CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17182
Imposte dirette – IVA – Accertamento – Cessione di azienda – Imposta di registro
Rilevato che
1. La Hotel T. e Resort Srl propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 540/39/10 del 27 maggio 2010, con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto fondato l’avviso di accertamento con cui l’agenzia delle entrate intendeva procedere al recupero di Iva indebitamente rimborsata su due fatture del settembre 2001; emesse a fronte del pagamento del prezzo di un immobile alberghiero da essa società ricorrente acquistato presso la O.D.R. srl.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che legittimamente l’amministrazione finanziaria avesse richiesto la restituzione dell’Iva in oggetto, dal momento che la cessione – come risultava da vari elementi istruttori – aveva riguardato non già un singolo immobile strumentale, bensì un compendio aziendale di natura turistico-alberghiera; con conseguente assoggettamento dell’operazione ad imposta proporzionale di registro, e non ad Iva (art. 40 d.P.R. 131/86).
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 d.lgs. 546/92.
Per avere la commissione tributaria regionale emesso una sentenza acriticamente recettiva della tesi dell’amministrazione finanziaria, e priva dei requisiti legali minimi della motivazione; in quanto basata unicamente sui principi astratti di definizione giuridica dell’azienda, non anche sulla specificazione ed adattamento di tali principi alla concretezza del caso.
Con il secondo motivo di ricorso Hotel T. e Resort srl deduce – ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. – difetto di motivazione sui fatti rilevanti della lite. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente attribuito valenza di cessione aziendale ad elementi in realtà privi di tale significato; omettendo poi di considerare, al contrario, gli elementi di fatto addotti a riprova della inidoneità produttiva dell’immobile al momento della cessione (tanto che le licenze di esercizio e sanitarie erano state ottenute, nel 2000, non dalla società cedente, ma direttamente da essa acquirente).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2555 cod.civ. Per avere la commissione tributaria regionale individuato l’oggetto della cessione in un complesso aziendale di natura alberghiera nonostante che, secondo la definizione legislativa, si trattasse di immobile inidoneo, al momento del trasferimento, allo svolgimento dell’attività imprenditoriale mediante organizzazione di un complesso di beni.
2.2 I tre motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni dedotte – sono infondati.
Partendo dalla censura di violazione normativa, risulta che la commissione tributaria regionale si sia conformata alla corretta definizione di azienda, così come evincibile dall’articolo 2555 cod.civ.; secondo cui l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Si tratta di disposizione che la giurisprudenza tributaria di legittimità ha più volte vagliato, osservando (v., tra le altre, Cass. 9575/16) come per cessione di azienda debba appunto intendersi il trasferimento di un’entità economica organizzata in maniera stabile; la quale conservi la sua identità e consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo imprenditoriale. Tali caratteristiche devono essere desunte all’esito della valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza, in relazione al tipo di attività esercitata ovvero esercitabile.
Cass.17785/17 ha osservato, in proposito, che: “come questa Corte ha avuto modo di precisare, si ha cessione di azienda, soggetta ad imposta di registro proporzionale (e non ad IVA), quando le parti non hanno inteso trasferire una semplice somma di beni, ma un complesso organico unitariamente considerato, dotato di una potenzialità produttiva, tale da farne emergere ex ante la complessiva attitudine, anche solo potenziale, all’esercizio dell’impresa (Cass. n. 13580 del 2007, Cass. n. 1913 del 2007, Cass. n. 11769 del 2008); ovvero quando i beni strumentali ceduti siano atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di una impresa, anche se non si richiede che tale esercizio sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività di impresa, né che la cessione comprenda anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali”. Si è poi aggiunto che, in base al criterio fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, “per la qualificazione di un atto di trasferimento come cessione di azienda non rileva la circostanza che i singoli beni aziendali siano stati ceduti globalmente o con più atti separati, nè la circostanza che il cedente sia un soggetto non munito di autorizzazioni all’esercizio di una attività dell’azienda, e nemmeno la circostanza che al momento della cessione l’azienda fosse concretamente esercitata, perché rileva unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti (Cass. n. 13580 del 2007)”.
Ora, nella sentenza impugnata la commissione tributaria regionale ha effettivamente operato ampi richiami all’impostazione teorica del problema, senza tuttavia sottrarsi – contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente – all’obbligo di verificare l’incidenza dei principi normativi regolanti l’istituto sulla fattispecie concreta.
E, in tale operazione, essa ha reso una motivazione del tutto congrua ed adeguata, perché esplicativa delle fonti del proprio convincimento e delle ragioni, in fatto e diritto, secondo cui i due atti di cessione in esame concretavano il trasferimento, non di un cespite immobiliare unitariamente considerato, bensì di un complesso organizzato, in tutto idoneo all’esercizio di un’impresa alberghiera.
A tal fine, il giudice di merito ha posto in evidenza come: – il complesso compravenduto avesse, fin dal luglio 1999 (quasi due anni prima della cessione), “una destinazione alberghiera ben definita” e, inoltre, fosse “attrezzato e completato di tutte le attrezzature, forniture energetiche e telefoniche necessarie per il suo funzionamento”; – sempre nel luglio 1999, la cedente O.D.R. srl avesse stipulato contratto di franchising a destinazione alberghiera con il gestore H.I. spa; – la predisposizione all’esercizio dell’attività alberghiera risultasse altresì dalla stipulazione, nel novembre 2000, di un contratto di locazione immobiliare tra la stessa precedente proprietaria e la odierna ricorrente.
Elementi tutti, questi, idonei a provare – nel convincimento del giudice di merito – che oggetto della cessione (come già della locazione intercorsa tra le stesse parti) fosse, non un immobile singolarmente considerato, ma una vera e propria azienda nel senso normativamente designato (con conseguente assoggettamento ad imposta proporzionale di registro).
Né, diversamente da quanto sostenuto dalla società contribuente, una diversa conclusione si sarebbe imposta per il fatto che le licenze di esercizio e sanitarie (peraltro anch’esse già esistenti al momento del trasferimento del compendio) erano state procurate, non dalla cedente, ma dalla stessa acquirente. Va in proposito richiamato il su riportato indirizzo di legittimità, in una con la rilevanza obiettiva ed assorbente del dato di fatto costituito dalla potenzialità del compendio all’esercizio dell’attività alberghiera; indipendentemente dal soggetto che avesse procurato le autorizzazioni amministrative del caso.
Da questo punto di vista, pertanto, deve ritenersi che la valutazione della fattispecie concreta offerta dal giudice di appello non sia viziata per effetto della mancata considerazione di quest’ultimo aspetto. Da un lato, il giudice di merito deve congruamente esplicitare, come detto, le fonti del proprio convincimento e della propria delibazione probatoria, senza con ciò essere tenuto a dare partitamente conto di ogni singola risultanza istruttoria o argomentazione di parte; ritenute, ai fini decisionali, ininfluenti o comunque subvalenti rispetto alle risultanze ed alle argomentazioni menzionate. Dall’altro, l’irrilevanza del soggetto intestatario delle autorizzazioni amministrative e, inoltre, la non essenzialità, ai fini della configurazione dell’azienda, di queste stesse autorizzazioni, denotano come la lamentata omessa considerazione di elementi fattuali abbia, in ogni caso, avuto ad oggetto profili in realtà tutt’altro che dirimenti ai fini di causa. La sentenza in esame risulta dunque legittima anche sul piano strettamente motivazionale; il che esclude che possa darsi ingresso, nella presente sede di legittimità, ad una valutazione probatoria e delle circostanze di fatto nuova e diversa rispetto a quella già resa dal giudice di merito.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 10.000,00; oltre spese prenotate a debito.
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