CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16134
Rapporto di lavoro – Superiore inquadramento – Differenze retributive – Compensazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c.
Rilevato che
La Corte d’appello di Bari confermava la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede che aveva accolto ricorso proposto da R.S. nei confronti della I., srl, condannando detta società al pagamento della somma di euro 17.628,54 a titolo di differenze retributive spettanti alla ricorrente, in relazione al rivendicato quinto livello c.c.n.I. di settore.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società, sulla base di plurimi motivi ai quali la lavoratrice oppone difese con controricorso.
Considerato che
1. Con il presente ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., omessa pronuncia in ordine alla eccezione di litispendenza, violazione e falsa applicazione dell’art. 295 e dell’art. 116 c.p.c.
Si lamenta in estrema sintesi, che la Corte di merito sia pervenuta all’accoglimento della domanda attorea, in assenza del minimo supporto probatorio, tralasciando di considerare l’eccezione di litispendenza sollevata in relazione ad altro giudizio in precedenza incardinato fra le medesime parti innanzi al Tribunale di Bari; di liquidare le spese in conformità alla tariffa professionale; di esperire il preventivo tentativo di conciliazione.
2. Deve esaminarsi con priorità la questione pregiudiziale – sollevata dalla controricorrente ma rilevabile d’ufficio, attenendo alla rituale instaurazione del rapporto processuale – relativa alla sussistenza del potere rappresentativo speso dal difensore della società ricorrente in relazione al presente giudizio di legittimità, essendo l’atto di conferimento della cd. rappresentanza tecnica, elemento indefettibile e indispensabile della fattispecie legale in forza della quale l’esercizio dello ius postulandi da parte del legale diviene attività del soggetto da lui assistito.
Ed invero, l’avvocato che sottoscrive il ricorso diretto alla Corte di Cassazione deve essere munito di procura speciale, a pena d’inammissibilità del ricorso medesimo (artt. 365 e 83 c.p.c.).
Secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, il carattere di specialità prescritto, a tutela della stessa parte ricorrente, si concretizza nel conferimento ex professo dell’incarico di difesa in relazione alla fase ed al grado del processo da instaurare innanzi alla Corte di Cassazione e sulla base di una specifica valutazione della decisione da impugnare (per tutte v. Cass. 14 dicembre 1994, n. 10696). Nell’ottica descritta si è quindi affermato che dalla necessità di tale specifica valutazione discende l’inidoneità della procura generale alle liti a conferire mandato per ricorrere in Cassazione (Cass. 16 maggio 2003, n. 7710; Cass. 20 novembre 2009, n. 24548).
Sempre in via di premessa va rimarcato come il requisito della specialità della procura – che postula una consapevole valutazione della pronuncia da impugnare nonché la sussistenza dello ius postulandi al momento dell’instaurazione del rapporto processuale con la controparte – richieda che essa sia conferita dopo la pubblicazione della sentenza e non oltre la notificazione del ricorso all’intimato.
Pertanto la procura per il ricorso per cassazione è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, attesa l’esigenza di assicurare, in modo giuridicamente certo, la riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa (fra le molte: Cass. 9 marzo 2011, n. 5554).
A ciò consegue che il ricorso deve ritenersi inammissibile qualora la procura sia conferita a margine dell’atto introduttivo di primo grado, ancorché per tutti i gradi di giudizio, né, in ogni caso, che, ai sensi dell’art.365 c.p.c., persista la validità della procura per il giudizio di appello (Cass. 11 settembre 2014, n. 19226; Cass. 7 gennaio 2016, n. 58).
3. Esposte tali premesse, deve osservarsi che nello specifico, dalla intestazione del ricorso si evince come il difensore avv. M.G., affermi l’esistenza della procura mediante la dicitura “in forza di procura ut in atti”.
L’affermazione risulta del tutto generica, non specificando quale sia l’atto in cui la procura sarebbe contenuta; se si tratti di atto pubblico o privato; se sia stato prodotto in questa sede; come sia reperibile in atti secondo le prescrizioni a pena di inammissibilità di cui agli artt. 366 c. 1 n. 6 c.p.c. e 369 c.p.c.; in tal modo essa non consente di verificare se effettivamente la procura speciale per il giudizio di cassazione sia stata rilasciata anteriormente o contemporaneamente alla notificazione del ricorso.
L’unico dato che emerge con certezza è che la procura non risulta apposta a margine del ricorso, né in calce, né è allo stesso allegata; non è ritrascritta nel corpo del ricorso, non è stata notificata unitamente ad esso (come rilevato dalla contro-ricorrente), né (ove rilasciata con atto separato), risulta allegata al ricorso notificato entro i termini di legge.
Dalla descritta carenza, del tutto insanabile alla stregua dei summenzionati principi, discende l’inammissibilità del ricorso per l’inesistenza della procura (cfr. ex aliis, Cass. 10 ottobre 2019 n. 25435 Cass. 7 gennaio 2016 n. 58).
4. Va peraltro in proposito sottolineato – con riguardo al governo delle spese del giudizio di cassazione – come sia fermo l’orientamento di questa Corte in base al quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che, non riverberando l’attività dello stesso alcun effetto sulla parte, lo stesso difensore sia parte nel processo in ordine alla questione d’inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale a ricorrere per cassazione. Pertanto, nel caso in cui la Suprema Corte non ritenga che sussistano giusti motivi di compensazione, la condanna alle spese va pronunciata a carico del difensore stesso, quale unica controparte del controricorrente nel giudizio di legittimità (Cass. cit. n. 25435/2019, Cass. S.U. 10 maggio 2006 n. 10706, Cass. 20 giugno 2006 n.14281).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, non sussistendo motivi per disporre la compensazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c., consegue la condanna dell’avv. M.G. al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’articolo 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna l’avv. M.G. al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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