CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16180
Tributi – Reddito di impresa – Costi deducibili – Accantonamento ripristino beni terzi – Società affittuaria dell’azienda – Costo storico risultante dalla contabilità della concedente
Rilevato che
la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno (d’ora in poi C.T.R.) -nella controversia originata dall’impugnazione da parte della T. s.r.l. di avviso di accertamento relativo a Irap, Iva e Ires per l’anno di imposta 2005, rigettava l’appello, proposto dalla Società avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale che ne aveva accolto il ricorso parzialmente, annullando la sola ripresa a tassazione di una sopravvenienza passiva e confermando, nel resto, l’atto impositivo;
il Giudice di appello, con riguardo alla indeducibilità dello “accantonamento ripristino beni terzi”, ribadiva il dictum del primo Giudice, rilevando come tale tipo di accantonamento non fosse tra quelli previsti nell’art.107 del TUIR; aggiungeva che la fattispecie non rientrava neppure nell’ipotesi contemplata dall’art.102 TUIR, trattandosi di ammortamento effettuato da soggetto diverso dall’effettivo affittuario dell’azienda;
in ordine, invece, al recupero IVA, rilevava che la contribuente non avesse fornito la prova degli asseriti errori commessi dai verificatori in ordine alla diversità di spessore e formato dei materassi in resina, le cui vendite erano risultate maggiori degli acquisti;
avverso la sentenza la Società propone ricorso su due motivi cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate;
il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art.380 bis-1 cod.proc.civ., alla trattazione in camera di consiglio.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso la ricorrente dedute, ai sensi dell’art.360 primo comma, n.ri 3 e 4 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione degli art.1571 cod.civ. e 1615 cod.civ. e, conseguentemente, degli artt. 88, 102, 107 e 109 del d.P.R. n.917/86, relativamente al recupero a tassazione del “fondo accantonamento ripristino beni dei terzi” e dell’accantonamento ripristino beni di terzi” ;
in particolare, la ricorrente premette in fatto di avere stipulato, in data 4.12.1999, con M.T. contratto di affitto di ramo di azienda, avente ad oggetto l’attività industriale di fabbricazione di materassi ivi compreso l’affitto dell’immobile industriale, già in precedenza, locato, in parte, con contratto del 1.9.1994 dal T. alla V.G.M. s.r.l. e di avere, quindi, provveduto a riscuotere e fatturare i relativi fitti attivi. Secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. avrebbe errato a ritenere indeducibili i detti accantonamenti, in quanto l’affittuario dell’azienda subentra nelle posizioni fiscali del concedente in relazione alle attività trasferite e, in ogni caso e in subordine, avrebbe errato a ritenere tali accantonamenti integralmente indeducibili, perché nel contratto di affitto di azienda , erano compresi alcuni beni (macchinari e attrezzature) diversi dall’immobile concesso in locazione;
1.2 la censura è fondata. Questa Corte (v.Cass.Sez. 5, Sentenza n. 6836 del 08/03/2019) ha già, condivisibilmente, statuito che «in tema di determinazione del reddito d’impresa, le quote di ammortamento delle aziende date in affitto o in usufrutto sono deducibili, ai sensi degli artt. 67, comma 9, del d.P.R. n. 917 del 1986 e 14, comma 2, del d.P.R. n. 42 del 1988, dal reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario, e non da quello del concedente, e sono commisurate al costo originario dei beni risultante dalla contabilità del concedente>>;
tale principio ribadisce la regola di diritto, già stabilita in passato da Cass.10/08/2010 n. 18537, per la quale: «in tema di determinazione del reddito d’impresa, le quote di ammortamento delle aziende date in affitto (o in usufrutto), ai sensi degli artt. 67, comma 9, del d.P.R. n. 917 del 1986 [attuale art. 102, comma 8, TUIR], e 14, comma 2, del d.P.R. n. 42 del 1988, sono deducibili dal reddito dell’affittuario (o dell’usufruttuario), non da quello del concedente»;
si è, infatti, rilevato: che l’art. 102, comma 8, d.P.R. n.917 del 1986, con riferimento al trattamento fiscale delle quote di ammortamento delle aziende date in affitto (o in usufrutto), dispone che esse sono deducibili “nella determinazione del reddito dell’affittuario”, il che significa che le stesse quote debbono essere dedotte dall’utilizzatore e non dal proprietario dei beni aziendali e che la norma aggiunge che le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni, risultante dalla contabilità del concedente, e sono deducibili fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato, ovvero, se il concedente non ha tenuto regolarmente il libro dei beni ammortizzabili (o altro libro o registro regolarmente tenuti), considerando già dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso; tanto premesso, nel caso in esame, la C.T.R. non ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, e, senza approfondire, adeguatamente, il proprio ragionamento ha reputato contra legem che la società, quale affittuaria dell’azienda, avesse illegittimamente dedotto le quote d’ammortamento dei cespiti (ammortizzabili), sebbene il dato, preliminare e indispensabile del costo storico di tali componenti, risultasse dalla contabilità della concedente;
2. è, invece, infondato il secondo motivo con il quale la Società, con riferimento al rilievo attinente all’IVA, deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, cod.proc.civ. la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art.112 cod.proc.civ. per omessa pronuncia sui motivi di gravame;
2.1. le Sezioni Unite di questa Corte (cfr.sentenza n.7074 del 20.3.2017) hanno statuito, in proposito, il seguente principio « in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, c.p.c. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali»;
2.2 nel caso in esame, il Giudice di appello, come evincibile dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, infatti, non si limita a condividere le argomentazioni svolte dal primo Giudice, ma esplicita le ragioni di tali condivisione, laddove afferma che l’appellante non ha prodotto idonea documentazione a prova di quanto sostenuto nella censura in argomento;
la sentenza, su tale capo, rimane, pertanto, esente da censura, data, peraltro, la genericità del mezzo di impugnazione nel quale non vengono riprodotti, neppure per stralcio idoneo allo scopo, gli specifici motivi di appello sui quali la C.T.R. avrebbe omesso di rendere idonea motivazione.
3. in conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla C.T.R. Campania, sezione di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo;
cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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