CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23825
Tributi – Accertamento – Società di capitali a ristretta compagine sociale – Presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati – Legittimità – Prova contraria
Fatti di causa
1. Il sig. G.B. vedeva rideterminato il proprio reddito per l’anno di imposta 2004 in proporzione della sua partecipazione alla A.K. srl, per trasparenza in ragione della ristretta compagine sociale, costituita dallo stesso B. e dalla coniuge F.L.G..
Avverso gli atti impositivi della società e di ciascun socio venivano promossi tre distinti ricorsi, non riuniti in primo grado e che esitavano nell’annullamento degli atti impositivi, segnatamente – per quanto interessa il prosieguo – ritenendo non provata la riferibilità ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società che, seppur a ristretta base azionaria, veniva considerata sempre una società di capitali, dotata di autonoma personalità giuridica, distinta da quella dei soci sotto ogni profilo.
2. Avverso la sentenza di integrale annullamento dell’accertamento ricorreva l’Ufficio, contestando la mancata riunione dei giudizi e, nel merito, l’esclusione di riferibilità agli azionisti o quotisti del maggior reddito accertato in capo alla società di capitali con due soli soci.
Si costituiva il contribuente contestando l’argomentazione dell’Ufficio e rilevando l’acquiescenza sul capo di sentenza relativo alla qualificazione della tipologia dell’eventuale maggior reddito che doveva ritenersi reddito da capitale, soggetto a tassazione separata, deducendone la formazione di un giudicato implicito.
Il giudizio di appello confermava la sentenza di primo grado, donde ricorre per cassazione l’Ufficio affidandosi a cinque motivi, cui replica con controricorso il contribuente.
Ragioni della decisione
Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
1. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione.
Con il primo motivo si prospetta il vizio di cui all’art. 360 n. 4 cpc, ovvero nullità della sentenza per error in procedendo (non meglio specificato, ma intendendosi censurare la mancata riunione). Altresì, con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 cpc per violazione art. 14 d.lgs. n. 546/1992, nonché art. 395 cpc, nella sostanza lamentando non sia stata disposta la riunione delle cause tra società e soci, connesse per profili oggettivi.
Occorre rilevare che l’invocata pronuncia di questa Corte S.U. n. 14815/2008 si riferisce unicamente alle società di persone ed associazioni, non essendovi riconosciuto litisconsorzio necessario fra soci e società di capitali, anche se ristretta base azionaria. Per contro, questa Corte ha ritenuto che nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non sussiste litisconsorzio necessario con la società (cfr. Cass. VI – 5, Ordinanza n. 20507 del 29/08/2017, Rv. 645046 – 01), sicché non vi era un dovere di riunione dei ricorsi che sarebbe stato violato dal giudice di appello.
I motivi sono dunque infondati e vanno disattesi.
2. I motivi 3, 4 e 5 possono essere trattati congiuntamente rappresentando – sotto diversi profili – la medesima doglianza circa la riferibilità per trasparenza ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società di capitali a ristretta base azionaria.
Più in particolare, con il terzo motivo si prospetta la violazione di cui all’art. 360 n. 4 cpc, ovvero nullità della sentenza per violazione art. 112 cpc, con il quarto motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 cpc per violazione e falsa applicazione in tema di onere della prova di cui agli articoli n. 2697 cc e 115 cpc; mentre con il quinto ed ultimo motivo si eccepisce il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc per omessa o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, sulla circostanza della riferibilità ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società di capitali a ristretta base azionaria.
Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di parte contribuente, ove afferma essersi consolidato un giudicato interno in ordine all’accertamento sulla natura di reddito da capitale delle somme riferite per trasparenza, in ragione dell’affermata acquiescenza dell’Ufficio su tale circostanza. La sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso del contribuente ha annullato in toto l’accertamento non ritenendo riferibile al socio il maggior reddito accertato in capo alla società di capitali ancorché a ristretta base azionaria, senza entrare nel merito della qualifica di tale ulteriore ricchezza, questione invero subordinata. Per l’effetto devolutivo dell’appello, l’impugnazione dell’Ufficio ha riguardato la critica intera alla sentenza gravata, involgendo di cognizione piena il giudice di secondo grado. Ne consegue che nessun accertamento può ritenersi definito in cosa giudicata, né la parte contribuente -ai fini dell’autosufficienza dell’eccezione- riporta i passi della sentenza ove si sarebbe consolidato un accertamento sulla natura dell’imposta. Infondata l’eccezione di cosa giudicata, occorre altresì precisare che il giudizio relativo alla società A.K. srl è esitato in cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado e che il ricorso dell’altra socia, L.G.F., risulta pendente avanti questa Corte (r.g. n. 12366/2014), donde nessun giudicato esterno con effetti riflessi può essere invocato in questa sede.
Le doglianze dell’Ufficio sono ammissibili e fondate. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018).
A questi principi non si è uniformata la sentenza qui all’esame che dev’essere cassata con rinvio al merito.
In definitiva, il ricorso è fondato e va accolto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Sicilia – Palermo, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado del giudizio.
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