CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2021, n. 18361
Tributi – Contenzioso tributario – Istanza/ricorso per correzione di errore materiale – Ordinanza di inammissibilità – Impugnabilità – Esclusione – Natura amministrativa. – IRPEG – Maggiorazione di conguaglio – Utili regolarmente assoggettati ad IRPEG – Doppia imposizione – Rimborso – Legittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria centrale dell’Emilia-Romagna accoglieva il gravame proposto dall’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Reggio Emilia avverso la sentenza (n. 632/2/1995) della Commissione tributaria di II grado di Reggio Emilia che aveva confermato la decisione di I grado, con cui era stata accolta la domanda di rimborso Irpeg, per la somma di lire 84.346.000, presentata dalla contribuente L.R. s.r.l., per l’anno 1985.
Tale somma era stata versata erroneamente a titolo di maggiorazione di conguaglio Irpeg. In particolare, la Commissione centrale evidenziava che vi erano lacune ed errori rilevabili dal modello 760, prospetto “entità delle riserve e altri fondi”, non conciliabili con i dati di bilancio, rilevando che nella relazione degli amministratori ed anche nella denuncia dei redditi, mancava il prospetto di classificazione delle riserve di cui all’art. 2 della legge n. 649 del 1983. Il dispositivo della sentenza si concludeva con il rigetto del ricorso (“la CTC respinge il ricorso”).
2. Successivamente la Commissione tributaria centrale, con ordinanza del 4 gennaio 2013, rigettava l’istanza di correzione dell’errore materiale presentata congiuntamente dalle parti, sia in relazione alla pretesa difformità tra motivazione e dispositivo, sia in ordine alla richiesta di rinnovo della trattazione del merito della controversia per la dedotta omessa notifica presso il domicilio eletto della società.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società anche ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.
4. L’Agenzia delle Entrate si è “costituita” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 170, primo comma, c.p.c..
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “nullità dell’ordinanza collegiale pronunciata dalla Commissione tributaria centrale in data 4 gennaio 2013 per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa a norma degli articoli 101 c.p.c., 24 e 111 Costituzione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
Nullità dell’ordinanza collegiale pronunciata dalla Commissione tributaria centrale in data 4 gennaio 2013 per omessa o contraddittoria motivazione circa l’eccepita inammissibilità dell’istanza di correzione di errore materiale, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Invero, la Commissione tributaria centrale, pronunciando l’ordinanza del 4 gennaio 2013, senza che di tale udienza fosse stata data comunicazione alla L.R. s.p.a., nel domicilio eletto presso lo studio del dott. M.B., come da comunicazione depositata il 19 marzo 1993, previa revoca e sostituzione di quello precedente presso il Rag. T. P., aveva violato il contraddittorio fra le tutte le parti in causa. Benché ne fosse stata fatta sollecitazione con la memoria del 27 novembre 2012 redatta dal dott. B., non era stata fissata l’apposita udienza, con la notifica del relativo provvedimento 60 giorni prima di tale udienza. Dopo la presentazione di detta memoria la Commissione centrale non aveva notificato alcunché al domicilio eletto di L.R..
2. Con il secondo motivo di impugnazione la società lamenta la “inammissibilità dell’istanza/ricorso per correzione di errore materiale dell’Agenzia delle entrate con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Nullità della decisione impugnata norma dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”. Invero, il procedimento per la correzione dell’errore materiale di cui agli articoli 287 seguenti c.p.c. non è utilizzabile nel caso di contraddittorietà tra motivazione e dispositivo della sentenza, la quale determina la nullità, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per mancanza dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la società si duole della “erroneità dell’ordinanza collegiale pronunciata dalla CTC in data 4 gennaio 2013 per falsa applicazione dell’art. 50, d.lgs. n. 546 del 1992, e contraddittoria motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 4 c.p.c.”. La Commissione tributaria centrale, quindi, non solo ha indebitamente interpretato se stessa, ma ha pure errato nel farlo. Infatti, il richiamo all’art. 50 del d.lgs. n. 546 del 1992 non è pertinente, in quanto il procedimento non era regolato dalle disposizioni di quel decreto, ma da quelle del d.P.R. n. 636 del 1972.
3.1. I motivi primo, secondo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.
3.2.Invero, il procedimento di correzione degli errori materiali è di natura amministrativa, non costituendo un nuovo giudizio o una nuova fase processuale rispetto a quello in cui la sentenza è stata emessa, ma un mero incidente del medesimo processo. Il provvedimento di correzione è di tipo amministrativo ed è privo di natura decisoria, non incidendo sui diritti sostanziali e processuali delle parti, ma è solo funzionale all’eventuale eliminazione di errori di redazione, materiali o di calcolo, del provvedimento.
Proprio per la natura non giurisdizionale, ma amministrativa, del procedimento di correzione e per il carattere non decisorio del provvedimento che ne consegue, quest’ultimo, anche se di rigetto, non è autonomamente impugnabile, neppure con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Costituzione, nemmeno per violazione del contraddittorio, come emerge del resto anche dal comma quarto dell’art. 288 c.p.c.
Il quarto comma dell’art. 288 c.p.c. dispone che “le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione”, sicché il riferimento alle “parti corrette” della sentenza fa emergere che l’ordinanza di rigetto non è impugnabile per cassazione, neppure con lo strumento straordinario di cui all’art. 111 della Costituzione.
Nessun rimedio è, dunque, previsto nel caso di rigetto dell’istanza di correzione, neppure quando sia negata la qualifica di errore materiale o di calcolo.
3.3.Infatti, per questa Corte, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, l’art. 288 c.p.c., nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nei termine ordinario decorrente dai giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, appresta uno specifico mezzo di impugnazione, che esclude l’impugnabilita per altra via del provvedimento in base al disposto dell’art. 177, comma 3, n. 3, c.p.c., a tenore del quale non sono modificabili né revocabili le ordinanze per le quali la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo. Pertanto, il principio di assoluta inimpugnabilità di tale ordinanza, neppure col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., vale anche per quella di rigetto, in quanto il provvedimento comunque reso sull’istanza di correzione di una sentenza all’esito del procedimento regolato dall’art. 288 c.p.c. è sempre privo di natura decisoria, costituendo mera determinazione di natura amministrativa non incidente sui diritti sostanziali e processuali delle parti, poiché funzionale all’eventuale eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo che non può toccare il contenuto concettuale della decisione; per questa ragione resta impugnabile, con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo la sentenza corretta, proprio al fine di verificare se, tramite il surrettizio ricorso al procedimento in esame per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio, sia stato violato il giudicato ormai formatosi (Cass., sez. 2, 27 febbraio 2019, n. 5733; Cass., sez. 6-2, 27 giugno 2013, n. 16205).
4. Con il quarto motivo di impugnazione la società deduce “l’erroneità della decisione impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 649 del 1983, nonché per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c.”. La motivazione resa dalla Commissione tributaria centrale è soltanto apparente e, comunque, insufficiente. Si è, infatti, affermato nella sentenza che vi erano lacune ed errori commessi dalia società, perché i dati ri leva bili dal modello 760, prospetto “entità delle riserve e altri fondi”, non erano “riconciliabili” con i dati di bilancio; inoltre si evidenziava che, soprattutto, nella relazione degli amministratori e anche nella denuncia dei redditi, mancava il prospetto di classificazione delle riserve di cui all’art. 2 della legge n. 649 del 1983. In realtà, nell’ultima pagina della relazione degli amministratori sul bilancio dell’esercizio 1985 era contenuta l’indicazione dei fondi e delle riserve di cui alla specifica classificazione ai sensi e per gli effetti della legge n. 649 del 1983. Inoltre, la corretta interpretazione dell’art. 2, settimo comma, della legge 649 del 1983 non poteva essere quella ministeriale di cui alla circolare n. 8 del 16 marzo 1984, in base alla quale la maggiorazione di conguaglio era applicabile ogni volta che l’indicazione delle riserve venisse omessa anche soltanto in uno dei due documenti in esso richiamati, ossia la relazione degli amministratori e la dichiarazione dei redditi. Per la ricorrente interpretazione corretta era quella di circoscrivere l’applicazione dell’aumento di imposta per la società soltanto al caso in cui l’indicazione delle riserve non risultasse in alcuno dei due documenti anzidetto come emergeva dall’uso della disgiuntiva “o” nell’individuare i due atti dove, alternativamente, l’indicazione doveva essere effettuata. Doveva, peraltro, consentirsi alla società di dimostrare che le riserve distribuite si erano formate con utili dell’esercizio 1983 regolarmente assoggettati ad Irpeg con aliquota del 36%.
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. Invero, la sentenza della Commissione tributaria centrale è stata depositata il 14 giugno 2012, sicché trova applicazione la disciplina dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., prima delle modifiche di cui al decreto-legge n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012.
4.3. I fatti sono pacifici tra le parti. Nell’assemblea ordinaria dei soci del 31 dicembre 1985 la società aveva deliberato di distribuire ai soci la somma di lire 1.178.235.689,00, da prelevare dalle riserve formate con utili conseguiti negli esercizi 1982 e 1983, rispettivamente per lire 615.932.000,00 e lire 562.304.000,00. Su quest’ultimo importo di lire 562.304.000,00, che proveniva da una riserva formata con utili dell’esercizio 1983, “assoggettati a Irpeg con aliquota del 36%”, nessuna maggiorazione di conguaglio Irpeg era dovuta ai sensi della legge n. 649 del 1983. Infatti, tali utili, che componevano la riserva, erano stati pacificamente “assoggettati a Irpeg e con aliquota del 36%”.
Tuttavia, in sede di determinazione dell’Irpeg per l’anno 1985, L.R., per mero errore materiale, aveva applicato la maggiorazione di conguaglio nella misura del 15%, anche su tale somma, oltre che su quella di lire 615.932.000,00, da assoggettare a tale maggiorazione, trattandosi di riserva distribuita con utili assoggettati ad Irpeg nell’anno 1982 con aliquota ridotta. Infatti, l’aliquota Irpeg del 36% era stata introdotta proprio dalla legge n. 649 del 1973, ma con decorrenza dal periodo d’imposta 1983. In tal modo, ne era derivato l’indebito versamento di lire 84.346.000,00, ossia lire 562.304.000,00 x 15%.
Pertanto, in tal modo la “maggiorazione di conguaglio” del 15%, che avrebbe dovuto sostituire l’imposta Irpeg eventualmente non gravante sulla riserva in sede di formazione degli utili costitutivi della stessa, era stata versata su di una riserva formata con utili “già assoggettati ad Irpeg con l’aliquota massima 36%”.
4.4. L’art. 2 della legge 25 novembre 1983, n. 349, in vigore dal 1 gennaio 1983, prevede, al primo comma che “con decorrenza dal periodo d’imposta in corso all’entrata in vigore della presente legge, l’aliquota dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche è elevata al 36% e il credito d’imposta di cui all’art. 1 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, è stabilito nella misura uniforme di 9/16 degli utili che concorrono a formare il reddito imponibile dei soci”. Pertanto, l’aliquota di imposta sul reddito delle persone giuridiche è stata aumentata dal 30% al 36%.
Il legislatore ha, quindi, disciplinato il rapporto tra le imposte pagate dalla società ed il credito d’imposta spettante ai soci, al fine di evitare o di attenuare la doppia imposizione.
4.5. Al secondo comma dell’art. 2 della legge 25 novembre 1983 n. 649 si prevede l’ipotesi in cui la somma distribuita ai soci sull’utile dell’esercizio sia superiore al 64% del reddito imponibile dichiarato dalla società. Si dispone, dunque, che “se la somma distribuita sull’utile dell’esercizio, diminuita della parte assegnata alle azioni di risparmio al portatore, è superiore al 64% del reddito imponibile, al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi, dichiarato dalla società ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche dovuta per l’esercizio medesimo, l’imposta stessa è aumentata, a titolo di conguaglio, di un importo pari a 9/16 della differenza”.
Tale norma, che prevedeva la “maggiorazione da conguaglio”, è poi confluita nell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ed è stata successivamente abrogata a decorrere dal 1998 a seguito del d.lgs. n. 467 del 1997.
Nel caso, invece, in cui gli utili distribuiti fossero inferiori al 64% del reddito imponibile, si era previsto con l’art. 105, terzo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, che vi fosse una ” franchigia” in favore della società, ovvero una esenzione.
5. Per questa Corte, in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), ai fini della determinazione della “maggiorazione di conguaglio” (istituto introdotto dall’art. 2 della legge 25 novembre 1983, n. 649, di conversione, con modificazioni, del d.l. 30 settembre 1983, n. 512, e poi trasfuso nell’art. 105 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), il calcolo del reddito imponibile deve essere effettuato senza tener conto di poste assoggettate a tassazione negli esercizi antecedenti al 1983, poiché il sistema in questione decorre dalla data di entrata in vigore della legge che lo prevede, ed è quindi insensibile a fatti economici verificatisi negli esercizi precedenti, anche se divenuti valutabili nel periodo di vigenza dell’istituto; inoltre, il computo delle poste indicate non si conformerebbe al principio del divieto di doppia imposizione, ma realizzerebbe una indebita ripetizione di imposte legittimamente versate negli esercizi di competenza (Cass., sez. 5, 30 novembre 2011, n. 25534; Cass., sez. 5, 20 gennaio 2011, n. 1210; Cass., sez. 5, 11 gennaio 2008, n. 421).
6. Il terzo comma dell’art. 2 della legge n. 649 del 1973 attiene, invece, alla fattispecie della distribuzione di utili derivanti da riserve o altri fondi formati a decorrere dal l’esercizio in corso al 1983.
Prevede, infatti, il terzo comma che “se vengono distribuite somme prelevate da riserve o altri fondi formati a decorrere dall’esercizio in corso all’entrata in vigore della presente legge con utili o proventi non assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, eccettuati a) quelli che in caso di distribuzione concorrono a formare il reddito imponibile della società e b) quelli che in caso di distribuzione non concorrono a formare il reddito imponibile dei soci, l’imposta sul reddito delle persone giuridiche dovuta dalla società per l’esercizio nel quale ne è stata deliberata la distribuzione è aumentata, a titolo di conguaglio, di un importo pari a 9/16 del relativo ammontare diminuito della parte assegnata alle azioni di risparmio al portatore”.
Si è chiarito che la maggiorazione da conguaglio di cui al terzo comma dell’art. 2 della legge 649 del 1983, a differenza delle ipotesi di cui al secondo comma concernente la distribuzione di utili di esercizio, riguarda la distribuzione di somme prelevate da riserve o altri fondi formati a decorrere dal l’esercizio in corso al 31 dicembre 1983, con utili o proventi non assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche (in tal senso anche Circolare n. 8 del 16 marzo 1984 del Ministero delle Finanze).
Pertanto, è necessario distinguere le varie categorie di riserve o fondi:a) riserve o fondi che in caso di distribuzione concorrono a formare il reddito imponibile della società;b) riserve o fondi che in caso di distribuzione non concorrono a formare il reddito imponibile dei soci;c) riserve o fondi costituiti con utili o proventi che hanno partecipato alla formazione del reddito imponibile della società; d) riserve o fondi costituiti con utili o proventi che non hanno partecipato alla formazione del reddito imponibile della società.
7. Il comma sesto dell’art. 2 della legge n. 649 del 1983 dispone, poi, che “nella relazione degli amministratori delle società soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche e in allegato alla dichiarazione dei redditi delle società stesse devono essere distintamente indicati: 1) l’ammontare complessivo delle riserve o altri fondi formati a decorrere dal Teserei zio in corso all’entrata in vigore della presente legge con utili o proventi assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche; 2) l’ammontare complessivo delle riserve o altri fondi di cui al terzo comma; 3) l’ammontare complessivo delle riserve o altri fondi di cui al quarto comma; 4) l’ammontare complessivo delle riserve o altri fondi di cui alla lettera a) del terzo comma; 5) l’ammontare complessivo delle riserve e degli altri fondi di cui alla lettera b) del terzo comma”.
7.1. Il comma 7 dell’art. 2, quindi, dispone che “se nella relazione degli amministratori o nella dichiarazione dei redditi relative all’esercizio nel quale è stata deliberata la distribuzione delle riserve o altri fondi è stata omessa l’indicazione di cui al precedente comma, l’imposta sul reddito delle persone giuridiche è aumentata di un importo pari a 9/16 delle somme distribuite”.
Questa è proprio l’ipotesi che viene contestata dall’Agenzia delle entrate alla società.
8. Tuttavia, si evidenzia che proprio la lettera della norma, costruita con la particella disgiuntiva “o” consente alla società di fornire la prova della indicazione della tipologia delle riserve utilizzate per la distribuzione degli utili, in via alternativa, quindi o con la specifica relazione degli amministratori, oppure con la dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio nel quale è stata deliberata la distribuzione delle riserve o degli altri fondi.
9. Inoltre, la motivazione della Commissione tributaria centrale, dopo che nei primi due giudizi, dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado e di secondo grado, era stato riconosciuto il diritto al rimborso dell’imposta pagata in eccesso, in favore della società, in quanto “dalla dichiarazione dei redditi e dalla relazione degli amministratori si possono desumere gli anni (1982 e 1973) in cui le riserve distribuite si sono formate”, si è limitata a dare conto di “lacune ed errori”, ri levabili dal modello 760, prospetto “entità delle <
riserve altri fondi”, senza però indicare con precisione gli errori asserita mente commessi. Inoltre, la Commissione centrale ha fondato la sua decisione, “soprattutto” perché “nella relazione degli amministratori ed anche nella denuncia dei redditi, manca il prospetto di classificazione delle riserve ex art. 2 legge 649/83”.
In realtà, tale motivazione si palesa insufficiente, avendo la società indicato nella relazione degli amministratori la classificazione della tipologia delle riserve utilizzate per la distribuzione degli utili. Invero, a pagina 11 del ricorso per cassazione si legge che “nell’ultima pagina della relazione degli amministratori sul bilancio dell’esercizio 1985 è contenuta l’indicazione dei fondi e delle riserve di cui alla specifica classificazione ai sensi e per gli effetti della legge 649/1983”.
Le dichiarazioni dei redditi 1983, 1984 e 1985 con allegati relativi bilanci e le relazioni dell’amministratore unico della L.R. s.r.l. sono stati allegati ai numeri 12, 13 e 13 del ricorso per cassazione.
10. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, che si adeguerà al seguente principio di n diritto: “In tema di imposte sui redditi, l’art. 2 della legge 25 novembre 1983, n. 349, in vigore dal 1 ° gennaio 1983, da un lato, ha aumentato l’aliquota dell’imposte sul reddito delle persone giuridiche dal 30 al 36 %, con un credito di imposta in favore dei soci nella misura pari a 9/16 degli utili che concorrono a formare il reddito imponibile dei soci, e dall’altro, ha disciplinato il rapporto tra le imposte pagate dalla società ed il credito di imposta spettante ai soci, fino al 31 dicembre 2003 (prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina sui dividendi), al fine di evitare o di attenuare la doppia imposizione. Nel caso in cui gli utili distribuiti ai soci derivino da riserve o da altri fondi formati a decorrere dall’esercizio in corso al 1983, non assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, l’imposta dovuta dalla società per l’esercizio nel quale ne è stata deliberata la distribuzione è aumentata, a titolo di conguaglio, di un importo pari a 9/16 del relativo ammontare (maggiorazione da conguaglio), ai sensi del terzo comma dell’art. 2 della suddetta legge, essendo, perciò, indispensabile che la società, che intenda sottrarsi al pagamento di tale maggiorazione, indichi o nella relazione degli amministratori della società o in allegato alla dichiarazione dei redditi della stessa, in via del tutto alternativa, ai sensi del settimo comma dell’art. 2, il prospetto analitico delle riserve di cui al sesto comma dell’art. 2, con la individuazione della specifica tipologia delle stesse”, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili i motivi primo, secondo e terzo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.