CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17181
Tributi – Accertamento – Notificazione – Reddito d’impresa – Avviamento – Licenza di esercizio
Rilevato che
1. Farmacia Sangiuliano di Marina e V.S. snc, nonché V.S. in proprio, propongono congiuntamente due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 570/08/10 del 23 novembre 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Calabria, in riforma della prima decisione, ha ritenuto fondati gli avvisi di accertamento per Irpef-Irap 2003 loro notificati: – per quanto concerne la snc, in recupero a tassazione dell’importo di euro 105.409,76 pagato dalla società, e da quest’ultima imputato a costo deducibile, quale quota annua della rendita vitalizia onerosa pattuita in corrispettivo della cessione della farmacia (con atti registrati del 3 dicembre 1992 e del 22 luglio 1993) dal padre F. S. alla società partecipata dai figli M. e V.S.; – per quanto concerne il socio V.S., in sede di conseguente rideterminazione, rispetto al dichiarato, del reddito di partecipazione a lui imputabile per la medesima annualità (50%).
La commissione tributaria regionale, nel decidere sui ricorsi riuniti della società e del socio, ha rilevato che: – nei due atti di cessione della farmacia le parti avevano concordato il valore della stessa con riguardo ai beni strumentali, alle merci in rivendita ed all’avviamento con licenza di esercizio (quest’ultimo determinato in lire 731.745.000); – la circostanza che il corrispettivo fosse stato pattuito mediante pagamento della rendita annua vitalizia a favore del cedente, e della di lui moglie, concretava mera modalità finanziaria di esecuzione del pagamento, ma non integrava costo deducibile; atteso che solo l’avviamento, iscritto in bilancio, poteva trovare riconoscimento in deduzione sulla base delle prescritte quote annuali di ammortamento.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 68, 75 e 127 d.P.R. 917/1986 (ratione temporis applicabili), nonché 1872 e 2426 n.6) cod.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso la deducibilità dal reddito d’impresa della rendita vitalizia onerosa, nonostante che quest’ultima (autonomamente tassata in capo al beneficiario) integrasse corrispettivo per l’acquisto aziendale e fosse, conseguentemente, inerente all’attività di impresa ex art. 75 cit.; indipendentemente dall’ammortamento del valore di avviamento.
2.2 Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di legittimità – formatasi anche su fattispecie analoghe di cessione di farmacia, ma in relazione al regime fiscale posto a carico del cedente – ha rilevato come, ai sensi dell’art. 1872 c.c., la rendita vitalizia possa essere costituita a titolo oneroso mediante alienazione di un bene; con la conseguenza che essa può costituire il corrispettivo di un’alienazione patrimoniale, e quindi anche il corrispettivo di una cessione di azienda.
In tal caso, si è affermato che può configurarsi – appunto in capo al cedente – una plusvalenza tassabile che, per quanto ricondotta ad un elemento di aleatorietà (durata della vita del beneficiario) quanto ad ammontare delle erogazioni che dovranno essere in concreto eseguite dall’obbligato, presenta purtuttavia un valore economico accertabile in base a calcoli attuariali riconosciuti anche in ambito fiscale.
Quanto alla eventualità di doppia imposizione, si è stabilito che: “(…) né può essere considerato di ostacolo alla tassazione il rischio di una doppia imposizione, essendo la rendita vitalizia assimilabile, a fini fiscali, al reddito da lavoratore dipendente, in quanto il divieto di doppia imposizione scatta solo nel momento della concreta liquidazione della seconda imposta e solo nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di avere diritto a ricevere il doppio pagamento” (Cass. 5886/13; 24803/13, con richiamo altresì a Cass. 1175/12 ed altre; così anche Cass. ord. 3518/18).
Ha in materia osservato Cass. 23874/10 che: “è configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54, comma 3, anche nel caso di cessione a titolo oneroso di un’azienda il cui corrispettivo sia rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia: ai fini dell’imputazione del corrispettivo, occorre infatti considerare il momento di stipulazione del contratto, ai sensi del cit. D.P.R. n. 917, art. 75, tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, e prescindendo da clausole estranee al tipo contrattuale, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale; né tale imputazione dà luogo ad una doppia imposizione, in quanto il D.P.R. n. 917, art. 48, nell’assoggettare a tassazione le quote di rendita, individua forfetari a mente nel 60% la componente reddituale delle stesse, in tal modo esentando dall’imposta il capitale tassato all’atto del trasferimento (Cass. n. 10801/07)”.
Ora, per quanto concerne il regime fiscale posto a carico del cessionario, l’ammontare della rendita vitalizia assunto, come detto, a corrispettivo (ancorché dilazionato) della cessione stessa, non costituisce, ex art. 109 Tuir, costo di gestione deducibile; trovando esaustiva rilevanza fiscale quale onere non già di esercizio, bensì di acquisizione dell’azienda. Così da rilevare esclusivamente secondo il regime proprio del valore di avviamento (previa sua iscrizione all’attivo di bilancio nei limiti del costo di acquisizione ex art. 2426 n. 6) cod.civ.), e del suo ammortamento (art. 103 T.U.I.R.).
Senonché, nel caso di specie, gli avvisi di accertamento opposti si sono basati proprio sul fatto obiettivo (non contestato, in sé, dai contribuenti) che la società avesse indebitamente imputato a costo deducibile il rateo annuo (2003) della rendita vitalizia; nonostante i limiti legali della quota di ammortamento dell’avviamento, e la circostanza che i ratei pregressi fossero stati versati per importo complessivamente superiore al valore di avviamento stesso, così come indicato dalle parti negli atti di cessione aziendale.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 4 cod.proc.civ. – violazione degli articoli 112 cod.proc.civ. e 42, 2^ co., d.P.R. 602/73. Per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato sul motivo di opposizione (formulato fin dal ricorso introduttivo, e riproposto in appello) concernente la carenza di motivazione degli avvisi di accertamento.
3.2 Il motivo è infondato.
La commissione tributaria regionale, pur non essendosi espressamente pronunciata sul motivo di opposizione concernente l’asserita lacuna motivazionale degli avvisi di accertamento, è tuttavia entrata nel merito dei medesimi; così da escludere, sebbene in via implicita, l’invalidità o l’inefficacia degli avvisi perché non rispondenti (anche quanto a motivazione) ai requisiti legali minimi.
Va pertanto fatta qui applicazione del principio secondo cui per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi, in proposito, una specifica argomentazione; dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (tra le molte: Cass. nn. 452/15, 16254/12, 20311/11).
Va poi considerato come gli avvisi in questione – il cui contenuto motivazionale essenziale è stato riportato, per autosufficienza, nel ricorso per cassazione – recassero comunque sufficiente indicazione sia dei presupposti di fatto sia delle ragioni giuridiche del recupero a tassazione. Contenendo essi specifico richiamo all’acquisizione aziendale mediante stipula della rendita vitalizia; alla non inclusione del rateo annuo tra i costi deducibili, per difetto di inerenza con l’attività esercitata dalla società; all’avvenuta pregressa estinzione, in forza dei ratei precedenti, della quota – prezzo ascrivibile ad avviamento.
Non può dunque dirsi che gli avvisi in questione non fossero in grado di porre i contribuenti in condizione di immediatamente e completamente percepire i presupposti sostanziali della maggiore pretesa impositiva, così da predisporre adeguata opposizione e difesa (come, in effetti, è avvenuto).
A differenza di quanto mostrano di fare i ricorrenti, poi, vanno tenuti ben distinti i requisiti motivazionali minimi dell’avviso, dalla ‘prova’ delle ragioni addotte in esso dall’amministrazione finanziaria; essendo, quest’ultimo, elemento suscettibile di essere dedotto nel corso del giudizio di opposizione e secondo le regole sue proprie, risultando per contro estraneo al tenore motivazionale, in quanto tale, dell’avviso stesso.
Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese, stante la peculiarità della questione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
– compensa le spese.
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