CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2019, n. 17534
Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Redditometro – Ricorso per Cassazione – Contenzioso tributario
Rilevato che
Con separati ricorsi, G. C. impugnava tre distinti avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate con i quali veniva rideterminato, con il metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, il reddito per le annualità 2005, 2006 e 2007, per avere l’Ufficio riscontrato, anche all’esito delle informazioni acquisite mediante il questionario compilato dal contribuente, che quest’ultimo negli anni in contestazione aveva dichiarato redditi non compatibili con il possesso di autovetture, di un natante e di unità immobiliari.
La Commissione provinciale, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva parzialmente, <<limitatamente al maggior tributo scaturente dal computo del veicolo BMW 320 D tg. C.».
Interposto appello principale dal contribuente ed appello incidentale dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione regionale, rigettava il primo e, in accoglimento del secondo, riformava la sentenza di primo grado, confermando integralmente l’avviso di accertamento.
In particolare, i giudici di appello rilevavano che il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di difendersi, non aveva offerto adeguata prova contraria.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione G. C., con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo, denunciando omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ed omessa ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie, il ricorrente lamenta che la Commissione regionale non avrebbe valutato le prove dallo stesso offerte, posto che nella decisione impugnata non si fa menzione dell’esame dei documenti concernenti le risultanze degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza a carico delle società Dentai Gea s.a.s. e Archigea s.a.s., di cui il contribuente era socio e amministratore, all’esito dei quali era stata verificata la sua situazione reddituale e patrimoniale complessiva e che avevano condotto a conclusioni radicalmente diverse da quelle formulate dall’Ufficio con il metodo sintetico.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la decisione gravata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., ribadendo che la decisione impugnata è viziata perché non considera i mezzi di prova offerti.
3. I motivi che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
3.1. Questa Corte ha già chiarito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, l’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che gli uffici finanziari possano determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, e tale metodo di accertamento dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su di essi e resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 16912 del 10/8/2016; Cass. n. 17793 del 19/7/2017; Cass. n. 27811 del 31/10/2018).
3.2. Ai fini dell’assolvimento di tale onere, sono stati chariti i confini della prova contraria a carico del contribuente, precisando che << a norma dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione >>.
La norma richiede, quindi, qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della <<durata>> del relativo possesso, previsione che ha proprio la finalità di ancorare a dati oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico (Cass. n. 8995 del 18/4/2014; Cass. n. 25104 del 26/11/2014).
3.3. Tanto premesso, la Commissione regionale ha rilevato che l’Ufficio erariale ha assolto l’onere di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa – nella fattispecie, autovettura BMW 320d, immobile adibito ad abitazione principale sito in Pagnacco, immobile adibito ad abitazione sito in Povoletto, immobile sito nel Comune di Tricesimo, l’assicurazione abitazione principale, rate dei mutui contratti per l’acquisto degli immobili adibiti ad abitazione principale e natante Chris-Craft 302 – e che, invece, il contribuente non ha assolto l’onere, sullo stesso gravante, di provare, con adeguata documentazione, che il maggior reddito determinato sinteticamente è costituito in tutto o in parte << da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta >>.
3.4. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici d’appello non hanno omesso di prendere in considerazione le risultanze delle verifiche effettuate nei confronti di due società di cui il C. era socio ed amministratore, ma ne hanno piuttosto escluso la rilevanza ai fini della decisione, ponendo in rilievo che la verifica effettuata dall’Amministrazione finanziaria ha riguardato la persona fisica, e non le società, ed ha interessato sia le movimentazioni bancarie sia i beni posseduti, ossia la complessiva situazione reddituale del contribuente.
Hanno inoltre, sottolineato che il C. non ha offerto Idonea prova contraria, come già affermato dai giudici di primo grado, con riguardo alle automobili, al natante ed alle spese di mantenimento degli immobili, beni di cui aveva la piena disponibilità.
Non è, dunque, ravvisabile, nella sentenza impugnata, un vizio di motivazione e, in ogni caso, il primo motivo, così come illustrato, difetta di autosufficienza, in quanto il ricorrente non ha neppure ritrascritto il contenuto dei processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza al fine di consentire a questa Corte di valutare la rilevanza e decisività di tali verifiche, non dimostrando in tal modo, come esige l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. clv., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, applicabile ratione temporis, che ai giudici di merito sia addebitabile l’omesso esame di un <<fatto>> storico, principale o secondario che, ove valutato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (Cass. n. 27415 del 29/10/2018; Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014).
4. Neppure sono ravvisabili i vizi di violazione di legge denunciati nella rubrica del secondo mezzo di ricorso, atteso che i giudici di secondo grado hanno esaminato tutti gli elementi probatori sottoposti al loro vaglio ed hanno fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova, dovendosi, al riguardo, rilevare che la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, mentre la censura che investe la valutazione della prova (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) deve essere fatta valere ai sensi del n. 5 dell’art. 360, comma 1 (Cass. n. 15107 del 17 giugno 2013; Cass. n. 13602 del 30/5/2018).
5. Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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