CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17180
Tributi – Accertamento – Notificazione – Dichiarazione dei redditi – Riscossione
Rilevato che
1. Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 19 del 1^ marzo 2010 (non notificata), con la quale la commissione tributaria regionale della Liguria, decidendo in sede di rinvio da Cass. n. 21221/06, ha ritenuto infondato l’avviso di accertamento notificato alla C.V.C. spa (oggi C. srl in liquidazione), per recupero a tassazione Irpeg/Ilor di minusvalenza su partecipazione azionaria dedotta da quest’ultima società nella dichiarazione dei redditi (passiva) relativa al 1996.
Tale avviso di accertamento muoveva dalla ritenuta inopponibilità dell’operazione (risultante da verbale di constatazione GdF del giugno 1998) attraverso la quale C. aveva: – (novembre 1989) acquisito da S. spa una commessa di oltre 150 miliardi di lire per la trasformazione in nave da crociera (con lavori iniziati nel gennaio 1992 e conclusisi nell’ottobre 1994) della motonave ‘Italia Prima’, poi ceduta all’armatrice N. spa (società riconducibile alla stessa persona fisica del suo amministratore); – (aprile 1994) ceduto pro solvendo alla B.C., a fronte del finanziamento da quest’ultima contestualmente erogato alla N. spa (70 miliardi di lire), il credito da contributo statale ex l. 234/89 che le sarebbe stato riconosciuto (per 39 miliardi di lire) alla ultimazione dei suddetti lavori di trasformazione navale; – (gennaio 1996) sottoscritto per intero l’aumento di capitale sociale deliberato dalla medesima N. spa per il corrispondente importo di 39 miliardi di lire, con effetto di estinzione del proprio credito di rimborso del finanziamento a fronte di attribuzione compensativa di quota maggioritaria del capitale (75%); – (luglio 1996) rivenduto quest’ultima partecipazione maggioritaria ad altra socia di N. spa (M. srl) al prezzo di 8 miliardi e mezzo di lire, con conseguente artificiosa produzione della minusvalenza contestata (30.5 miliardi di lire).
La commissione tributaria regionale, in sintesi, ha rilevato che: – nella citata sentenza di rinvio la S.C. aveva disposto, in accoglimento del ricorso proposto dall’agenzia delle entrate, una nuova valutazione di merito dell’intera operazione disconosciuta dall’amministrazione finanziaria, mediante la disamina di tutti i connessi atti, negozi e comportamenti nei quali essa si era articolata; – all’esito del rinvio si trattava, in special modo, di appurare se la cessione azionaria dalla quale era derivata la minusvalenza su partecipazione, dichiarata dalla società, trovasse giustificazione economica ed imprenditoriale ovvero, come sostenuto dall’ufficio, fosse stata predisposta al solo fine di ottenere un indebito risparmio fiscale; – in esito alla rivisitazione (in ottemperanza a quanto così stabilito dal giudice di legittimità) di tutti gli elementi, soggettivi ed oggettivi, di tale operazione, doveva escludersi che quest’ultima integrasse abuso del diritto fiscalmente rilevante, in quanto comprovatamente ispirata da ragioni di convenienza economica sostanziale, e non da esclusive ragioni di risparmio fiscale.
Resiste con controricorso C. srl in liq..
2. Va preliminarmente respinta l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, così come opposta dalla società controricorrente.
Il ricorso risulta infatti notificato – avendo riguardo alla data non di effettiva consegna al destinatario, ma di inizio del processo notificatorio mediante consegna del plico all’ufficio postale per l’inoltro – l’ultimo giorno utile ad impedire la decadenza ex art. 327 cpc (18 aprile 2011).
Vale in proposito considerare che, come già affermato da questa corte di legittimità (Cass. 15234/14, Cass. 770/16 ed altre), il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, previsto dall’art. 149 cod. proc. civ., ha assunto portata generale nell’ambito dell’ordinamento processuale; sicché esso “è applicabile anche alla notificazione effettuata dall’avvocato, munito della procura alle liti e dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine cui è iscritto, a norma dell’art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53. Ne consegue che, per stabilire la tempestività o la tardività della notifica, rileva unicamente la data di consegna del plico all’agente postale incaricato del recapito secondo le modalità stabilite dalla legge 20 novembre 1982, n. 890”.
3.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360, 1^ co. nn. 3 e 4 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 384, 2^ co., cod.proc.civ.; 2697 cod.civ. nonché 53 Cost.. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di svolgere tutti gli accertamenti prescritti dalla citata sentenza di rinvio, così da erroneamente affermare che l’operazione in esame non fosse comprovatamente caratterizzata da effetto elusivo di esclusiva rispondenza a risparmio fiscale indebito. Ciò si risolveva sia nella violazione del principio di diritto enunciato dalla corte di cassazione disponente il rinvio, sia nella alterazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio; e sia, ancora, nel mancato assoggettamento della società contribuente agli obblighi fiscali impostile ex articolo 53 Cost..
In particolare, le violazioni poste in essere dal giudice di rinvio andrebbero individuate nella mancata considerazione di elementi valutativi essenziali, relativi al fatto che: – la contestazione di insussistenza di valide ragioni economiche aveva avuto ad oggetto non già l’operazione di finanziamento Carige con cessione in garanzia del credito ministeriale, e nemmeno l’acquisto della partecipazione in N. spa, bensì il punto nodale costituito dalla cessione di tale partecipazione a M. srl; effettuata appena sei mesi dopo il suo acquisto, e ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’acquisto stesso; – contrariamente a quanto rispondeva alla normale logica economica sottesa alla trasformazione del credito in capitale di rischio, la società contribuente non aveva poi mantenuto, nel mediolungo termine, la partecipazione in questione, nonostante l’avvenuto varo della nave trasformata, e le buone prospettive di sua messa a reddito; – la rinuncia da parte della società sia al contributo statale, sia al conseguente credito di rimborso maturato nei confronti della garantita N. e sia, infine, alla partecipazione in quest’ultima acquisita (dismessa, per giunta, a condizioni rovinose) denotava l’assenza di una logica economica, rispondendo invece unicamente alla preordinata emersione di una minusvalenza deducibile di oltre 30 miliardi di lire (a fronte dell’alternativa di incorporazione della N. spa, la quale avrebbe però impedito l’utilizzo in dichiarazione della differenza da operazione straordinaria, stante il principio di neutralità della fusione societaria ex articolo 123, 1^ co, d.P.R. 917/1986 vigente ratione temporis).
Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo di causa, rappresentato dalla sussistenza di valide ragioni economiche alla cessione, a prezzo irrisorio, della partecipazione azionaria acquistata pochi mesi prima. Nel richiamare i suddetti profili, la ricorrente lamenta anche la pretermissione, da parte del giudice di rinvio, di ulteriori aspetti fondamentali di causa; dati dal fatto che il mantenimento della partecipazione in N. avrebbe consentito alla C. la disponibilità di un cespite patrimoniale (la nave trasformata) di valore stimabile tra i 126 ed i 168 miliardi di lire; e, inoltre, dalla circostanza che l’intera operazione faceva capo alle stesse persone-fisiche che amministravano sia la N. sia la C..
3.2 I due motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte – sono fondati.
E’ d’obbligo assumere, quale dato di partenza, la decisione di questa corte di legittimità che, con la citata sentenza n. 21221/06, ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria e cassato con rinvio la sentenza (n. 78/2000), con la quale la commissione tributaria regionale Liguria aveva ritenuto infondato l’avviso di accertamento in oggetto, ravvisando nell’operazione in questione ‘serie motivazioni economiche’.
La S.C. ha innanzitutto ricostruito, sul piano interpretativo, gli elementi normativi ed i principi di sistema – anche di matrice UE (ben nota sent. CGUE 21/2/2006 in causa C-255/02, Halifax) – fondanti la riconoscibilità nell’ordinamento di una clausola generale antiabuso; clausola la cui sussistenza sarebbe stata, del resto, successivamente più volte ribadita (Cass.SSUU 30055-57/08; Cass. 3938/14 e molte altre, fino a Cass. 3533/18) dalla giurisprudenza di legittimità (con richiamo, per i tributi ‘non armonizzati’, ai principi costituzionali in materia), ed infine anche formalmente enunciata dal legislatore nei termini di cui all’articolo 10 bis legge 212/00, oggi vigente.
Ciò posto, in ordine al governo della concreta fattispecie in esame, ha osservato la S.C. che:
– si rendeva necessario, in applicazione del suddetto principio regolatore di divieto di abuso del diritto, “analizzare la natura e la specie delle operazioni, nelle loro reciproche connessioni e nelle finalità perseguite, allo scopo di accertare se le stesse fossero o meno dirette, secondo la loro essenza, a conseguire un risparmio d’imposta, e se cioè le affermate finalità economiche di altra natura consentissero una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al risparmio fiscale, o se fossero meramente marginali o addirittura inesistenti”;
– il giudice di merito non aveva adeguatamente valutato tutti gli elementi del caso in ordine alla sussistenza dell’abuso come descritto dalle suddette fonti di indirizzo, segnatamente per quanto riguardava l’individuazione della “ragione essenziale della sequenza negoziale che aveva determinato l’esposizione della minusvalenza”;
– occorreva dunque “rimettere al giudice di merito una valutazione complessiva di elementi di fatto che, nella loro reciproca connessione, non può essere compiuta in sede di legittimità”; posto che “è evidente che, ove il giudice di rinvio non dovesse considerare il complesso degli atti e dei comportamenti della società come essenzialmente diretti all’esposizione di una minusvalenza della quale non sussistevano i presupposti, riconoscendo, a seguito di una nuova ed analitica valutazione dei fatti, l’esistenza di valide ragioni economiche determinante, ciò comporterebbe anche l’infondatezza della tesi della natura fittizia della minusvalenza, essendo tale prospettazione fondata su un’affermata carenza di tali ragioni”;
– l’oggetto del giudizio di rinvio andava, segnatamente, individuato nei seguenti profili, rilevanti ai fini dell’integrazione dell’abuso del diritto: “a) se il fine perseguito dalla società fosse quello di ottenere il riconoscimento della minusvalenza senza che ne esistessero i presupposti; b) se le operazioni compiute fossero essenzialmente volte a! conseguimento del vantaggio fiscale costituito dalla detta minusvalenza, o se esistessero ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico, le quali non avrebbero determinato il compimento delle operazioni; tale verifica deve essere condotta considerando che l’onere della prova circa l’esistenza, competenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito, quale quello in contestazione, incombe al contribuente; c) ad esito delle predette valutazioni, decidere sulla legittimità della ripresa disposta con l’accertamento;
3.3 Nella sentenza qui impugnata il giudice di rinvio doveva dunque farsi obbligatoriamente carico del principio di diritto così evincibile dalla sentenza di legittimità; cogliendone la portata essenziale. Costituita dalla necessità di operare una verifica fattuale, analitica e complessiva, di tutti i risvolti della vicenda dedotta, anche nella connessione ed interdipendenza dei singoli passaggi negoziali, volta ad eventualmente integrare l’abuso del diritto. In concreto ravvisabile (se ed in quanto) da tale verifica fattuale fosse emerso che la minusvalenza su cessione azionaria dichiarata dalla società, e disconosciuta dall’amministrazione finanziaria, derivasse in effetti da operazioni (non di per sé illecite, ma) preordinate al solo scopo di risparmio fiscale, ed in realtà prive di qualsiasi percepibile logica economica ed imprenditoriale.
Orbene, all’esito di nuova verifica il giudice dì rinvio ha ritenuto di concludere nel senso della insussistenza dell’abuso; ma tale conclusione ancora soggiace, in effetti, alle censure qui mossele.
Il giudice di rinvio ha osservato che:
– la riferibilità tanto di C. spa quanto di N. spa alle stesse persone fisiche che vi svolgevano funzioni gestorie di vertice (essenzialmente, il B.C.) imponeva un’analisi particolarmente critica e puntuale nell’accertamento dell’abuso, senza tuttavia che da tale coincidenza soggettiva potesse discendere alcun elemento, nemmeno indiziario, rilevante;
– la sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte della prima nella seconda era avvenuta in ragione della “complessiva esposizione debitoria della stessa N. verso la C.” così come risultante dalla cessione in garanzia a Carige del credito per il finanziamento pubblico, e non in base alla stima del patrimonio effettivo; mentre la successiva cessione di tale partecipazione a M. srl era invece avvenuta ad un valore di mercato ritenuto effettivo, e non frutto di ‘artificio contabile’;
– l’assenza di liquidità in capo a N. (senza il finanziamento Carige reso possibile da C.) avrebbe sortito effetti pregiudizievoli non solo su N. (il cui unico attivo patrimoniale era sostanzialmente costituito dalla nave in ammodernamento), ma anche sulla stessa C.; sia quanto ad interruzione dei lavori di trasformazione navale e perdita del corrispettivo pattuito (in assenza di diverse commesse), sia quanto a conseguente venir meno della condizione di erogazione del finanziamento pubblico ex l. 234/89 (ultimazione del cantiere);
– anche la successiva alienazione della partecipazione così acquistata (dopo soli sei mesi dall’acquisto) doveva ritenersi ‘giustificata economicamente’, “tenuto conto che il credito vantato dalla C. nei confronti di N. era postergato rispetto alle ragioni creditizie della Carige, quindi pressoché inesigibile, per cui (era) conveniente tramutarlo in certificati azionari, di più facile ed immediato realizzo, ancorché ad un valore reale e non nominale”;
– la “ratio economico-finanziaria della cessione a M. era quello di realizzare comunque 8,5 miliardi di lire, che sostanzialmente corrispondevano al reale valore della quota azionaria posseduta”, con conseguente riduzione delle perdite e mantenimento in vita delle società interessate, “senza intento elusivo”, posto che “il risparmio fiscale è stato una conseguenza e non lo scopo”;
– tale conclusione andava affermata pur considerando il vero valore della nave in trasformazione; ragionevolmente stimabile in 126 miliardi di lire (come da perizia in atti) a fronte di un’iscrizione nel bilancio al 31 dicembre 1995 di 168 miliardi; con conseguente emersione di una minusvalenza contabile (42 miliardi di lire) reputata “ad effetti destabilizzanti” a fronte di un patrimonio netto di appena 206 milioni di lire.
3.4 Tale ragionamento risulta affetto da entrambi i vizi lamentati: sia per difetto di rispondenza ai su indicati principi di diritto già enucleati dalla sentenza di cassazione con rinvio (censura di carattere normativo), sia per insufficiente ricostruzione ed esplicitazione, sul piano logico, delle reali finalità sottese all’operazione in esame (censura di carattere motivazionale).
Sotto il primo profilo, già si è detto come il problema posto al giudice di rinvio consistesse “nell’analizzare la natura e la specie delle operazioni, nelle loro reciproche connessioni e nelle finalità perseguite, allo scopo di accertare se le stesse fossero o meno dirette, secondo la loro essenza, a conseguire un risparmio d’imposta, e se cioè le affermate finalità economiche di altra natura consentissero una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al risparmio fiscale, o se fossero meramente marginali o addirittura inesistenti”. Non può dirsi che le ragioni operative individuate dal giudice di rinvio – ove effettivamente rispondenti all’intenzione delle parti ed agli effetti giuridici degli atti realizzati – siano tali da davvero consentire una spiegazione alternativa dell’operazione, rispetto al solo risparmio fiscale (che di per sé non poteva fungere quale mera contropartita economica dell’accollo, interno al gruppo, delle passività di N.). Va del resto considerato che, contestata l’elusività dell’operazione da parte dell’ente impositore che ne aveva disconosciuto gli effetti, era onere della società contribuente fornire la prova della sussistenza di ragioni economicamente apprezzabili volte a giustificarla (da ultimo, Cass. 3533/18 cit.).
Sotto il secondo profilo, dalla motivazione del giudice di rinvio non è dato trarre, all’esito di quella necessaria interdipendenza valutativa di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell’operazione, l’individuazione logica e plausibile delle ragioni (extrafiscali) che avrebbero reso l’operazione stessa rispondente ad obiettivi alternativi di convenienza ed opportunità imprenditoriali.
Il che va detto, segnatamente, con riguardo al segmento dell’operazione specificamente produttivo del risparmio fiscale, insito appunto nella cessione a M. della partecipazione in N..
Da quanto osservato dal giudice di rinvio non è dato comprendere, in particolare, a quale logica imprenditoriale (diversa dal solo risparmio fiscale) potesse rispondere una siffatta cessione, connotata: a. dalla dismissione per 8,5 miliardi di lire di una partecipazione acquistata, appena sei mesi prima, per 39 miliardi di lire; b. dalla pratica dismissione, con essa, di un cespite (la nave ormai già ristrutturata e varata) peritalmente stimato, come appurato dallo stesso giudice di merito, in non meno di 120/126 miliardi di lire.
Affermare, con il giudice di merito, che il valore di 8,5 miliardi di lire era sostanzialmente corrispondente al reale valore della quota azionaria posseduta, non dà dunque conto né dell’eclatante divario con il prezzo di acquisto della partecipazione totalitaria in N., pochi mesi prima pattuito in 39 miliardi di lire; né della sussistenza, nel patrimonio di quest’ultima, di un’attività aziendale già stimata tra i 120 ed i 168 miliardi di lire.
In altri termini, né lo stato di illiquidità di N., né la postergazione del credito C. rispetto a quello di Carige (peraltro assistito dalla cessione del finanziamento ministeriale già deliberato e prossimo all’erogazione, vista l’ultimazione dei lavori di ripristino della nave) parevano, di per sé, idonei ad attribuire alla cessione della partecipazione azionaria una giustificazione economica sostanziale diversa dal solo risparmio d’imposta. E nemmeno tale giustificazione poteva individuarsi, come pure affermato dal giudice di rinvio, nella circostanza che l’abbattimento del valore contabile della nave dai 168 miliardi di lire indicati nel bilancio N. al 31 dicembre ’95 ai 126 miliardi accertati dai periti assicurativi, avrebbe di per sé determinato “una minusvalenza contabile di 42 miliardi di lire, con effetti destabilizzanti su un patrimonio netto di 206 milioni di lire”, considerazione, quest’ultima, attinente, a tutto concedere, all’interesse ed alla convenienza dell’operazione per N., non anche per C..
In effetti, quanto ritenuto dal giudice di merito non evidenzia adeguatamente quali reali giustificazioni e contropartite economiche potessero individuarsi nel comportamento di C. (unico soggetto dal cui angolo visuale doveva svolgersi l’accertamento demandato dalla S.C. in sede di rinvio), la quale: – ‘giro’ a N., tramite Carige, il finanziamento pubblico già conseguito; – rinunciò ai crediti verso di essa maturati; – ne acquisì il pacchetto azionario di controllo sottoscrivendone per intero l’aumento di capitale; – cedette, subito dopo, quest’ultimo pacchetto ad altra consociata ad un prezzo abbattuto a quasi un quinto.
L’anomalia della vicenda riguardava proprio la repentina cessione, a condizioni apparentemente antieconomiche, della partecipazione così acquistata.
Nemmeno risulta dal giudice di merito congruamente spiegato secondo quale logica imprenditoriale C. avrebbe rinunciato a perseguire il recupero del proprio credito mediante, non la dismissione, ma la conservazione della partecipazione in N. (unica società beneficiata, sul piano sostanziale, dall’intera operazione); quantomeno per un arco temporale sufficiente a valorizzarne al massimo (quand’anche in ottica liquidatoria) il cespite costituito dalla nave appena ristrutturata.
D’altra parte, l’antieconomicità – dal lato di C. – dell’intera operazione e, in particolare, della dismissione a M. della partecipazione azionaria, non poteva non suscitare particolare attenzione, da parte del giudice di merito, anche sotto il profilo della riferibilità soggettiva di tutte le società coinvolte alla medesima persona fisica. Aspetto, quest’ultimo, che il giudice di merito ha potuto ritenere irrilevante sol perché, appunto, considerato in maniera autonoma ed isolata rispetto a tutti gli altri elementi della fattispecie, e dunque non all’esito di quella valutazione (anche presuntiva) di complessiva interdipendenza demandatagli in sede di rinvio.
Non varrebbe obiettare, con la società controricorrente, che il presente ricorso dell’amministrazione finanziaria sarebbe inammissibile in quanto in realtà finalizzato ad ottenere, in sede di legittimità, un ulteriore vaglio di risvolti prettamente probatori e fattuali.
Va infatti considerato che la censura motivazionale in esame – ancora rispondente alla previgente definizione normativa di insufficienza motivazionale ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ.- mira a far emergere dei limiti intrinseci alla motivazione contestata; sotto l’aspetto, come detto, della mancata considerazione di fondamentali elementi fattuali capaci di diversamente orientare il giudizio e, segnatamente, della mancata evidenziazione (all’esito di quel controllo di globale interdipendenza demandato in sede di cassazione con rinvio) di ragioni idonee a rendere verosimile e plausibile l’esistenza, nella cessione infragruppo della partecipazione societaria in analisi, di effettiva sostanza economica diversa ed alternativa al mero ed ‘abusivo’ risparmio d’imposta.
In definitiva, non si intende porre qui in dubbio il consolidato principio, secondo cui (da ultimo, Cass. ord. 29404/17) “con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità”; e nemmeno la regola costantemente affermata (da ultimo, Cass. ord. 19547/17), in base alla quale: “la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”.
Quanto, piuttosto, evidenziare come il limite del sindacato di legittimità della valutazione operata dal giudice di merito debba trovare superamento
– in presenza di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria – allorquando (orientamento altrettanto pacifico perché innumerevoli volte affermato) “nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione” (Cass. ord.da ultimo cit.).
Il che si riscontra quando – come nel caso di specie – la valutazione del giudice di merito non conduca, quantomeno sulla base degli elementi indicati in motivazione, ad esiti logici di reale giustificazione economico- imprenditoriale dell’operazione.
Ne segue pertanto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Liguria la quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie alla luce dei principi e dei rilievi qui indicati; provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.
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