CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23698
Tributi – IVA – Acquisti intracomunitari – Omessa registrazione fatture – Pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo – Irrogazione sanzioni – Art. 6, co. 1, D.Lgs. n. 471 del 1997 – Legittimità
Ritenuto che
A seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle entrate contestava alla M.U. s.r.l. oggi in liquidazione, relativamente all’anno 2006, l’omessa registrazione di fatture relative ad acquisti intracomunitari per un imponibile di € 70.000,00 – IVA relativa pari ad € 14.000,00 – in violazione dell’art. 47, d.l. n. 331 del 1993, violazione assoggettata alla sanzione di cui all’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 471 del 1997.
La CTP di Alessandria accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente avverso l’atto d’irrogazione di sanzioni e rideterminava la misura della sanzione al 3% dell’imposta irregolarmente assolta pari ad € 420,00, ai sensi dell’art. 6, co. 9 bis, d. lgs. n. 471 del 1997, “in quanto non ha causato alcun danno all’Erario”.
La CTR del Piemonte, con la sentenza di cui in epigrafe, confermava integralmente la decisione di primo grado e rigettava l’appello erariale.
Avverso tale sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate, con due motivi, mentre la società contribuente non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 4, violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, co. 2 n. 4, d.lgs. 546 del 1992, la nullità della sentenza per avere la CTR omesso di esplicitare le ragioni per le quali sarebbe da applicare il regime sanzionatone di cui all’art. 6, co. 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, non avendo neppure richiamato per relationem la motivazione della sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, d.lgs. n. 472 del 1997, 6, commi 1 e 9 – bis, d.lgs. n. 471 del 1997, 47, d.l. n. 331 del 1993, per non avere la CTR considerato che, nella specie, trattandosi di operazioni intra-comunitarie, la registrazione ai fini iva deve avvenire secondo le modalità prescritte dall’art. 47, d.l. n. 331 del 1993, con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’inversione contabile (reverse charge), alla quale si ricollega una violazione diversa da quella qui in contestazione, e che il principio del favor rei presuppone in ogni caso una identità di ratio che non ricorre tra le violazioni di cui all’art. 6, co. 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, afferenti operazioni imponibili concluse con soggetti extracomunitari, e di cui all’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 471 del 1997, afferenti invece tutte le operazioni imponibili iva.
La prima censura è infondata e va respinta.
Questa Corte ha affermato il principio secondo cui «deve considerarsi nulla la sentenza dì appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello» (cfr. Cass. nn. 22022/2017; in senso conforme Cass. nn. 15483/2008, 2201/2007, 2268/2006).
Tale principio, tuttavia, non è applicabile nella fattispecie esaminata in quanto la sentenza di appello, ancorché con poche righe di motivazione, nel respingere le ragioni erariali, riproposte come motivi di gravame, mostra di condividere, nella sostanza, le argomentazioni addotte dalla contribuente, e fatte proprie dal giudice di primo grado, circa la sanzione applicabile, in tal modo valutando la mancata annotazione di “fatture riguardanti acquisti intercomunitari nei registri stabiliti dal dpr 633/1972”, alla stregua di mera inadempienza formale “punibile con una sanzione amministrativa prevista dall’art. 6, comma 9 bis d.lgs. 471/1997 pari al 3% dell’imposta assolta“.
La seconda censura è fondata e va accolta.
La società contribuente non contesta l’accertata violazione dell’art. 47, d.l. n. 331 del 1993, convertito con modificazioni dalla l. n. 427 del 1993, per omessa registrazione di operazioni (acquisti intracomunitari) imponibili ai fini iva, e del resto non v’è dubbio che i soggetti passivi sono tenuti a emettere fattura per le operazioni che effettuano ed a registrare le fatture emesse, obbligo che riguarda tutte le operazioni che rientrano nel “campo di applicazione” dell’imposta e, quindi, non solo le operazioni imponibili, ma anche quelle “non imponibili”, e quelle “esenti”.
L’oggetto della controversia non è dunque la sussistenza della violazione, bensì la individuazione della sanzione in concreto applicabile, avendo i giudici di merito ritenuto di far rientrare la fattispecie de qua nelle previsioni del comma 9-bis, anziché del comma 1, dell’art. 6, d.lgs. n. 471 del 1997, nel testo ratione temporis vigente, in quanto trattamento sanzionatone più favorevole.
Recita l’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 471 del 1997: “1. Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta”.
Recita l’art. 6, co. 9-bis, d.lgs. n. 471 del 1997 (Comma aggiunto dall’art. 1, comma 155, L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008): “E’ punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro, il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. La medesima sanzione si applica al cedente o prestatore che ha irregolarmente addebitato l’imposta in fattura omettendone il versamento.
Qualora l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro, e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione delle disposizioni del presente periodo. Al pagamento delle sanzioni previste nel secondo e terzo periodo, nonché al pagamento dell’imposta, sono tenuti solidalmente entrambi i soggetti obbligati all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile. E’ punito con la sanzione di cui al comma 2 il cedente o prestatore che non emette fattura, fermo restando l’obbligo per il cessionario o committente di regolarizzare l’omissione ai sensi del comma 8, applicando, comunque, il meccanismo dell’inversione contabile”.
Orbene, l’Ufficio, nel caso che ci occupa, ha operato non già escludendo il diritto alla detrazione dell’IVA sulle operazioni oggetto delle irregolarità contabili, per mancato perfezionamento del meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge) che consente di traslare l’onere impositivo dall’acquirente al venditore, ma unicamente sanzionando tali condotte per cui si può affermare, sul punto, che la violazione contestata alla contribuente non ha carattere meramente formale poiché, anche quando non determina in concreto l’omesso versamento dell’Iva od una indebita detrazione, con il regime ordinario piuttosto che mediante inversione contabile, arreca un evidente pregiudizio alle azioni di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria che si trova a dover valutare la correttezza delle operazioni e la loro effettività.
Soccorre la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale quando ricorrono due concorrenti requisiti, ovvero quello di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. n. 23352/2017; n. 14158/2018; n. 21101/2018; n. 1830/2019).
Trattandosi, altresì, di fattispecie sanzionatone diverse, per cui in difetto della “eadem ratio” non trova applicazione, in via analogica, il principio del “favor rei”.
La decisione di secondo grado, poiché si discosta dai principi sopra ricordati, va cassata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario della contribuente.
Il progressivo consolidarsi della giurisprudenza di legittimità giustifica la compensazione delle spese processuali dei gradi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito, e condanna la intimata al pagamento di quelle del presente giudizio, che liquida in € 2.000,00 per compensi, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 ottobre 2019, n. 24682 - In tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale - e, in quanto tale, non è punibile ai sensi dell'art. 6, comma 5 bis, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 - quando…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5289 - Per configurare una violazione meramente formale occorre la contemporanea sussistenza di un duplice presupposto, ovvero che la violazione accertata "non comporti un pregiudizio all'esercizio…
- Corte di Cassazione sentenza n. 1282 depositata il 22 gennaio 2020 - In tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale e, come tale, non è punibile ove non pregiudichi l'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 giugno 2021, n. 16450 - In tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice di merito,…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 13908 depositata il 3 maggio 2022 - In tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice…
- Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia sezione 15 sentenza n. 5526 depositata il 27 settembre 2019 - La violazione per tardiva comunicazione della variazione IVA è formale e non punibile qualora non arrechi pregiudizio all’esercizio delle…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…