CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31153
Fusione per incorporazione di società in liquidazione – Caratteristiche dimensionali e organizzative di “grande magazzino” – Applicazione dell’orario di 38 ore settimanali in luogo di quelle lavorate pari 40 ore – Previsione di favore del CCNL per i commessi che operano in condizioni più impegnative e/o stressanti rispetto al negozio di piccole dimensioni – Interpretazione plausibile, logicamente adeguata, non contrastante con i criteri ermeneutici letterali e sistematici del testo della disposizione collettiva – Differenze retributive – Sussiste
Rilevato che
1. Con la sentenza n. 484/2016 la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia del Tribunale di Treviso n. 123 del 2013 con la quale era stato accertato e dichiarato che la S.M.E. spa e la F. spa, nella quale era stata fusa per incorporazione la M.C. srl in liquidazione, possedevano le caratteristiche dimensionali e organizzative per essere qualificate “grande magazzino” ai fini dell’applicazione dell’art. 33 del CCNL del Settore terziario nonché era stato accertato il diritto dei lavoratori, originari ricorrenti, all’applicazione dell’orario di 38 ore settimanali con decorrenza dall’1.1.1996 e fino al 10 gennaio 2004 nello stabilimento di Susegana alle dipendenze della ditta M.C. SRL e per il successivo periodo alle dipendenze della S.M.E. Susegana srl, con condanna delle società a corrispondere le differenze retributive conseguenti all’applicazione dell’orario di 38 ore settimanali in luogo di quelle lavorate di 40 ore, con riferimento a tutti gli istituti retributivi e con decorrenza dai cinque anni precedenti il primo atto di messa in mora per ciascun ricorrente, oltre accessori.
2. Per quello che interessa i giudici di seconde cure evidenziavano che: a) la ratio dell’art. 33 del CCNL Settore terziario era quella di regolare l’orario di lavoro dei commessi che si trovano ad operare in condizioni diverse e più impegnative e/o stressanti di quelle del negozio di piccole dimensioni; b) per la definizione di “grandi magazzini”, sia che si dovesse prendere in considerazione la nozione adottata dal Ministero dello Sviluppo Economico sia che si dovesse avere come riferimento quella elaborata dall’ISTAT, ciò che assumeva rilevanza ai fini della individuazione era una serie di elementi che erano ravvisabili nello stabilimento ove veniva espletata l’attività lavorativa; c) conseguentemente era applicabile l’art. 33 del CCNL citato in tema di regolamentazione dell’orario lavorativo.
3. Avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione la S.M.E. spa e la F. spa, affidato a tre motivi, illustrati con memoria, cui hanno resistito con controricorso A.M., F.L., M.M., P.C., F.A., P.L., M.I., C.D., C.M., B.D. e P.M..
4. D.M., B.T., A.A. e A.E. non hanno svolto attività difensiva.
5. Il PG non ha formulato richieste scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo le ricorrenti denunziano “la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc per violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cc e, per l’effetto, del CCNL terziario” per avere la Corte di merito affermato la sussistenza del requisito di “grande magazzino” in capo all’esercizio gestito dalla S.M.E. spa sulla base di definizioni rintracciate aliunde, ovvero da atti emessi da organi della PA (Ministero dello Sviluppo Economico ed ISTAT) del tutto estranei al rapporto di lavoro, nonché privi di efficacia vincolante per le parti del contratto. In particolare, quindi, si sostiene che i giudici di seconde cure avevano: a) illegittimamente considerato le definizioni di tali organi come dirimenti; b) illegittimamente ritenuto che le previsioni del CCNL circa le 38 ore settimanali, da applicarsi ai grandi magazzini, fosse tesa a tutelare prestazioni lavorative maggiormente gravose, pur in mancanza di norme contrattuali sul punto; omesso di interpretare il CCNL secondo i basilari principi di ermeneutica, per limitarsi ad estrapolare la locuzione “esercizi similari” contenuta nelle declaratorie contrattuali per i dipendenti di 4 e 5 livello adibiti in un sistema di vendita “ad integrale libero servizio”, al solo scopo di sostenere che il punto vendita di Susegana potesse considerarsi un esercizio similare al grande magazzino; c) considerato dirimente la presenza in detto esercizio degli addetti alle casse anziché conferire valore esclusivo alla presenza di numerosi venditori, dislocati in ogni reparto, con i quali non era possibile realizzare un sistema di vendita massimamente snello e produttivo in funzione di una maggiore efficienza dei flussi di clientela.
3. Con il secondo motivo si censura “la violazione dell’art. 360 n. 5 cpc per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, ovvero per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”, per avere la Corte territoriale omesso – postulando una definizione di grande magazzino assolutamente non pertinente e del tutto disancorata dalle prescrizioni contrattuali di riferimento – di valutare correttamente l’istruttoria esperita nel primo grado di giudizio.
4. Con il terzo motivo le società lamentano “la violazione dell’art. 360 n. 3 cpc, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cc”, per non avere la Corte di merito rilevato che, a fronte della documentazione da esse prodotte, i lavoratori non avevano dimostrato che la presenza nell’organigramma aziendale di ben 59 venditori era una circostanza non veritiera o, comunque, del tutto ininfluente rispetto ad un modello organizzativo a libero servizio.
5. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
6. Sono inammissibili le doglianze con cui si lamenta che la Corte territoriale abbia fatto riferimento, per individuare la nozione di “grande magazzino”, alle definizioni desunte da organi della P:A: (ISTAT e Ministero dello Sviluppo Economico) perché esse non si confrontano con la effettiva ratio decidendi della gravata sentenza ove si è affermato che ciò che assumeva rilevanza, ai fini della fattispecie, era la sussistenza di una serie di elementi tali da consentire la caratterizzazione della presenza di un “grande magazzino” e, conseguentemente, della applicazione dell’art. 33 del CCNL che regola l’orario di lavoro dei commessi ivi impiegati, e non le definizioni dell’ISTAT e del MISE assolutamente non considerate come dirimenti.
7. Sono, altresì, inammissibili tutte le censure, contenute nel motivo, essenzialmente intese alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009): esse riguardano, in particolare, le argomentazioni contenute nella gravata sentenza relativamente al rapporto tra la presenza degli addetti alle casse e a quella dei commessi alle vendite, da cui si è desunto il sistema di vendita dell’esercizio di Susegana.
8. Sono, invece, infondate le doglianze in ordine alla individuazione della ratio della disposizione di cui all’art. 33 del CCNL Terziario 3.11.1994, (“Fermo restando quanto previsto dal primo comma dell’art. 31, seconda Parte, le aziende che esercitano l’attività di vendita al pubblico nei grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati alimentari, cash and carry e ipermercati, realizzeranno l’articolazione dell’orario medio settimanale di 38 ore, utilizzando le 56 ore di permessi di cui all’art. 68, terzo comma, seconda parte, e le ulteriori 16 ore di cui al successivo quarto comma dell’art. 68, seconda Parte”), operata dai giudici di seconde cure e fondata sull’assunto che la diversa regolamentazione dell’orario di lavoro degli addetti alla vendita dei grandi magazzini (38 ore settimanali), rispetto a quelli dei negozi tradizionali di piccole dimensioni, trovi il suo fondamento nelle “diverse condizioni più impegnative e/o stressanti”, in quanto trattasi di una interpretazione plausibile, logicamente adeguata, non contrastante con i criteri ermeneutici letterali e sistematici del testo della disposizione, rispetto alla quale la diversa posizione delle ricorrenti si palesa unicamente come una opzione interpretativa diversa ed alternativa.
9. E’ opportuno ricordare che, in materia di contrattazione collettiva, la comune volontà delle parti contrattuali non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, spesso articolata in diversi livelli (nazionale, provinciale e aziendale, ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che di detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 cc (cfr. Cass. n. 6264 del 2006 e Cass. n. 14461 del 2006).
10. Orbene, la tesi della società, secondo cui il minore orario di lavoro troverebbe la sua causa “nell’impiego de/lavoratore in un modello organizzativo più semplificato ed efficiente, teso ad eliminare le pause tra una vendita ed un’altra” contrasta con l’effettiva tipologia dell’attività lavorativa espletata, come regolata da tutta la contrattazione collettiva di settore, che, nella ipotesi di “grandi magazzini”, in una visione globale ed effettiva: a) si concreta essenzialmente in quella di commessi, banconisti e cassieri; b) è distribuita su sette giorni lavorativi, a causa delle frequenti (se non fisse) aperture domenicali; c) è caratterizzata da una turnazione variabile, solitamente portata a conoscenza senza un congruo anticipo e che non consente una programmazione pianificata della vita privata, d) spesso si articola nelle forme anche dell’orario “spezzato” e viene resa anche in ore notturne, in considerazione del momento di apertura e di chiusura di taluni esercizi, a differenza di quanto avviene nella piccola distribuzione.
11. Queste caratteristiche rendono, quindi, maggiormente condivisibile la ratio giustificativa della disposizione del contratto collettivo individuata dai giudici di seconde cure rispetto a quella propugnata dalla società.
12. Infine, non è pertinente neanche l’assunto delle ricorrenti relative al fatto che la Corte territoriale avrebbe estrapolato la locuzione “esercizi similari” contenuta nelle declaratorie contrattuali per i dipendenti di 4° e 5° livello adibiti in un sistema di vendita “ad integrale libero servizio” al solo scopo di sostenere che il punto vendita di Susegana potesse considerarsi un “esercizio similare” al grande magazzino.
13. Nella gravata sentenza (pag. 8) si legge, infatti, che il riferimento all’art. 97 del CCNL (che contiene appunto la classificazione del personale con la collocazione tra i dipendenti del 4° e 5° livello degli addetti alle operazioni ausiliari di vendita e richiama la nozione di “esercizi similari”) era stato ritenuto inconferente, atteso che tutto il percorso logico-giuridico della Corte territoriale si è fondato su una nozione di “grande magazzino” di uso comune, desunta da elementi quali la dimensione dei reparti, la tipologia della merce venduta e l’organizzazione interna, risultante caratterizzante, nel concreto, l’esercizio di Susegana, con la conseguente applicabilità dell’art. 33 del CCNL citato.
14. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili.
15. Deve precisarsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
16. In tema di ricorso per cassazione, poi, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
17. In realtà le censure di cui ai motivi, sebbene articolate sotto il profilo di plurime violazioni di legge, tendono a fare valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo della parte. Al riguardo va osservato che non può essere proposto un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento giacché, diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e cioè di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità.
18. Nel caso de quo, la Corte ha congruamente ed adeguatamente motivato sul personale addetto alle vendite e su quello addetto alle casse (pag. 7 della sentenza), sottolineando che, tenuto conto dell’estensione dei magazzini e della suddivisione in reparti il numero dei primi sarebbe stato assolutamente inadeguato nel caso si fosse trattato di “vendita tradizionale assistita dal commesso”, senza, quindi, che possano essere evidenziate carenze o lacune nelle argomentazioni ovvero elementi di illogicità.
19. Alla stregua di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato.
20. Al rigetto segue la condanna delle ricorrenti al pagamento, in favore dei soli controricorrenti (nulla disponendo per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva), delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo, con attribuzione in favore dei Difensori dichiaratisi antistatari.
21. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei Difensori dei controricorrenti. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 13 gennaio 2022, n. C-514/20 - Osta a una disposizione di un contratto collettivo in base alla quale, per determinare se sia stata raggiunta la soglia di ore lavorate che dà diritto ad un aumento per gli…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15408 - L'art. 5 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692, nella parte in cui stabilisce che la maggiorazione per il lavoro straordinario non può essere inferiore al dieci per cento della retribuzione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 ottobre 2020, n. 22986 - Recupero di contribuzione Inps per le ore non lavorate, ma ricadenti nell'orario di lavoro contrattuale - Assenze ingiustificate, permessi non retribuiti e periodi di aspettativa non previsti…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 maggio 2021, n. 14069 - Deroga all'orario normale di lavoro di 40 ore settimanali ai sensi degli artt. 1, 97 e 380 CCNL aziende del turismo
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 giugno 2020, n. 11368 - In tema di part-time irregolare, oltre il limite del 3% previsto dal CCNL, i datori di lavoro esercenti attività edile «sono tenuti ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 17643 depositata il 20 giugno 20023 - La prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore in pensione ha diritto alla reintegr
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n . 32522 depositata il 23 novembre…
- Il dolo per il reato di bancarotta documentale non
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 42856 depositata il 1…
- La prescrizione in materia tributariava eccepita d
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27933 depositata il 4 ottobre 20…
- Il giudice penale per i reati di cui al d.lgs. n.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44170 depositata il 3…
- E’ legittimo il licenziamento per mancata es
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2…