CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23527
Tributi – Reddito d’impresa – Accertamento analitico induttivo – Presupposti – Assenza – Annullamento dell’atto di accertamento. – Contenzioso tributario – Impugnazione della pronuncia – Prospettazione di una opposta interpretazione – Inammissibilità del ricorso
Rilevato che
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 16 luglio 2010, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della C. s.r.l. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione relativa all’anno 2004 e recuperato a tassazione l’i.v.a. e l’i.r.a.p. non versate;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’accoglimento del ricorso della contribuente era motivato con l’insussistenza dei presupposti per l’accertamento analitico induttivo di cui all’art. 39, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, operato dall’Ufficio;
– il giudice di appello, confermando la valutazione espressa dalla Commissione provinciale, ha ritenuto che difettassero del tutto gli elementi probatori che giustificavano il ricorso all’accertamento analitico induttivo e che la contabilità della contribuente era corretta e risultava essere stato rispettato lo studio di settore applicato;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso la C. s.r.l. depositando memoria ex art. 380 bis c.p.c.;
Considerato che
– con il primo motivo del ricorso l’Agenzia denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per aver ritenuto che non sussistessero i presupposti per far luogo all’accertamento analitico induttivo operato dall’Ufficio, in ragione della corretta tenuta della contabilità e della congruità del reddito dichiarato rispetto alle risultanze dello studio di settore, e che non assumesse rilevanza il dato relativo alla scarsa redditività dichiarata, calcolata nella misura dell’1%, in quanto non teneva conto dell’ammontare delle quote di ammortamento;
– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella doglianza dell’insufficienza della motivazione e nella prospettazione, soltanto in termini di possibilità alternativa a quella scelta dal giudice d’appello, di quella che viene illustrata e non di alternativa necessariamente implicante l’assenza di adeguate basi logiche di quella resa dalla Corte di merito;
– come noto, il deficit argomentativo rilevante ai fini di integrare la fattispecie invocata del vizio motivazionale richiede che il riferimento al «fatto controverso e decisivo per il giudizio» implica che la motivazione della quaestio facti sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che tale circostanza sia tale da determinare la insostenibilità della motivazione (cfr. Cass. 20 agosto 2015, n. 17037);
– in ogni caso, la censura prospettata si risolve nell’allegazione non già di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, censurabile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione, bensì di un’erronea interpretazione, da parte della sentenza di appello, della fattispecie astratta applicata, recata dall’art. 39, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, censurabile solo quale vizio di sussunzione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce la motivazione insufficiente della sentenza impugnata per aver ritenuto priva di rilevanza, ai fini dell’ammissibilità della rettifica della dichiarazione in via analitico induttiva, la circostanza relativa al rinvenimento di grosse somme in cassa;
– anche tale motivo, per le medesime ragioni esposte con riferimento al motivo precedentemente esaminato,è inammissibile;
– infatti, la critica alla decisione di primo grado non contiene l’indicazione di elementi rivelatori della decisività dei fatti oggetto del vizio motivazionale prospettato;
– in ogni caso, come già rilevato, la Corte territoriale dà atto di tale circostanza, ma, valutata unitamente agli altri elementi acquisiti, la ritiene inidonea a dimostrare l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, presupposto per poter operare la rettifica della dichiarazione ai sensi dell’art. 39, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1970;
– anche in questo caso, dunque, viene in rilievo l’allegazione non di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, ma di un’erronea interpretazione della fattispecie astratta applicata;
– con l’ultimo motivo di ricorso l’Agenzia si duole della nullità della sentenza di appello, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo di gravame, in relazione al mancato esame dei motivi di appello con cui si evidenziavano circostanze «gravementi sospette in ordine alla correttezza delle risultanze di bilancio», tali da consentire cui il ricorso alla rettifica induttiva della dichiarazione della contribuente ai sensi dell’art. 39, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1970;
– il motivo è infondato;
– i motivi di appello, seppur articolati in relazione ai diversi elementi di prova offerti a sostegno degli stessi, vertono sulla legittimità del ricorso alla rettifica della dichiarazione ai sensi dell’art. 39, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1970;
– la sentenza impugnata, nel respingere il gravame, ha evidenziato che l’accertamento cui l’Ufficio ha fatto ricorso «è di natura eccezione si giustifica solo in presenza di particolari elementi probatori che, in questo caso, difettano del tutto», aggiungendo, poi, che «nessun elemento oggettivo l’appellante Ufficio ha fornito a giustificazione del ricorso all’accertamento di tipo analitico induttivo che ha effettuato»;
– deve, dunque, concludersi che il giudice di appello si è pronunciato sul punto, disattendendo la tesi erariale;
– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;
– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso e rigetta il terzo; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.000,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
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