CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 giugno 2022, n. 20690
Giornalista – Cumulo tra pensione e reddito da lavoro – Trattenute INPGI – Art. 15, Regolamento INPGI D.M. 24 luglio 1995 – Disapplicazione
Rilevato che
con sentenza depositata il 26.8.2016, la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato legittime le trattenute effettuate dall’INPGI sulla pensione spettante a E. M., negando la chiesta disapplicazione dell’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995, che prevede la decurtazione della pensione per il caso che il pensionato svolga attività lavorativa e percepisca redditi da lavoro;
la Corte, in particolare, ha ritenuto che il Regolamento INPGI legittimamente potesse derogare alla previsione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 1, recante la disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro, dando sul punto continuità al principio di diritto affermato da Cass. n. 8067 del 2016;
avverso tali statuizioni, E. M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
Inpgi ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria, con la quale ha chiesto in subordine la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte;
Considerato che
con il primo ed il secondo motivo di censura, E. M. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38 I. n. 416/1981, come novellato dall’art. 76 della I. n. 388/2000 anche alla luce D. Lgs. n. 509 del 1994, art. 1, nonché la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 19 (conv. con L. n. 133 del 2008), della L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 1, e della L. n. 289 del 2002, art. 44, commi 1 e 7 per avere la Corte di merito illegittimamente applicato l’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995, sul presupposto che l’Istituto godrebbe di un’autonomia normativa pari rispetto alle casse professionali privatizzate di cui al medesimo D. Lgs. n. 509 del 1994 e, quindi, potrebbe dettare una diversa disciplina, rispetto a quella relativa all’assicurazione generale obbligatoria, del divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro;
i motivi, connessi e quindi da trattare congiuntamente, sono fondati;
questa Corte, superando il contrario avviso espresso da Cass. nn. 8067 e 12671 del 2016 (entrambe cit. nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.), ha ormai consolidato il principio secondo cui, in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, agli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) deve applicarsi la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria facente capo all’INPS, con conseguente necessità di disapplicare l’art. 15 del Regolamento INPGI, cit., che disciplina la materia del cumulo tra reddito da lavoro e trattamento pensionistico in maniera diversa da quanto previsto nel regime relativo all’ a.g.o. (così, da ult., Cass. nn. 19573 del 2019, 21470 del 2020, 22170 e 33140 del 2021);
a sostegno della continuità al principio già espresso da Cass. n. 1098 del 2012, questa Corte ha invero osservato che non si tratta certo di negare il valore semantico attribuito dall’opposto orientamento al disposto della L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 4, secondo cui l’autonomia gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta all’INPGI, come agli altri enti privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, troverebbe limite nella mera esigenza che l’Istituto assicuri il coordinamento delle proprie regole gestionali con quelle operanti con riguardo al regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, ma semmai di attribuire la necessaria rilevanza alla norma regolatrice della fattispecie ratione temporis di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 2 e della L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 2, la cui formulazione letterale (secondo cui “a decorrere dal 1 gennaio 2003 il regime di totale cumulabilità tra redditi di lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, prevista dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 72, comma 1, è esteso ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età. I predetti requisiti debbono sussistere all’atto del pensionamento”) è tale da legittimare l’interpretazione secondo cui il regime di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro ivi introdotto operi identicamente per la previdenza sociale obbligatoria e per le forme sostitutive, anche ove gestite da enti privatizzati, per modo che la disposizione cit. ben può rappresentare quella “norma espressa” che lo stesso Istituto ricorrente sostiene essere necessaria affinché la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’ a.g.o. sia applicabile anche agli iscritti alla forma sostitutiva gestiva dall’Istituto medesimo;
tale soluzione non contrasta con la citata pronunzia n. 17589 del 2015 resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, atteso che quest’ultima si riferisce all’interpretazione della disciplina sul contenimento della spesa pensionistica di cui al D.L. n. 201 del 2011 (conv. con L. n. 214 del 2011), e l’affermazione ivi contenuta, secondo cui il riferimento dell’art. 24, comma 4 D.L. ult. cit., alle forme esclusive e sostitutive dell’a.g.o. non si potrebbe estendere a quelle gestite dagli enti privatizzati, lungi dal valere come criterio interpretativo generale da estendere anche alla L. n. 289 del 2002, art. 44 appare piuttosto giustificata in relazione al fatto che, nell’ambito del D.L. n. 201 del 2011, cit., la normativa riguardante gli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza è regolata appositamente dall’art. 24, comma 24;
si deve piuttosto aggiungere che – come parimenti rimarcato da Cass. n. 19573 del 2019, cit. – l’autonomia finanziaria dell’INPGI non è neppure integrale, soccorrendo proprio con riguardo alla disciplina dei pensionamenti anticipati la fiscalità generale: basti ricordare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 19, comma 18-ter, lett. a), punto 2, (conv. con L. n. 2 del 2009), ha inserito nel corpo della L. n. 416 del 1981, art. 37 il comma 1-bis, secondo il quale “l’onere annuale sostenuto dall’INPGI per i trattamenti di pensione anticipata di cui al comma 1, lett. b), pari a 10 milioni di Euro annui a decorrere dall’anno 2009 è posto a carico del bilancio dello Stato”, con conseguente facoltà dell’Istituto di “ottenere il rimborso degli oneri fiscalizzati” previa presentazione di idonea documentazione;
a tale misura di sostegno finanziario, peraltro, va aggiunto il radicale intervento di cui all’art. 1, comma 103 della Legge n.234 del 30 dicembre 2021, con il quale, tra l’altro, < Al fine di garantire la tutela delle prestazioni previdenziali in favore dei giornalisti, con effetto dal 1° luglio 2022, la funzione previdenziale svolta dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «G. A.» (INPGI) ai sensi dell’articolo 1 della legge 20 dicembre 1951, n.1564, in regime sostitutivo delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, è trasferita, limitatamente alla gestione sostitutiva, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che succede nei relativi rapporti attivi e passivi […]>;
anche sotto tale profilo, dunque, la soluzione fatta propria dai giudici di merito si rivela viziata dagli errori imputatile da parte ricorrente;
non può, ancora, essere letta in senso contrastante con tale ormai consolidato orientamento, l’ordinanza n. 22173 del 2021, richiamata dal controricorrente in memoria;
tale pronuncia, infatti, ha chiarito che nessuna interferenza, quanto ai reciproci oggetti, può dedursi rispetto all’orientamento dettato da Cass. n. 19573 del 2019, n. 21470 del 2020 e da Cass. n. 22170 del 2021, trattandosi in questo caso di motivazione direttamente correlata alla stretta interpretazione dell’art. 44 della L. n. 289 del 2002 che non ha per nulla messo in discussione il valore precettivo annesso al principio del coordinamento di cui all’art. 76 della I. n. 388 del 2000;
il ricorso, pertanto, va accolto e la causa va rinviata alla stessa Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, affinché esamini la fattispecie relativa alla domanda proposta da E. M. alla luce del principio sopra espresso;
al giudice del rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnate e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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