CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2018, n. 21300
Imposte indirette – IVA – Importazioni – Rettifica d’imposta – Deposito fiscale
Rilevato che
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha emesso, nei confronti della società I.S. s.r.I., un avviso di rettifica IVA all’importazione per avere utilizzato un deposito fiscale gestito da A. Trasporti in modo virtuale, senza cioè introduzione materiale delle merci, tenuto conto: che le introduzioni/estrazioni delle merci erano risultate effettuate per ciascuna bolletta di riferimento nell’ambito della stessa giornata; la merce era risultata pervenuta da Pisa a Empoli e successivamente inoltrata ai singoli destinatari a bordo del medesimo mezzo di trasporto; la A. Trasporti aveva emesso compensi a forfait e non in dettaglio; sui documenti di trasporto internazionale, emessi dal vettore, non compariva la destinazione intermedia presso il depositario ma direttamente la destinazione finale di consegna; non erano stati formalizzati i rapporti depositante/depositario tra A. e i propri clienti; avverso il suddetto atto aveva proposto ricorso la società I.S. s.r.I.; la Commissione tributaria provinciale di Pisa lo aveva accolto in base alla considerazione che i locali per il deposito erano risultati idonei allo scopo e che non era necessario il contratto di deposito tra la A. Trasporti e le ditte utilizzatrici; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
la Commissione tributaria regionale della Toscana ha respinto l’appello, ritenendo che: dalle risultanze documentali a disposizione non poteva esservi dubbio sul fatto che i magazzini della A. Trasporti erano idonei alla ricezione e stoccaggio della merce e l’ufficio non aveva dato la prova che le merci non erano state ivi introdotte; non era stata contraddetta l’affermazione della società contribuente di avere introdotto le merci nei magazzini; il sistema di autofatturazione rappresenta una modalità di pagamento dell’IVA del tutto equivalente all’assolvimento dell’imposta in dogana, sicchè la pretesa dell’Ufficio costituirebbe una violazione del sistema di neutralità dell’IVA, in quanto comporterebbe una doppia imposizione;
l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre con otto motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana in epigrafe;
la società I.S. s.r.l. non si è costituita;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., la nullità della sentenza per falsa applicazione del principio di non contestazione, di cui all’art. 23, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nonché ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992, in quanto, rispetto alla circostanza che la merce era stata realmente introdotta e depositata nei magazzini, l’ufficio l’aveva esplicitamente contestata, adducendo il valore probatorio di molteplici indizi che conducevano, invece, ad una diversa ricostruzione fattuale della vicenda; il motivo è infondato perchè non ricorre alcuna violazione del “principio di non contestazione”;
invero, la ricorrente non ha interpretato correttamente l’espressione “contraddetta” utilizzata dalla Commissione, intesa a stigmatizzare non già la mancata contestazione, ma la mancanza di prova da parte dell’Amministrazione come si evince dal passaggio motivazionale che precede quello censurato, ove è detto che “L’Ufficio delle dogane non ha fornito prova che le merci non sono state introdotte nel magazzino, nè che i mezzi di trasporto non avrebbero potuto essere introdotti nei locali”;
con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod., proc. civ., per violazione dell’art. 2697 cod. civ., nonchè degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, conv. dalla legge n. 427/1993, per avere ritenuto che la prova negativa del mancato deposito della merce presso il deposito dovesse essere posto a carico dell’Amministrazione finanziaria, avendo questa, invece, prospettato sufficienti indizi circa la sussistenza del fatto negativo;
il motivo è infondato;
contrariamente a quanto assume parte ricorrente, il regime dell’IVA all’importazione si configura come “speciale” e non come agevolativo. La decisione impugnata inoltre risulta immune da censure poichè, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la Commissione tributaria regionale, anche se con estrema sintesi, ha esaminato gli elementi indiziari sottoposti al suo vaglio dall’Amministrazione, li ha comparati con le complessive emergenze istruttorie, relative alla documentazione delle operazioni offerte dalla contribuente ed alla idoneità dei locali destinati al deposito e, solo alla conclusione, ne ha escluso la sufficienza probatoria, con l’unica eccezione per le operazioni fatturate con data antecedente alla importazione. In tal modo i canoni dell’onere probatorio, dinamicamente distribuito, risultano rispettati;
con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in particolare di quei fatti presuntivi dedotti dall’Amministrazione finanziaria per supportare la propria pretesa della mancata introduzione della merce nel deposito;
il motivo è inammissibile, in quanto la disamina degli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria, sia pure in modo sintetico, è stata compiuta dalla Commissione tributaria regionale e le doglianze proposte su elementi non decisivi, sostanzialmente, sollecitano un riesame della decisione nel merito, inammissibile in sede di legittimità;
con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 54, comma 3, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, per avere ritenuto che la presenza della merce nel deposito era deducibile dal fatto che la struttura era risultata idonea alla ricezione e lo stoccaggio della merce, senza invece considerare gli elementi presuntivi dedotti dall’Amministrazione finanziaria;
con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 54, comma 3, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in quanto, pur avendo ritenuto che per talune merci le fatturazioni erano di data antecedente all’importazione, sicchè queste ultime non potevano dirsi transitate nel deposito, ha poi ritenuto di dovere respingere l’appello piuttosto che pronunciare un accoglimento parziale;
i motivi quarto e quinto, sopra riportati, sono inammissibili; va, infatti, considerato che la sentenza d’appello è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (termine di decorrenza dell’applicazione della novella), sicchè il ricorso per cassazione è soggetto alla più restrittiva disposizione processuale introdotta dal c.d. Decreto Sviluppo per circoscrivere l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., al solo “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, invece espressamente denunciato nella specie col terzo motivo;
sul punto le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, hanno chiarito che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Non v’è dubbio, pertanto che, la nuova disciplina si applichi ratione temporis e ratione materiae anche all’odierno processo (cfr. Cass. n. 26860/2014); inoltre, il quinto motivo è inammissibile anche perchè la denuncia avrebbe dovuto essere articolata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., come peraltro avviene con il sesto motivo, oltre che infondato perchè non vi è contraddittorietà all’interno della motivazione; con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per mancata applicazione dell’art. 36, comma 2, n. 4), del decreto legislativo 31 dicembre 1992; n. 546, applicabile ai sensi dell’art. 61 del medesimo decreto legislativo nonché dell’art. 111 Cost., in quanto, pur ritenendo provato che per alcune importazioni di merci non poteva ritenersi sussistente l’effettivo transito nel deposito, non ha poi pronunciato l’accoglimento parziale dell’appello, senza quindi motivare sulle ragioni per cui ha ritenuto di dovere rigettare interamente l’appello;
il motivo è fondato;
va rilevato che lo sviluppo argomentativo e motivazionale della sentenza si conclude nell’ultimo periodo che precede il dispositivo con l’affermazione “Salvo che per quelle auto fatturazioni la cui data risulta anteriore alle importazioni, si ritiene di dover confermare le decisioni di primo grado riguardanti sia il tributo che le sanzioni”, mentre, nel dispositivo, con una evidente contraddittorietà, è statuito “respinge l’appello e compensa le spese”; pertanto, mentre nella motivazione della sentenza di secondo grado sembra palesarsi un parziale accoglimento dell’appello, con riferimento alle operazioni autofatturate in data anteriore a quella dell’importazione delle merci, il dispositivo detta esclusivamente il rigetto dell’appello e la compensazione delle spese; secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe nulla perchè la contraddittorietà e la mancanza di coerenza tra dichiarazione motivazionale e dispositivo si riverbererebbero sulla sentenza, facendola assurgere a “decisione immotivata” (pag. 13); secondo questa Suprema Corte, sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156, cod. proc. civ., e dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, con valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo (fra le varie Cass. nn. 14966/2007, 16448/2009, 15990/2014);
nel caso in esame, la contraddittorietà tra motivazione e dispositivo risulta insanabile, atteso che la motivazione,sul punto, è attuata in modo generico con una formula ad escludendum, senza tuttavia individuare le operazioni a cui il giudicante abbia inteso riferirsi, ed il netto contrasto è tale da non consentire una valutazione di prevalenza e da determinare la nullità della decisione sul punto, ai sensi dell’art. 156, cod. proc. civ., perchè non consente l’individuazione del concreto comando giudiziale e lascia incertezza sul contenuto e sulla portata della decisione;
con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, conv. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, del principio del divieto di abuso del diritto nonché dell’art. 2967 cod. civ., in quanto, anche ove vi fosse stata l’introduzione della merce nel deposito, la contribuente avrebbe dovuto provare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per il riconoscimento del beneficio fiscale, in particolare delle ragioni economicamente apprezzabili del deposito infragiornaliero diverse e ulteriori rispetto a quella della mera aspettativa del beneficio fiscale riconosciuto dalle previsioni normative di riferimento, sicchè il giudice di appello non avrebbe fatta corretta applicazione del principio generale antielusivo;
il motivo è inammissibile poiché formulato in via ipotetica e carente sul piano dell’autosufficienza, in quanto manca una adeguata trascrizione degli atti pregressi, tale da consentire di verificare se la questione dell’abuso del diritto fosse stata tempestivamente introdotta;
con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 17 e 67-70 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, conv. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, per avere erroneamente ritenuto assimilabile l’IVA all’importazione con l’IVA nazionale, in particolare per avere assimilato l’autofatturazione ad una modalità di pagamento dell’imposta all’importazione, essendo diverso il momento impositivo e, conseguentemente, l’effettiva messa a disposizione di detta risorsa finanziaria;
il motivo è infondato;
va precisato che il motivo di censura in esame contesta che la pronuncia impugnata avrebbe errato nel ritenere che l’autofatturazione costituisca un adempimento sostituivo del pagamento dell’IVA dovuta al momento dell’importazione;
a tal proposito, giova premettere la ricostruzione della normativa che regola la fattispecie, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE);
la disciplina dei depositi IVA è affidata all’art. 50-bis del decretolegge 30 agosto 1993, n. 331, introdotto dalla legge 18 febbraio 1997, n. 28, che ha recepito la direttiva n. 95/7/CE, concernente semplificazioni in materia d’imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali, al fine di evitare un trattamento fiscale deteriore in relazione ai beni comunitari rispetto a quello riservato ai beni provenienti da Paesi terzi: ciò in quanto, a seguito dell’abbattimento delle barriere tra gli Stati membri, soltanto per le merci extraeuropee era prevista la possibilità dell’immagazzinamento nel territorio dell’Unione, senza assolvere i dazi e le imposte nazionali, come l’IVA. Scopo della norma è stato di evitare di assoggettare ad IVA tutti i singoli passaggi in caso, in particolare, di cessioni intracomunitarie e di immissione in libera pratica di beni non comunitari: l’introduzione nei depositi all’uopo istituiti comporta il differimento dell’obbligo di assolvimento dell’imposta fino al momento dell’estrazione delle merci per l’immissione in consumo e pone l’obbligo direttamente a carico dell’ultimo acquirente (il comma 6 della norma stabilisce al riguardo che… la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell’estrazione);
i depositi fiscali sono luoghi fisici, ubicati sul territorio italiano, adibiti alla custodia di beni non destinati alla vendita al minuto nei locali dei medesimi depositi, in cui le merci entrano e stazionano e da cui escono al momento dell’estrazione: essi si differenziano sia dal deposito doganale (contemplato dagli art. 98 e ss. Codice doganale comunitario), inteso come regime doganale, sia dal deposito fiscale per le accise, configurato come impianto, in cui avvengono la fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa, in regime sospensivo (decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, art. 1, comma 2, lett. c), entrambi, peraltro, considerati depositi IVA dall’art. 50-bis. La fisicità del deposito IVA e la necessità dell’inserimento fisico in esso dei beni emergono inequivocabilmente già dalle scelte semantiche del legislatore, che ha impiegato verbi come introdurre, il quale evoca l’attività fisica dell’immettere dentro qualcosa e lemmi come custodia che suggerisce il rapporto, anch’esso fisico, con la cosa che ne è oggetto (conformi, nel senso che la materiale introduzione delle merci nel deposito è richiesta dall’art. 50-bis, anche se non esplicitamente prevista, vedi, fra varie, Cass. nn. 2697/2014, 20958/2013, 11642/2013, 12263/2010); non valgono a smentire queste conclusioni le norme d’interpretazione autentica del decreto-legge n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, succedutesi nel tempo, per mezzo del decretolegge n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, come convertito, successivamente modificato dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui, nel testo da ultimo novellato, l’introduzione s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito, in quanto la norma si riferisce alla sola lett. h) dell’art. 50-bis, comma 4, ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA, oggetto della lett. b) medesimo comma. E’ proprio la circostanza che si abbia riguardo a prestazioni di servizi, tra le quali sono annoverate quelle di perfezionamento e di manipolazione, a richiedere la disponibilità di spazi ulteriori rispetto al solo deposito, rendendo logico il riferimento soltanto a tale ipotesi della norma interpretativa;
in definitiva, la disposizione interpretativa in questione, in luogo di smentire, conferma la necessità dell’introduzione fisica nel deposito dei beni non comunitari immessi in libera pratica, ossia dei beni che hanno acquisito lo status di merce che può circolare liberamente all’interno dell’Unione europea per effetto dell’assolvimento delle procedure doganali e del pagamento dei relativi dazi, per evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto necessaria per la loro immissione in consumo, ossia per il loro inserimento nel circuito commerciale nazionale: è occorsa un’espressa disposizione, dettata dalla peculiarità del suo oggetto, volta ad ampliare la nozione di introduzione della merce nel deposito (v. Cass. n. 15980/2015);
così ricostruito il quadro normativo del diritto interno, va considerato che in tema è intervenuta la CGUE, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland Soc.coop. a r.l., la quale ha fissato i seguenti principi:
1) l’art. 16, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’art. 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo;
2) la sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo;
consegue ai principi formulati dalla Corte di Giustizia che, ferma la legittimità dell’obbligo previsto dalla legislazione nazionale di procedere alla effettiva introduzione della merce nel deposito fiscale IVA per potersi avvalere del differimento della corresponsione dell’IVA dovuta al momento dell’importazione della merce, tuttavia l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al decreto-legge n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b), convertito, con modificazioni, nella legge n. 427 del 1993, qualora questi abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione (Cass. nn. 19749/2014, 16109/2015, 15988/2015, 17815/2015 e altre); con riferimento al caso in esame, si deve rilevare che il giudice di appello si è attenuto a questo principio e, pur muovendo dal presupposto che la merce era stata regolarmente inserita nel deposito IVA, ha dato atto dell’idoneità dell’assolvimento mediante autofatturazione ad elidere la pretesa fiscale relativa all’IVA all’importazione con decisione immune dal vizio denunciato; in conclusione, il ricorso va accolto sul sesto motivo, infondati i motivi primo, secondo ed ottavo, inammissibili i motivi terzo, quarto, quinto e settimo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in altra composizione, per il riesame e la statuizione sulle spese anche del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta il primo, secondo ed ottavo motivo, dichiara inammissibili il terzo, quarto, quinto e settimo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, per il riesame e la statuizione sulle spese anche del presente grado di giudizio.
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