CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 settembre 2021, n. 26220
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Requisiti di contenuto-forma – Caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata
Rilevato che
1. Con ricorso del 5/1/2009, A.G. chiese l’annullamento di un avviso di accertamento, in forza del quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato, per l’anno di imposta 2003, una maggiore base imponibile ai fini Irpef e relative addizionali, in relazione a maggiori redditi da fabbricati derivanti dall’individuazione di sette contratti di locazione, le cui rendite non erano state inserite nella propria dichiarazione dei redditi. Impugnato il predetto atto e incardinato il giudizio, nel corso del quale l’Ufficio, costituendosi, aveva chiesto che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere per cinque dei sette contratti, fermo restando l’accertamento per i rimanenti due, sui quali la contribuente nulla aveva eccepito, e la contribuente aveva depositato, in data 25/11/2009, memorie illustrative con le quali aveva integrato i motivi del ricorso introduttivo depositato undici mesi prima ed esibito nuovi documenti in copia, la C.T.P. dichiarò cessata la materia del contendere e confermò l’avviso limitatamente ai due restanti contratti, anche alla luce del comportamento processuale della ricorrente che non aveva motivato in merito agli stessi nel ricorso introduttivo. Proposto gravame avverso la suddetta pronuncia, la C.T.R. per la Puglia rigettò l’appello con la sentenza n. 48/7/13, depositata il 16/7/2013.
2. Contro la predetta sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata, avendo depositato tardivamente atto di costituzione al fine di partecipare alla udienza di discussione ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ..
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., 18 e 24 legge 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 2719 e 2704 cod. civ., degli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che il ricorso proposto dalla contribuente fosse incentrato sui cinque contratti di locazione registrati in data 5/6/2000 e stipulati dalla medesima in qualità di promittente acquirente, senza che gli acquisti si fossero mai perfezionati, ma non anche sui due contratti registrati il 5/6/2000 relativi a immobili di sua proprietà, per i quali non era stata sviluppata alcuna motivazione circa la dedotta nullità, benché nel ricorso fosse stato chiaramente detto che tutti i contratti di locazione erano stati risolti con espresso effetto retroattivo ed erano dunque privi di effetti giuridici, intendendo con ciò riferirsi ai sette contratti menzionati nell’avviso impugnato. Peraltro, la C.T.R. aveva omesso di motivare, non avendo dato conto del contenuto delle memorie illustrative in quanto integrative dei motivi del ricorso, né dei documenti prodotti con esse, oltre ad avere erroneamente evidenziato, quanto a questi ultimi, l’assenza di autentitcità (in quanto costituenti mere copie di dichiarazioni senza data certa e con firma non autenticata), la produzione in prossimità dell’udienza, in violazione del diritto di difesa dell’Ufficio, senza considerare che l’Ufficio non avesse contestato la conformità all’originale degli stessi, e la mancata comunicazione all’Ufficio del registro degli atti ricognitivi, benché nessuna norma stabilisca che, in mancanza di tale comunicazione, non sia possibile la risoluzione del contratto.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., 18, comma 2, e 24 legge 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 68, d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 2- quater d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che non vi era stata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la C.T.P. aveva ritenuto valido l’accertamento con riguardo ai due soli immobili, stanti le difese dell’Agenzia delle Entrate per gli altri cinque, senza considerare che l’oggetto dell’opposizione non era l’atto del 4/3/2009, con cui era stata operata la rettifica con riguardo a questi ultimi beni, ma l’avviso di accertamento. La C.T.P. invero aveva rigettato il ricorso pronunciandosi solo sull’atto emesso in rettifica, senza considerare che oggetto di impugnazione era l’originario avviso di accertamento, sicché la pronuncia sarebbe dovuta essere di cessazione della materia del contendere, mentre i giudici non avrebbero potuto ritenere dovuta l’imposta indicata nell’atto del 4/3/2009, ma pronunciarsi sull’avviso impugnato.
3. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono inammissibili.
Va in merito evidenziata, infatti, la non perspicua formulazione delle censure, prive di precise indicazioni in merito ai due contratti in contestazione, alle doglianze espresse in merito ad essi con il ricorso introduttivo dei due gradi del giudizio, ai contenuti della memoria integrativa e, soprattutto, a quelli dell’avviso impugnato riferiti ai predetti negozi, tanto più rilevante ove si consideri che il processo tributario, strutturato come un giudizio di impugnazione dell’atto impositivo emesso dall’Amministrazione finanziaria, non consenta di far valere per la prima volta in giudizio, ed a maggior ragione in appello, un fatto costitutivo della pretesa tributaria (e cioè la c.d. causa petendi) che non sia già stato assunto a suo fondamento fin dall’avviso di accertamento (Cass., Sez. 5, 13/11/2008, n. 27065).
In proposito, giova ricordare, invero, come i motivi contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio di cassazione, in quanto rimedio a critica vincolata, debbano avere, a pena di inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905) e contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e a permettere, altresì, la valutazione della fondatezza di tali ragioni (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784), dovendo perciò i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, primo comma, nn. 3, 4 e 6, cod. proc. civ., essere assolti necessariamente con il ricorso, senza poter essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, sì da imporre al ricorrente di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., Sez. 5, 13/11/2018, n. 29093).
Ciò comporta che le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito che siano stati meramente richiamati e non riprodotti nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, non contengano puntuali indicazioni utili alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero alla precisa loro collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità, scontano necessariamente un giudizio di inammissibilità per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
Alla luce di tali principi, deve allora ritenersi del tutto incongrua la descrizione degli atti extraprocessuali e processuali che hanno dato luogo alle doglianze in esame, la cui valutazione implica a monte la necessità di conoscere con esattezza le contestazioni mosse dall’Ufficio e le ragioni della loro impugnazione contenute nel ricorso introduttivo di primo grado, e ciò a maggior ragione ove si consideri che il processo tributario si caratterizza per essere introdotto dall’impugnazione dell’atto fiscale, la quale, in seguito alla sua riforma intervenuta col d.lgs. 546 del 1992, limita l’indagine sul rapporto sostanziale ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione, specificamente dedotti, a cura del contribuente, nel ricorso introduttivo di primo grado, cui il giudice è tenuto ad attenersi (Cass., Sez. 5, 02/07/2014, n. 15051), posto che l’art. 24 (applicabile con decorrenza dal 1° aprile 1996), a differenza di quanto previsto dal previgente art. 19-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (introdotto dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739), che consentiva di integrare i motivi del ricorso fino alla data di comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, subordina tale facoltà alla ricorrenza di specifici presupposti di fatto (Cass., Sez. 5, 2/4/2007, n. 8179), ossia in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (Cass., Sez. 5, 02/07/2014, n. 15051).
Pertanto, essendo l’oggetto del processo tributario rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione dedotti col ricorso introduttivo, entro i cui confini viene chiesto l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione di cui all’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ed essendo perciò inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento (o della cartella di pagamento) (vedi Cass., Sez. 5, 24/07/2018, n. 19616), la decisione di accoglimento della stessa, fondata su vizi non dedotti in sede di ricorso introduttivo oppure dedotti sotto profili diversi da quelli che costituiscono la ratio decidendi, è viziata da extra o ultrapetizione (Cass., Sez., 5, 27/7/2018, n. 20003).
Peraltro, se è vero che il contribuente che abbia proposto valido ricorso non consuma il potere di impugnazione dell’atto dell’Amministrazione finanziaria e non perde, quindi, la possibilità di proporre nuovi motivi con un ulteriore atto che abbia i requisiti previsti dall’art. 18 del ridetto d.lgs. n. 546, non potendo ricavarsi, dal sistema in generale e dall’art. 24 del citato decreto, in particolare, il principio di consumazione del potere di impugnazione degli atti dell’autorità finanziaria, e che tale norma, nel porre indirettamente il divieto di integrazione dei motivi di ricorso, non presuppone necessariamente la sussistenza del suddetto principio di consumazione, è altresì vero che ciò può accadere a condizione che non sia scaduto il termine per impugnare (in tal senso, Cass., Sez. 5, 31/3/2008, n. 8234).
Scaduti i predetti termini, è pertanto inibita alla parte la proposizione di motivi integrativi se non in presenza dei presupposti sanciti dall’art. 24, comma 2, del citato d.lgs. (Cass., Sez., 04/10/2018, n. 24305).
Ciò comporta che, nella specie, la ricorrente avrebbe dovuto precisare meglio il contenuto degli avvisi di accertamento e il tenore della domanda proposta in primo grado nella parte specificamente riferita ai due contratti rimanenti in seguito al parziale annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento, oltreché delineare con maggiore scrupolo le difese proposte con la memoria integrativa e il tenore degli atti ad essa allegati, ulteriormente precisando se questi potessero o meno rientrare nei ristretti ambiti sanciti dal comma 2, del ridetto art. 24.
L’assenza di tali indicazioni determina perciò l’inammissibilità della prima censura e, di conseguenza, anche della seconda, derivando da quella il venir meno dell’interesse ad una pronuncia sulla seconda.
4. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla deve disporsi sulla spese, non avendo l’Agenzia delle Entrate spiegato difesa.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.