CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 marzo 2022, n. 9933
Collegamento societario – Licenziamento illegittimo – Tutela reintegratoria applicata in via solidale – Indici di sussistenza collegamento economico-funzionale
Rilevato che
Con sentenza n. 683 del 4 settembre 2018, la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello proposto dalle società Villa O.F. s.r.l. e T. s.r.l. avverso la decisione di primo grado che, ritenuto dimostrato il collegamento societario fra le due società, ha reputato ingiustificato il licenziamento intimato ad E.C., in favore del quale aveva applicato la tutela reintegratoria ai danni di entrambe le società in via solidale, detraendo l’aliunde perceptum in base alla retribuzione che il lavoratore aveva dimostrato di aver percepito presso terzi medio tempore;
in particolare, la Corte ha escluso di poter accogliere le doglianze delle appellanti circa la ritenuta configurabilità di un unico centro di interessi in base ad un collegamento economico – funzionale fra le due società ed ha, altresì, reputato adeguatamente dimostrata l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo per essere stato soppresso il solo settore alberghiero di V.O., lasciando inalterata l’attività di ristorazione cui, pacificamente, il C. era stato addetto;
per la cassazione della sentenza propongono ricorso, assistito da memoria, Villa O.F. s.r.l. (già Villa O.R. s.r.l.) e la T. s.r.l. (già Ristoro V.O. s.r.l.) affidandolo a cinque motivi; resiste, con controricorso assistito da memoria, E.C.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727-2729 cod. civ. circa il riparto degli oneri probatori con riferimento all’unicità della struttura organizzativa e produttiva;
con il secondo motivo si allega la violazione degli artt. 2082-2084-2086 cod. civ. nonché 2094 cod. civ. per inesistenza di un lavoro indifferentemente prestato per entrambe le società;
con il terzo motivo si deduce ancora la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 3 L. n. 604/66 e art. 18 L. n. 300/1970 in ordine all’impossibilita di reimpiego del ricorrente;
con il quarto motivo di ricorso si allega la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e 24 Cost. per mancata ammissione di un teste;
con il quinto motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti sempre con riguardo alla mancata ammissione del teste;
tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, non possono trovare accoglimento;
va preliminarmente rilevato, relativamente alla denunziata violazione dell’art. 2697 cod. civ., che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà, mira ad ottenere una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità; deve aggiungersi che non è configurabile la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. neppure nell’ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. n. 17313 del 2020) giova poi evidenziare, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 112, che, nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia data il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poiché l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (fra le altre, Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684);
in particolare, poi, con riguardo alla dedotta omessa pronuncia, occorre evidenziare che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni prospettazione od allegazione, risultando sufficiente che egli esponga in misura concisa gli elementi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti che, seppur non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata con l’iter argomentativo seguito;
ne consegue che il vizio di omessa pronuncia, configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto — non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere ne comporti il rigetto (fra le tante, Cass. n. 24953 del 2020; Cass. n. 2830 del 2021);
va inoltre rilevato che, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che presiedono all’ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche una violazione delle disposizioni concernenti le prove non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);
quanto, inoltre, alla violazione delle norme costituzionali, secondo quanto statuito dal Supremo Collegio (cfr., S.U. n. 25573 del 2020), la stessa non può essere prospettata direttamente con i motivi di ricorso per cassazione in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma considerata;
con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., va rilevato che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017) in realtà la Corte, con ampia ed approfondita motivazione ha accertato, fra l’altro: 1) che la società Ristoro V.O. (oggi T.) aveva, come unico socio, la società Villa O.R. e persone dello stesso gruppo familiare erano, a vario titolo, presenti sia nell’una sia nell’altra società; 2) le due società avevano lo stesso oggetto sociale come era possibile evincere dalla visura camerale, mentre, in via di fatto, l’una gestiva un albergo, l’altra un ristorante che, peraltro, si occupava del servizio colazioni e della ristorazione dei clienti dell’albergo; 3) entrambe le aziende operavano nel medesimo complesso immobiliare e tutti i servizi (forniture di acqua, luce e gas, telefonia, riscaldamento) erano intestati alla società V.O.; 4) inizialmente le due attività erano gestite da un’unica struttura che poi divenne la società 11 ristoro V.O.: 5) le comunicazioni di servizio relative alle due attività erano effettuate in modo unitario; 6) le disposizioni di servizio erano rivolte (da parte dell’Amministratore di V.O.) indistintamente ed unitariamente al personale dell’una e dell’altra società; 7) sicuramente il C. era destinatario di compiti che avevano riferimento tanto al resort quanto al ristorante;
orbene, a fronte dell’ampia e diffusa motivazione della Corte circa i descritti elementi che l’anno indotta a ritenere sussistente un collegamento economico — funzionale fra le due società, qualsiasi diversa valutazione deve reputarsi sottratta al sindacato di legittimità;
deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 c 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pan a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pan a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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