CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23702

Tributi – Dichiarazione dei redditi – Omessa indicazione separata dei costi derivanti da operazioni di acquisto di beni provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata – Dichiarazione integrativa successiva all’inizio di attività di controllo – Omissione sanabile – Esclusione

Ritenuto che

La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso, notificato il 28/4/2008 a R. s.p.a., con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di accesso effettuato il 5/9/2005, in relazione alla contestata omessa separata indicazione, nel quadro RF delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni d’imposta 2002 e 2003, trasmesse per via telematica, dei costi derivanti da operazioni di acquisto di beni provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata (Cipro, Corea, Libano, Singapore, Malaysia, Svizzera), provvedeva ad irrogare le sanzioni previste dall’art. 8, comma 3-bis, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

La C.T.R. dell’Emilia Romagna, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello erariale, ritenendo insussistente la violazione contestata, pienamente legittima la dichiarazione integrativa presentata per correggere il quadro RF delle predette dichiarazioni dei redditi con le indicazioni inizialmente omesse, e quindi applicabile la diversa sanzione di cui all’art. 8, co. 1, d.lgs. citato, pari ad € 258,00, “posto che non è contestata nella fattispecie la deducibilità e l’effettività delle operazioni, come pure l’assenza di qualsiasi pregiudizio per l’Erario”.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un solo motivo, cui resiste la contribuente con controricorso.

Considerato che

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, d.lgs. n. 471 del 1997, 2, comma 8, d.p.r. n. 322 del 1998 e 10, I. n. 212 del 2000, per avere la Commissione regionale ritenuto sanabile la violazione attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa, non potendo a ciò ostare l’intervenuto inizio di attività di controllo, ed applicabile la sola sanzione prevista dall’art. 8, co. 1, d.lgs. n. 471 del 1997 per i vizi formali della dichiarazione.

La censura è fondata e merita accoglimento.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che “l’omessa separata indicazione, nella dichiarazione, delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzate in Stati inseriti nella c.d. “black list” costituisce violazione della corrispondente prescrizione normativa (prevista sia prima che dopo la commissione di tale violazione, anche se diversamente sanzionata nel tempo)”, che “dopo la contestazione di una violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove fosse possibile porre rimedio alla mancata separata indicazione dei costi in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della relativa violazione o l’inizio di attività di verifica e controllo, la correzione stessa si risolverebbe (come rilevato da Corte Cost. n. 392 del 23 luglio 2002) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione” (Cass. n. 15015 del 2017; nn. 23745, 15798 e 15285 del 2015; n. 20081 del 2014; n. 5398 del 2012).

Con specifico riguardo al caso in esame, la dichiarazione integrativa è stata presentata dopo l’inizio dell’attività di controllo, per cui deve ulteriormente ribadirsi il principio secondo cui l’inizio di una attività di controllo, se preclude la possibilità di ottenere la riduzione delle sanzioni mediante ravvedimento operoso (art. 13 comma 1 d.lgs. 18 dicembre 1997 n.472 ), a maggior ragione non consente di vanificare la risposta sanzionatoria con la semplice presentazione, dopo che le attività di verifica hanno avuto inizio, di una dichiarazione integrativa avente finalità meramente elusive della applicazione delle sanzioni (Cass. n. 10989 del 2016).

Ed infatti, sempre in tema di effetti della mancata dichiarazione autonoma dei compensi corrisposti a fornitori operanti in Paesi inseriti nella c.d. black list, la Corte (Cass. n. 15798/2015) ha avuto occasione di evidenziare che “...dopo la contestazione della violazione, è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione. Invero, ove fosse possibile, come preteso dalla società ricorrente, porre rimedio alla mancata separata indicazione delle deduzioni in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della violazione, la correzione stessa sì risolverebbe (come rilevato da C. cost. 392/02) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione.” – cfr. Cass. 4.4.2012, sent. n. 5398 -. In linea con tale indirizzo Cass. 9 marzo 2014 n. 5670, ha cassato la sentenza della CTR che aveva escluso la legittimità della sanzione applicata Dlgs. n. 471 del 1997, ex art. 8 sulla base della dichiarazione integrativa presentata dal contribuente “… successivamente all’avvio della verifica fiscale”, richiamando i principi espressi da Cass. n. 5398/12. 11.9 In modo più analitico. Cass. n. 24929/2013 ha inteso esplicitare le ragioni che impediscono in parte qua la presentazione di dichiarazioni integrative ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1992, art. 2, commi 8 e 8 bis. 11.10 Si è in particolare sottolineato che le ipotesi di correzioni a favore del contribuente (art. 2, comma 8 bis) riguardano l’esercizio di un diritto del quale il predetto è già titolare al momento della presentazione della dichiarazione originaria, e che può, quindi, validamente opporre al Fisco con la presentazione della dichiarazione integrativa. Ipotesi che, per converso, non ricorre allorquando viene a coincidere la commissione dell’illecito tributario (indebita deduzione di costi) con il mancato perfezionamento del diritto (alla deduzione dei costi). Quando, in definitiva, l’intervento modificativo della dichiarazione di redditi non ha la funzione di rideterminare correttamente componenti reddituali positivi o negativi omessi od errati o di emendare errori di calcolo ma è volto a costituire “ex novo” un diritto (come è nel caso di specie, alla deduzione di spese) prima inesistente, non è possibile il ricorso allo strumento della dichiarazione integrativa, ne’ può applicarsi il principio altra volta espresso da questa Corte, a cui tenore la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, è esercitarle anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell’amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione -v., ex plurimis, Cass. n. 20415/2014Cass. n. 19537/2014. In questa prospettiva è da intendersi il principio, già ricordato, espresso da Cass. n. 5398/2012. 11.11 Ha dunque errato la CTR nel riconoscere che la dichiarazione integrativa della parte contribuente potesse essere validamente utilizzata al fine di elidere la sanzione irrogata dall’Ufficio. 11.12 Nemmeno può convenirsi con la difesa della società contribuente tesa ad ammettere che il contegno della stessa andrebbe sussunto unicamente nella sanzione compresa fra Euro 258 a Euro 2.065 prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8,comma 1. 11.13 Questa Corte ha infatti ritenuto applicabile “…per le sole violazioni dell’obbligo di separata indicazione riferibili a situazioni di diritto transitorio, il cumulo della sanzione proporzionale del 10% (entro limiti prescritti) disposta dal sopravvenuto comma 3 bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, Comma 1“, specificando che siffatto cumulo trova ragion d’essere solo sul presupposto dell’estensione della retroattività anche all’abolizione del previgente regime d’indeducibilità, la legittima a sua volta, finendo, così con il costituire clausola di chiusura dell’intera disciplina” – cfr. Cass. n. 9950/2015 che ha richiamato le conformi Cass. n. 4030/2015 e Cass. n. 6205/2015-. Del resto, è ferma questa Corte nel ritenere che la violazione ha carattere meramente formale – e, dunque, non è punibile ex art. 10 dello Statuto del contribuente – ove essa non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo – cfr. Cass. 27211/2014 -. Circostanza non ricorrente nel caso di specie, nel quale l’omessa indicazione dei costi separati incide sicuramente sull’attività di controllo fiscale.”.

Inoltre, il Collegio intende dare continuità, in assenza di valide ragioni per discostarsene, alla univoca giurisprudenza di legittimità secondo la quale “A seguito della modifica all’art.110 comma 11 d.p.r. 22 dicembre 1986 n.917, introdotta dall’art.1 comma 301 legge n.296 del 2006, nonché della modifica all’art.8 d.lgs.18 dicembre 1997 n.471, operata con l’aggiunta del comma 3 bis introdotto dall’art.1 comma 302 legge 296 del 2006 ( disposizione avente efficacia retroattiva a norma dell’art.1 comma 303 stessa legge), la separata indicazione dei costi derivanti da operazioni intercorse con società residenti in paesi a fiscalità privilegiata, ha cessato di essere una condizione necessaria per la deducibilità di detti costi, essendo consentito al contribuente di fornire la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilità, previsti dall’art.110 comma 11 d.p.r. 22 dicembre 1986 n.917, anche in assenza dell’adempimento formale della indicazione separata dei costi da “black list”, trattandosi di omissione attualmente rilevante sul solo piano sanzionatorio, comportante, di per sé, unicamente l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1 (Sez. 5 n. 11933 del 10/06/2016, Rv. 640084 – 01; Sez. 5 n. 6205 del 27/03/2015, Rv. 635256 – 01).” (Cass. n. 19561/2018).

Ed in ordine al regime transitorio dettato dal comma 303 del citato art. 1 della legge n. 296 del 2006, con la sentenza n. 5085 del 2017, è stato ribadito che “anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regine di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità ex art. 1, corna 2, del d. Igs. n. 471/1997), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità, come nella specie) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471/1997 (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da €. 258 a €. 2065)”.

La decisione impugnata, poiché si discosta dai principi sopra ricordati, va cassata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario della contribuente.

Il progressivo consolidarsi della giurisprudenza di legittimità giustifica la compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.