CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 maggio 2018, n. 13354

Tributi – IVA – Accertamento – Frode carosello – Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – Onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria – Mancanza di strutture logistiche e di adeguata organizzazione della società cedente – Sufficiente – Prova della “complicità” tra cedente e cessionario – Esclusione – Onere di prova contraria a carico del cessionario

Rilevato

– che, in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini IVA emessi relativamente agli anni di imposta 2007 e 2008, con cui l’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.F., che aveva accertato il coinvolgimento della N. Auto s.r.l. in una c.d. “frode carosello”, aveva disconosciuto e, quindi, ripreso a tassazione l’IVA esposta in una serie di fatture emesse dalla predetta società per operazioni soggettivamente inesistenti, l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui non replica la società intimata, avverso la sentenza in epigrafe indicata che aveva rigettato l’appello proposto dalla predetta Agenzia avverso la sfavorevole sentenza di primo grado;

– che, secondo i giudici di appello, non sussisteva la prova della complicità della società contribuente nelle operazioni contestate, di sottofatturazioni volte alla frode fiscale, mentre «la carenza di strutture logistiche, di organizzazione adeguata, di rappresentanza in capo alle società interposte non sono supportate da prove fondate e soprattutto atte a dar vita a presunzioni gravi, precise e concordanti»; dichiarava, inoltre, di condividere le valutazioni fatte dal giudice penale, che aveva «dichiarato non luogo a procedere» nei confronti del legale rappresentante della società contribuente «perché il fatto non sussiste», ritenendole «valide non solo in sede penale, ma anche nella presente sede tributaria, in base alle motivazioni ed alle prove versate in causa»;

– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;

Considerato

– che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 654 c.p.p.e 115 e 116 cod. proc. civ., sostenendo che la sentenza impugnata contiene un rinvio acritico alla sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente, essendo invece noto che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può, nel separato giudizio tributario, attribuirsi alla sentenza penale di assoluzione, essendo il giudice tributario tenuto a valutare nel suo specifico ambito la condotta delle parti e l’acquisito materiale probatorio;

– che il motivo è inammissibile; invero, il riferimento all’accertamento eseguito in sede penale è stato effettuato dalla CTR ad abundantiam, dovendosi ravvisare la ratio decidendi che sostanzia la statuizione qui impugnata nei passaggi motivazionali immediatamente precedenti alle argomentazioni censurate nel mezzo in esame, da cui emerge chiaramente che i giudici di appello fondano la decisione sul difetto di prova della “complicità” tra i soggetti coinvolti nella c.d. “frode carosello”, sul disconosciuto valore presuntivo della mancanza nelle società cartiere di strutture logistiche ed adeguata organizzazione e sulla mancanza di «oggettivo riscontro di benefici derivanti da sotto fatturazione»;

– che, pertanto, la censura che il primo mezzo di impugnazione veicola, è sostanzialmente inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass. n. 22380 del 2014)

– che con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 60 bis, commi 2 e 3, d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ.; sostiene la ricorrente che la CTR aveva omesso di applicare la disposizione fiscale censurata che prevede la solidarietà passiva della società cessionaria nel pagamento dell’imposta non versata dalla società cedente;

– che il motivo è inammissibile per la novità della questione dedotta, la cui prospettazione nei precedenti gradi di merito non è desumibile né dal contenuto del ricorso né dalla sentenza impugnata; secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, «qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa» (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017);

– che è invece fondato il terzo motivo di ricorso con cui è dedotta la violazione degli art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ.; motivo incentrato sul riparto dell’onere probatorio in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, in base al quale è sufficiente, ai fini dell’adempimento dell’onere probatorio posto a carico dell’amministrazione finanziaria, che questa provi la mancanza di strutture logistiche e di adeguata organizzazione della società cedente, mentre non è tenuta a fornire la prova della “complicità” tra cedente e cessionario, come invece erroneamente ritenuto dalla CTR;

– che, come costantemente affermato da questa Corte, anche in una pronuncia emesse tra le medesime parti (Cass. n. 2260 del 2018), relativa, però a diverso anno di imposta, «in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’i.v.a. in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’i.v.a. a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta [circostanza, quest’ultima, che esclude qualsivoglia rilevanza al mancato conseguimento, da parte della società cessionaria, di un qualche beneficio economico dall’effettuazione delle operazioni contestate]; con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’i.v.a. versata [a prescindere, quindi, dal conseguimento di un vantaggio economico] (cfr. Cass. 13.3.2013, n. 6229; Cass. 21.4.2017, n. 10120, secondo cui, in tema di evasione a mezzo di “frodi carosello”, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente – cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta)»;

l’amministrazione finanziaria non aveva fornito «prova di complicità nelle operazioni contestato e che le carenze di strutture logistiche e di adeguata organizzazione aziendale delle società “cartiere” non costituivano presunzioni qualificate e dell’esistenza «di benefici derivanti da sottofatturazione»;

– che, in sintesi, va accolto il terzo motivo, dichiarati inammissibili gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla competente CTR che rivaluterà questioni di merito alla stregua dei principi sopra enunciati, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia sez. Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.