CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23799
Tributi – Accertamento – Indagini su conti correnti bancari – Movimentazioni non giustificate – Presunzione legale della disponibilità di maggior reddito non dichiarato – Onere di prova contraria
Rilevato che
A seguito di accertamenti sui conti correnti allo stesso riferibili, l’Agenzia delle entrate, avendo riscontrato rilevanti movimentazioni in entrata e in uscita, per un importo complessivo di euro 310.526,89, che non trovavano giustificazione nella attività di funzionario del Ministero dell’Interno, emetteva avviso di accertamento nei confronti di S.C. — a carico del quale era stato avviato un procedimento penale per il reato di bancarotta fraudolenta in relazione all’attività svolta, quale amministratore di fatto della fallita M. s.r.I., di cui lo stesso era socio e procuratore — ai fini del recupero a tassazione di maggiori imposte Irpef, Irap e Iva ai sensi degli artt. 32 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973.
L’ atto impositivo veniva impugnato dal contribuente che deduceva di non avere mai svolto il ruolo di amministratore di fatto della società e, in ogni caso, che tutte le operazioni bancarie effettuate tramite i suoi conti correnti erano riconducibili alla gestione della M. s.r.l.
La Commissione provinciale adita accoglieva il ricorso sul rilievo che in sede penale era stata pronunciata sentenza di assoluzione ormai passata in giudicato, per cui il contribuente non poteva essere ritenuto amministratore di fatto della società.
In esito all’appello dell’Ufficio, che ribadiva che il contribuente non aveva superato la presunzione legale di corrispondenza tra movimenti bancari e redditi, stabilita dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, la Commissione regionale confermava la sentenza di primo grado, sul presupposto che il C., essendo impegnato per gran parte della giornata con il lavoro che espletava presso la Questura di Milano e non avendo esperienza nella conduzione di una società, non poteva essere considerato amministratore di fatto della M. s.r.I.; quanto poi alle rimesse in «dare e avere» sui conti correnti sottoposti a verifica, rilevava che dalla consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, ritenuta del tutto attendibile, era emerso che il contribuente aveva ottenuto solo una restituzione parziale del finanziamento richiesto ed ottenuto nell’interesse della società e che, trattandosi di società di capitali, non era spiegabile come il presunto reddito d’impresa potesse essere stato imputato al solo C..
Difettando la prova dell’espletamento di attività commerciale, annullava integralmente l’avviso di accertamento, anche con riguardo alle sanzioni irrogate, stante la infondatezza della pretesa fiscale, a nulla rilevando che il contribuente non le avesse espressamente contestate.
Ricorre per la cassazione della sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate, con due motivi.
Il contribuente, sebbene ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
1.Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 deld.P.R.n. 600 del 1973, per avere i giudici di appello attribuito rilevanza a circostanze — quali lo svolgimento da parte del contribuente dell’attività di amministratore di fatto della M. s.r.l. e l’eventuale restituzione di parte del finanziamento dallo stesso effettuato in favore della società — non decisive ai fini del giudizio, nel quale si doveva, invece, verificare se i movimenti bancari emersi a seguito della indagine disposta trovassero o meno giustificazione e se il contribuente avesse fornito elementi analitici e documentali al fine di superare la presunzione legale relativa di cui all’art. 32 citato.
2.Con il secondo motivo censura la sentenza per omesso esame o per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso (art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc. civ.), riproponendo la stessa questione già prospettata con il primo motivo.
3.I motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.
Come è noto, in tema di imposte sui redditi, la presunzione legale della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2.
Questa Corte ha precisato che «la presunzione legale in oggetto si articola secondo due diverse modalità, distintamente previste nella prima e nella seconda parte, secondo periodo, comma primo, del citato art. 32: a) “i dati ed elementi” attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione legale secondo cui i versamenti e i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili» (Cass. n. 1519 del 20/1/2017).
Tuttavia, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (Cass., sez. 5, n. 22514 del 2/10/2013; Cass., sez. 5, n. 1519 del 20/01/2017; Cass., sez. 5, ord. 16/11/2018, n. 29572).
Ciò precisato, il contenuto dell’avviso di accertamento oggetto di impugnazione, integralmente ritrascritto nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza, evidenzia che la pretesa fiscale, nel caso di specie, scaturisce da indagini bancarie disposte, ai sensi del citato art. 32:, sui conti correnti intestati al contribuente, che hanno consentito di riscontrare numerose movimentazioni bancarie in entrata ed in uscita, per un importo complessivo di euro 295.226,89, incompatibili con i redditi di lavoro dipendente di cui il contribuente, quale funzionario del Ministero dell’Interno, era titolare, pari a soli euro 28.835,00.
L’Agenzia delle entrate, fornendo la prova che nell’anno oggetto di accertamento sui conti correnti personalmente intestati al contribuente erano affluite ingenti somme per accreditamenti bancari, ha dimostrato, avvalendosi della presunzione stabilita dall’art. 32, comma primo, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità, da parte del contribuente, di maggiori redditi tassabili.
Di conseguenza, incombeva sul contribuente l’onere di provare l’esatta provenienza di dette somme e, comunque, che si trattasse di disponibilità reddituale esente da imposta.
La Commissione regionale, pertanto, dando rilevanza alla circostanza che, alla stregua delle risultanze del procedimento penale, non vi fossero elementi per ritenere che il contribuente avesse svolto il ruolo di amministratore di fatto della società M. s.r.l. e che avesse svolto attività d’impresa, è incorsa nei vizi denunciati perché ha omesso di verificare se i movimenti bancari fossero stati o meno giustificati e se fosse stata o meno superata, da parte del contribuente, la presunzione legale di cui al citato art. 32, fatti questi decisivi e rilevanti ai fini del giudizio che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione.
4.La sentenza deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione regionale competente in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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