimata A.R.S.;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973; 51, comma 2, n. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c. per non avere il giudice di appello, a fronte di un accertamento basato su di una indagine bancaria, invertito l’onere della prova a carico della contribuente in ordine alla specifica riferibilità di ogni prelevamento o versamento sui conti correnti oggetto di verifica ad operazioni non imponibili;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1,comma 1, del d.lgs. n. 32 del 2001; dell’art. 56, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 3 della legge n. 241 del 1990, per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento per carenza di motivazione anche in considerazione della mancata produzione in giudizio del p.v.c., senza considerare che lo stesso era da ritenersi, conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, motivato per relationem avendo fatto rinvio al p.v.c. redatto in data 15 dicembre 2004 dalla G.d.F. e consegnato dall’Ufficio in copia alla contribuente;
-con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, e 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 nonché degli artt. 112, 210 e 213 c.p.c. per non avere il giudice di appello, nel ritenere essenziale ai fini della decisione l’acquisizione del p.v.c. della GdF, ordinatone la produzione in giudizio a carico della Amministrazione finanziaria;
– il primo motivo è fondato;
– in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. n. 19971 del 2016; Cass. n. 22502 del 2011);
– In tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2 (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. n.4829 del 2015; Cass. n. 21303 del 2013);
– va, altresì, ribadito che, come già statuito da questa Corte, «i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali (…) possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale»(Cass. n. 16978 del 2015; n. 20668 del 2014; n. 26173 del 2011);
– nella specie, il giudice a quo non si è conformato ai suddetti principi, in quanto, a fronte di un accertamento bancario, con operatività della presunzione legale (relativa) della imputabilità dei prelevamenti e dei versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dalla contribuente, ha erroneamente ritenuto, disattendendo il criterio di distribuzione dell’onere probatorio, che l’Ufficio «nemmeno in questa sede, fornisce elementi probatori tali da sorreggere adeguatamente la ripresa a tassazione dallo stesso operata», senza operare, invece, l’inversione a carico della contribuente dell’onere della prova della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale;
– l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo e del terzo motivo, con assorbimento degli stessi;
– in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti il secondo e il terzo, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione affinché esamini il merito della vicenda.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione.
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