CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2022, n. 20679
Lavoro – C.C.N.L. Terziario – Mansioni superiori – Inquadramento nel terzo livello – Differenze retributive – Esclusione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bari ha accolto il ricorso proposto dal Consorzio S.A. ed, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda di S.S. di inquadramento nel terzo livello del c.c.n.l. del terziario e di condanna al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione alle mansioni svolte nel periodo dal 9 marzo 2009 al 30 aprile 2013 escludendo che le stesse fossero riconducibili al livello rivendicato.
2. La Corte territoriale, diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dalla lavoratrice nel corso dell’interrogatorio formale e quelle dei testi escussi nel corso del primo grado di giudizio non confermavano lo svolgimento di una attività di elaborazione e di ulteriore valutazione dei dati che la lavoratrice si limitava ad acquisire, verificandone solo la completezza e la corrispondenza a modelli standard, le domande di iscrizione, variazione e cancellazione dall’Albo Regionale Gestori Ambientali mentre era la Commissione, cui le domande istruite erano inoltrate, a valutarne la completezza e correttezza.
Inoltre ha escluso che i compiti svolti dalla S. si connotassero per un’adeguata determinante iniziativa nell’ambito delle mansioni svolte e per l’applicazione di procedure operative complesse, trattandosi invece di mera verifica di corrispondenza del contenuto delle domande presentate dagli utenti e della documentazione allegata rispetto a modelli standard.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.S. affidato a due motivi al quale ha opposto difese con controricorso il Consorzio S.A.- CAS. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ. l’omessa valutazione del fatto, decisivo per il giudizio, dell’utilizzazione, da parte della S., della qualifica di istruttore nella sottoscrizione dei verbali sottoposti alla Commissione Regionale; della natura, varietà e complessità delle mansioni svolte; del grado di autonomia che connotava l’attività istruttoria.
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito non avrebbe compreso il contenuto delle mansioni rivendicate e conseguentemente avrebbe male interpretato la rilevanza dell’attività istruttoria espletata dalla lavoratrice, in piena autonomia con regolarità e curandone l’intera procedura, sin dalla fase iniziale (di ricezione della domanda con rilascio della ricevuta di accettazione), nella fase istruttoria di verifica di conformità della documentazione allegata (redigendo verbali con segnalazione delle criticità, rapporti di verifica delle istanze con valutazione circa l’accoglibilità o meno delle stesse) e nella fase finale di sottoposizione delle istanze istruite alla Commissione Regionale dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali la quale si limitava ad approvarle nei medesimi termini proposti dall’istruttore.
Infine, evidenzia che si occupava anche della redazione dei verbali di ammissione, variazione o cancellazione e che provvedeva a notificarli via pec agli interessati.
4.2. Deduce che la Corte territoriale avrebbe valorizzato, quanto alla fase istruttoria, l’esistenza di un programma automatizzato (AGEST) ed avrebbe invece sospeso qualunque ulteriore indagine sui compiti svolti dalla lavoratrice e sul grado di autonomia e responsabilità richiestole che era confermato, peraltro, anche dalla complessità proprio di quel sistema utilizzato.
Inoltre, avrebbe trascurato anche di dare il corretto rilievo alle annotazioni formulate in calce ai verbali di verifica inviati alla commissione.
5. Il motivo è inammissibile poiché tende a proporre alla Corte una diversa valutazione dei medesimi fatti già tutti valutati dalla Corte di appello e ritenuti inidonei a ricondurre le mansioni in concreto accertate tra quelle ascrivibili al terzo livello rivendicato.
5.1. La Corte territoriale ha proceduto ad una attenta disamina delle dichiarazioni della ricorrente, rese in sede di interrogatorio formale, e di quelle rese dai testi escussi ed ha chiarito che le caratteristiche delle mansioni in concreto accertate e dei compiti ad essa assegnati, ricomprendendo tra questi le attività di controllo della durata dei contratti di locazione, di idoneità del mezzo al trasporto dei rifiuti ed anche delle annotazioni apposte sui report e fatte proprie dal Segretario, sono tutte attività che richiedono conoscenze tecniche, così come previsto per il quarto livello di appartenenza ma non esprimono quella adeguata e determinante iniziativa che connota il terzo livello rivendicato.
5.2. Va qui ribadito che per ravvisarsi il vizio di motivazione denunciato, è necessario che si denunci l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) ma non anche che si pretenda dalla Corte una diversa complessiva valutazione dei fatti risultanti dall’istruttoria svolta ed esaminati dal giudice del merito seppure con una ricostruzione diversa ed ugualmente plausibile seppure non favorevole all’interessato (cfr. Cass. su. 07/04/2014 n. 8053 e più recentemente Cass. s.u. 27/12/2019 n. 34476 e 04/03/2021 n. 5987).
6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. dell’art. 2103 cod.civ. e dell’art. 100 del c.c.n.l. del settore commercio e terziario.
6.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe trascurato di valutare il fatto storico acquisito al processo della sottoscrizione da parte della lavoratrice dei verbali e del documento da sottoporre alla Commissione Regionale con la qualifica di Istruttore.
Deduce che tale elemento decisivo, se preso in esame, avrebbe condotto ad una diversa soluzione della controversia con accoglimento della pretesa azionata così come stabilito dal giudice di primo grado.
Alla imprudente valutazione della prova sarebbe conseguita, infatti, una errata applicazione delle norme contrattuali.
Deduce che la Corte di appello avrebbe attribuito alle dichiarazioni rese dalla S. in sede di interrogatorio ed alle prove testimoniali un significato opposto a quello che avevano.
6.2. Anche questo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile atteso che ove ci si dolga della violazione dell’art. 116 cod.proc.civ. è necessario allegare che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), o ancora, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, ed il giudice abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Ove si deduca invece che il giudice abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. sez. u. 30/09/2020 n. 20867 e Cass. 09/06/2021 n. 16016).
Non può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 cod.proc.civ. in relazione ad una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. 27/12/2016 n. 27000 e 17/01/2019 n. 1229).
6.3. Quanto poi alla errata sussunzione dei fatti accertati nella declaratoria astratta ed alla conseguente violazione dell’art. 2103 cod.civ. le censure si scontrano con una corretta individuazione dei tratti distintivi delle due qualifiche ed un procedimento di sussunzione del pari corretto fondato su una ricostruzione dei fatti che, come si è detto, non è censurabile in questa sede se non nei limiti del nuovo 360 n. 5 cod. proc.civ. non ravvisabili nel caso concreto atteso che la Corte di appello, nella sua ricostruzione prende in esame tutte le attività svolte dalla S. anche quelle nelle quali lei ravvisa aspetti valutativi e le riconduce ad una attività sostanzialmente compilativa e ad una prassi di inserire dei richiami/annotazioni per semplificare il lavoro della commissione senza che tuttavia questo comporti alcuna autonoma elaborazione valutazione.
7. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 3000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.