CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2019, n. 17576

Lavoro – Trasferimento di ramo d’azienda – Invalidità della comunicazione – Procedura di mobilità del personale ex lege n. 223/1991

Rilevato che

Con ricorso al Tribunale di C.V.A. e trentuno litisconsorti esponevano di aver lavorato alle dipendenze della S.I. s.p.a. sino al 3/10/2009 allorquando era stato loro comunicato il trasferimento di ramo d’azienda in favore della K.G. Industrie Ceramiche s.r.I.

Denunciavano i ricorrenti la nullità dell’atto di vendita per simulazione ovvero per nullità dell’atto per frode alla legge, in quanto finalizzato ad evitare per la società cedente, l’adempimento degli obblighi di messa in sicurezza e bonifica del sito industriale contaminato derivanti dalle disposizioni del d. lgs. n.152/2006, oltre che ad evitare l’adozione della procedura di mobilità del personale ex lege n. 223/91.

Sulla base di tali motivi chiedevano accertarsi in via incidentale la nullità, annullabilità o inefficacia della cessione di ramo d’azienda nonchè, la nullità, annullabilità o inefficacia dei licenziamenti intimati il 3/10/2009, ordinare alla S. s.p.a. di ripristinare il rapporto di lavoro con i ricorrenti e condannarsi detta società in solido con la K.G. Industrie Ceramiche s.r.l. al risarcimento del danno. Si costituivano la S. s.p.a. ed il Fallimento K.G. Industrie Ceramiche s.r.l. che resistevano alle domande chiedendone il rigetto.

Il giudice adito, con sentenza 12/4/2012, respingeva il ricorso. Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro che, con la sentenza qui impugnata, resa pubblica II 16/1/2015, accoglieva le domande attrici e, dichiarata la sussistenza del rapporto di lavoro fra i ricorrenti e la S.I. s.p.a., ne ordinava il ripristino e disponeva condanna della società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate a far tempo dal 28/11/2009 (data in cui ciascuno dei lavoratori aveva contestato la cessione aziendale ed offerto le proprie prestazioni), detratto quanto percepito per il medesimo titolo dalla K.G. Industrie Ceramiche s.r.I..

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la S.I. s.p.a. affidato a sette motivi.

Resistono con controricorso i lavoratori che articolano ricorso incidentale condizionato, cui oppone difese la società S.I.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Il fallimento K.G. Industrie Ceramiche s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Considerato che

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c.

Ci si duole che la Corte di merito non abbia rilevato che nel ricorso in appello i lavoratori avevano modificato inammissibilmente sia il petitum che la causa petendi, introducendo una domanda nuova preclusa in appello ai sensi dell’art. 437 c.p.c. Il petitum mediato del ricorso di primo grado aveva ad oggetto la declaratoria di nullità dell’atto di cessione del ramo d’azienda (per simulazione o frode alla legge), da cui discendeva la nullità dei singoli licenziamenti; diversamente, il petitum del ricorso in appello, andava identificato nella nullità del trasferimento di ciascun lavoratore in quanto viziato per errore rilevante ed essenziale o nullo per violazione dell’art. 1344 c.c.

2. Il motivo va disatteso per le ragioni di seguito esposte.

Si impone innanzitutto l’evidenza del difetto di specificità della censura, che non reca l’ integrale trascrizione degli atti processuali richiamati (segnatamente il ricorso introduttivo e l’atto di appello dei lavoratori), in violazione della prescrizione ex art. 365, co. 1, n.4 e n. 6 c.p.c.

Anche nel caso di denuncia di vizi dei processo che si sostanziano nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dai legislatore, non viene meno, infatti, l’onere per la parte di rispettare i principio di specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (in tali sensi, vedi Cass. S.U. 22.5.12 n. 8077).

Al di là di tali pur assorbenti considerazioni, non può, peraltro, sottacersi che la Corte di merito nel proprio incedere argomentativo, non sia incorsa in alcun modo nella denunciata violazione del divieto di domande nuove in appello (cfr. Cass. 22.11.10, n. 23614; Cass. 11.1.18, n. 535).

Ed invero, secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, si ha “mutatio libelli” quando la parte immuti l’oggetto della pretesa introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio ovvero quando, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, prospetti un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (vedi ex plurimis, Cass. 28.1.2015 n. 1585, Cass. 12.12.2018 n. 32146).

Nello specifico, invece, il giudice dei gravame ha bene posto in rilievo la conservata identità della domanda quanto al petitum (derivante da una diversa formulazione di identica richiesta di accertamento dell’invalidità della comunicazione ai lavoratori della cessione di ramo d’azienda dalla S.I. s.p.a. alla K.G. I C. s.r.I., qualificate come licenziamenti, con le coerenti conseguenze di ordine ripristinatorio e risarcitorio). Ha ribadito poi, con riferimento alla causa petendi, l’assenza di mutatio libelli quanto alla dedotta frode alla legge riferita agli obblighi di bonifica del sito inquinante il cui intento elusivo era sotteso al contratto di cessione di ramo d’azienda, così ponendosi nel solco del ricordato insegnamento, con statuizione che resiste alla censura all’esame.

3. Il secondo motivo prospetta nullità della sentenza in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c. per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Il giudice del gravame aveva dichiarato la nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda ex art.1344 c.c. mentre i lavoratori non avevano affatto proposto tale domanda, essendosi limitati ad invocare una pronuncia di accertamento della nullità-illegittimità del trasferimento d’azienda, con effetto ripristinatorio dell’originario contratto.

4. Anche siffatto motivo palesa le medesime criticità riscontrate in relazione alla censura che precede, in relazione alla violazione del principio di specificità ivi riscontrata con riferimento alla tecnica redazionale adottata non rispondente ai principi di specificità che governano il ricorso per cassazione.

Per il resto, esso si palesa comunque infondato, dovendo escludersi il vizio di ultrapetizione alla stregua dei condiviso insegnamento di questa Corte secondo cui il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il “petitum” e la “causa petendi” e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (vedi ex multis, Cass. 4.2.16, n. 2009, Cass. 20.6.2008, n. 16809).

5. Il terzo, quarto e quinto motivo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art.1344 c.c. dell’art.253 d.lgs. n. 152/2006 ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

In particolare, col terzo motivo si deduce che la società aveva già provveduto a interventi di bonifica e pertanto non avrebbe potuto incorrere in alcuna procedura di intervento della p.a., non potendo essere qualificata come proprietario non responsabile inerte; con il quarto, si prospetta come erronea, l’affermata idoneità della cessione aziendale ad eludere l’applicazione delle norme in materia ambientale nell’inesistenza di norme obbliganti un proprietario non colpevole, quale S.I., al completamento di lavori di bonifica iniziati, avendone solo la facoltà, onde evitare le conseguenze dei vincoli gravanti sull’area alla stregua di onere reale e di privilegio speciale immobiliare; con il quinto si sostiene che se  gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati, ai seni dell’art.253 d.lgs. n.152/2006 costituiscono un onere reale le cui spese sono assistite da privilegio speciale immobiliare e che si trasmette unitamente alla proprietà del terreno, l’intervenuta cessione d’azienda da parte del proprietario incolpevole non può costituire un mezzo di elusione delle norme imperative di cui al d. lgs. n. 152 del 2006.

In estrema sintesi si critica la sentenza impugnata per aver argomentato in ordine alla elusione delle disposizioni imperative che disciplinano “la bonifica dei siti contaminati” sancendo gli obblighi gravanti sui responsabili dell’inquinamento e sui proprietari dei siti considerati. Alla luce dell’orientamento tracciato dalla giurisprudenza amministrativa sul punto, si prospetta una erronea interpretazione delle norme imperative asseritamente eluse dalle parti con il contratto di cessione d’azienda, e la conseguente impossibilita di configurare anche solo astrattamente, la fattispecie del contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c.

6. I motivi, la cui trattazione congiunta è consentita dalla connessione che li connota, vanno disattesi.

Mediante la prospettazione dei vizio di violazione di legge, in realtà il ricorrente lamenta principalmente una erronea valutazione dell’accertamento in fatto compiuto della Corte territoriale in relazione alla natura del trasferimento di ramo d’azienda, che, in quanto informata allo scopo elusivo delle norme di tutela ambientale di cui al d.Ig. 152/06, era stata qualificata in termini di contratto in frode alla legge (p. 11 sentenza).

Preme rilevare al riguardo, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;

l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa é, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass. 11.1.2016 n. 195, Cass. 16.7.2010 n. 16698).

Le formulate censure mirano, invece, a contestare l’accertamento in fatto della natura del trasferimento di ramo d’azienda compiuto dal giudice del gravame, il quale ha rimarcato che se il proprietario o gestore dell’area contaminata non responsabile è obbligato solo a comunicare il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori di inquinamento, non essendo obbligato ad intervenire per la bonifica ma avendone solo facoltà, nel contempo ha richiamato il precetto di cui all’art. 253 d. lgs. 152/2006 alla cui stregua le spese sostenute per la bonifica delle aree contaminate sono assistite da privilegio speciale immobiliare ex art. 2748 c.c. sulle medesime aree.

Alla luce delle enunciate premesse in diritto, la Corte distrettuale, ha proceduto ad un approfondito scrutinio del compendio istruttorio acquisito, complesso ed articolato, dal quale era emerso incontestabilmente, da un canto (vedi le numerose concordi dichiarazioni testimoniali analiticamente riportate in sentenza) che la società K. all’esito della cessione del ramo d’azienda, non aveva svolto attività di bonifica nè in alcun modo proseguito l’attività produttiva dell’impianto industriale; dall’altro, che il prezzo di cessione pari ad euro 600.000,00, era di gran lunga inferiore al valore effettivo del compendio ceduto, oscillante fra l’importo di euro 12.440,000 stimato dal nominato ausiliare, ed euro 16.597,285 indicato dalla Agenzia delle Entrate di Milano.

Nell’ottica descritta, la Corte territoriale ha osservato che la palese difformità del valore reale dell’azienda rispetto al prezzo pattuito per la cessione, unitamente ai costi degli oneri di bonifica e messa in sicurezza gravanti sulla società S. nella qualità di proprietario incolpevole, integravano elementi indiziari che confermavano la tesi accreditata da parte appellante in ordine alla illiceità, per frode alla legge, del contratto di cessione aziendale.

Le richiamate statuizioni, sorrette da argomentazioni assolutamente congrue sotto il profilo logico e corrette sul versante giuridico, si sottraggono, dunque, alle censure all’esame.

7. Nella medesima prospettiva si collocano la sesta e la settima Censura con le quali si denunciano rispettivamente, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. – per avere il giudice del gravame omesso di considerare come causale alternativa della cessione d’azienda, lo stato di crisi aziendale e perdite dello stabilimento – e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c., ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. – in relazione alla qualificazione dell’atto di cessione di ramo d’azienda, quale contratto in frode alla legge in presenza di una causa lesiva alternativa del negozio quale la condizione di crisi dell’impresa.

Le doglianze – che possono congiuntamente trattarsi siccome connesse – anche mediante la denuncia del vizio di violazione di legge, tendono a prospettare una rinnova – a valutazione giuridica dei fatti esaminati dal giudice del gravame in base ad un poderoso accertamento che investe pienamente la quaestio facti, e rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro i confine segnato dai novellato art.360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014.

8. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso principale è respinto, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dai lavoratori con plurimi motivi (attinenti alla violazione e falsa applicazione delle disposizioni I. 223/91, per erroneamente ritenuta inapplicabilità alla fattispecie delle normativa imperativa violata; alla nullità della sentenza in violazione dell’art. 112 c.p.c. c.p.c., per mancata ammissione dei capitoli di prova relativi allo stato di crisi aziendale; alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2709, 2730 c.c., per erronea attribuzione di carattere confessorio a documenti prodotti da società su stato di crisi aziendale; alla nullità della sentenza in violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata ammissione di ulteriori capitoli di prova relativi alla preordinazione dello state di crisi aziendale).

Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata, laddove nessuna statuizione va emessa in ordine alla posizione dell’intimato fallimento K.G. Industrie Ceramiche che non ha svolto attività difensiva.

Sussistono i presupposti per li versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.