CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 marzo 2019, n. 8665

Lavoro – Contratto di collaborazione coordinata e continuativa – Assenza dello specifico progetto – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Diritto al superiore inquadramento

Rilevato

1. Che la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado ed in parziale accoglimento della originaria domanda, ha dichiarato la sussistenza tra G. F. A. e P. A. s.r.l. di un rapporto di lavoro subordinato dal 31.1.2005 al 31.11.2009, il diritto dell’A. all’inquadramento nel I livello – Quadro c.c.n.I. Terziario e al trattamento economico e normativo ivi previsto;

1.1. che, in particolare, per quel che ancora rileva, il giudice di appello, qualificato il contratto di consulenza intervenuto tra le parti come contratto di collaborazione coordinata e continuativa e rilevata l’assenza dello specifico progetto prescritto dagli artt. 61 e sg. d. lgs. n. 276 del 2003, ha ritenuto, in applicazione dell’art. 69, comma 1, d. lgs. cit., operante la conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; ha quindi accertato il diritto al superiore inquadramento ed al relativo trattamento economico e normativo; ha respinto le domande connesse al prospettato licenziamento verbale essendo emersa la inequivoca volontà dell’A. di porre fine al rapporto dopo l’ultima scadenza contrattuale;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P. A. s.r.l. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria ai sensi dell’art. 380-bis-1. cod. proc. civ.;

Considerato

1. Che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 62 d. lgs. n. 276/2003 cit. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4, cod. proc. civ. violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; sotto il primo profilo, richiamato l’art. 62 d. lgs. n. 276/2003 cit. nel testo vigente ratione temporis, assume che il giudice di appello, nell’escludere la sussistenza del progetto, aveva fatto riferimento ad una nozione eccessivamente restrittiva non coerente con il dato normativo, e aveva, inoltre, omesso di considerare il riferimento legislativo al <<programma di lavoro o fase di esso>> ; in questa prospettiva contesta la sentenza impugnata per avere affermato che il progetto di cui all’art. 62 d. lgs. n. 276/ 2003 cit. non si identifica nella prestazione di un’opus ma rappresenta il parametro oggettivo al quale il prestatore deve conformare la prestazione in funzione dell’interesse del creditore; sotto il secondo profilo denunzia il malgoverno delle prove per avere assegnato alle stesse un significato diverso da quello proprio, con violazione del canone del prudente apprezzamento;

2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 69 d. lgs n. 276/2003 cit. e dell’art. 1 Legge n. 92 del 2012 – insussistenza/inapplicabilità della presunzione assoluta; e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., errata mancata ammissione delle prove richieste dalla società. Premessa l’applicabilità, ratione temporis, della disciplina del contratto a progetto ex d. lgs. n. 276/2003 cit. nel testo previgente alle modifiche introdotte dalla Legge 92/2012 cit. sostiene, in sintesi, che la conversione del rapporto di lavoro ex art. 69 comma 1, nel testo ante novella, è frutto di presunzione relativa superabile con la dimostrazione delle effettive caratteristiche di autonomia della collaborazione instaurata dalle parti, indipendentemente dall’assenza del progetto;

3. che la censura sviluppata con il primo motivo, relativa alla corretta identificazione, alla stregua del dato normativo, della nozione di <<progetto (o programma di lavoro o fase di esso) >> al fine della valida stipula del contratto di cui agli artt. 61 e sg. d. lgs. n. 276/ 2003 cit. è infondata;

3.1. che, infatti, la sentenza impugnata ha chiarito che il progetto (o programma di lavoro o fase di esso) << non individua l’oggetto dell’obbligazione, che deve piuttosto ravvisarsi nella prestazione dell’opera, ma rappresenta il parametro oggettivo al quale il prestatore deve conformare la prestazione in funzione dell’interesse del creditore. In quest’ottica, la prestazione non si identifica con il programma di lavoro, ma si pone in relazione ad un progetto (o programma di lavoro o fase di esso) riguardante l’organizzazione aziendale ed il risultato, previsto dall’art. 61, comma 1 d. lgs n. 276 del 2003, non deve essere inteso come il risultato conseguente all’adempimento dell’obbligazione lavorativa, ma come il risultato cui tende l’organizzazione aziendale stessa. Tale interpretazione, come evidenziato in dottrina, risulta in linea con la circolare ministeriale dell’8 gennaio 2004, n. 1, secondo cui il progetto consiste in un’attività ben identificabile e funzionalmente collegata ad un risultato finale cui il collaboratore partecipa” mentre il programma di lavoro o fase di esso si distinguono “per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni o risultati parziali ” . In sostanza il progetto o il programma di lavoro o la fase di esso altro non sono che un particolare ed individuato segmento dell’attività aziendale in cui si inserisce la prestazione del lavoratore a progetto. Occorre tuttavia precisare che il progetto, proprio per soddisfare i caratteri di specificità che gli sono propri non può semplicemente coincidere con l’oggetto sociale della datrice di lavoro…>> . Sulla scorta di tali presupposti la Corte di merito ha escluso che nel contratto in controversia, con il quale era conferito l’incarico di fornitura di <<servizi di consulenza tecnologica multimediali>>, fosse ravvisabile un progetto, men che meno che lo stesso fosse specifico;

3.2. che la ricostruzione, nei termini sopra descritti, della nozione di progetto (o programma di lavoro o fase di esso) destinata a qualificare la collaborazione tra le parti come riconducibile alla ipotesi normativamente disciplinata dagli artt. 61 e sgg. d. lgs. n. 276/2003 cit. è coerente con la condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall’art. 61 del d.lgs. n. 276/2003 cit., prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione; ne deriva che il progetto concordato non può consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (Cass. n. 17363 del 2016, Cass. n. 15922 del 2013); la nozione di <<specifico progetto>>, di cui all’art. 61 d.lgs. n. 276/ 2003 cit., quale deriva dalla esegesi normativa, deve ritenersi consistere – tenuto conto delle precisazioni introdotte nell’art. 61 cit. dalla legge n. 92/2012 cit. – in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore; la norma in esame non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, non essendo desumibile tale nozione restrittiva né dall’art. 61 cit. nell’originaria formulazione, né dalla complessiva regolamentazione della fattispecie dettata dal d.lgs. n. 276 del 2003 e successive modifiche (Cass. n. 24379 del 2017);

3.3. che il secondo profilo di censura articolato con il primo motivo è inammissibile in quanto la questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione, alla stregua del novellato art. 360, n.5 cod.proc.civ. (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie qui scrutinata), come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v.Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n.8053);

4. che il secondo motivo è infondato. Si ritiene, infatti, di dare continuità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso (art. 69, comma 1, citato), vi è conversione automatica del rapporto in rapporto di lavoro subordinato la quale non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva (Cass. n. 17636 del 2016, Cass. n. 17448 del 2016, Cass. n. 17127 del 2016, Cass. n. 9471 del 2016, Cass. n. 15922 del 2013). Tale condivisibile orientamento appare aderente alla sentenza n. 399/2008 con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “la novità così introdotta a regime dal d.lgs. n. 276 del 2003 è quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano però riconducibili ad un progetto” ed è altresì conforme all’art. 24 della legge 92/2012 il quale ha chiarito, in via definitiva, con norma di interpretazione autentica, che “l’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”;

5. che al rigetto del ricorso consegue la liquidazione delle spese di lite secondo soccombenza;

6. che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.