CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2018, n. 21307
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Cessione terreni – Plusvalenza
Fatti di causa
A.C. ricorre, con un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con atto di costituzione in giudizio ex 370, primo comma, cod. proc. civ., per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, per il periodo d’imposta 2001, recante il recupero a tassazione, ai fini IRPEF, della plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso della quota del 50% di terreni con annessi fabbricati rurali – in parziale accoglimento dell’appello del contribuente, ha confermato la legittimità del recupero fiscale, ma ha annullato la sanzione amministrativa a causa dell’incertezza delle norme di riferimento.
Il giudice d’appello ha premesso che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 81 TUIR, è sufficiente che i terreni abbiano una mera potenzialità edificatoria, nella specie sussistente in base al piano regolatore generale del 1971; ha inoltre affermato che i fabbricati rurali posti nel complesso “C.C.”, oggetto della compravendita, erano iscritti al catasto dei terreni e non al NCEU, sicché l’Ufficio li aveva correttamente ricondotti alla categoria dei terreni edificabili.
La CTR ha però disapplicato la sanzione evocando l’incertezza interpretativa sulla: “definizione fiscale di terreno edificabile” nel caso in cui oggetto di cessione sia un fabbricato.
L’Ufficio, a sua volta, propone, nei confronti del contribuente, che resiste con controricorso, ricorso successivo (qualificabile come ricorso incidentale), affidato a un motivo, avverso la medesima sentenza della CTR, chiedendone la riforma nella parte in cui è stata annullata la sanzione amministrativa.
Il contribuente ha depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Motivo unico del ricorso principale: «Violazione ed erronea applicazione dell’art. 67, co. 1, lett. B), DPR 917/1986, in relazione all’art. 81, lett. B) DPR 917/1986.».
Si denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che avrebbe ritenuto contra legem tassabile la plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso dei terreni con annessi fabbricati, trascurando che l’art. 67, primo comma, lett. b), TUIR, prevedeva il recupero a tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso degli immobili solo in caso di natura speculativa della cessione.
Rimarca che, nella specie, come dimostrato da una perizia prodotta nel giudizio di merito, non era ravvisabile tale natura speculativa in quanto i terreni, in parte, erano adibiti a verde pubblico e i fabbricati (seppure qualificati dal PRG come edifici rurali) erano già integralmente esistenti e adibiti a civile abitazione, nonché insuscettibili di ulteriore incremento volumetrico.
1.1. Il motivo è infondato.
La CTR, facendo buon governo dell’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR (all’epoca dei fatti: art. 81, primo comma, lett. b), secondo cui, tra gli altri, sono redditi diversi, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione), ha ritenuto legittima la tassazione della plusvalenza derivante dalla vendita del terreno del contribuente, perché suscettibile di utilizzazione edificatoria in base al vigente piano regolatore generale.
Una simile caratteristica dei terreni rileva in sé, ai fini della tassabilità della plusvalenza, a prescindere dall’eventuale intento speculativo del cedente.
È ovvio, del resto, che l’accertamento dell’edificabilità del terreno (con annessi fabbricati rurali, costituenti mere pertinenze e, come tali, non autonomamente censiti al catasto fabbricati) è una quaestio facti, già risolta dal giudice di merito, insindacabile da parte della Corte, cui è demandato esclusivamente il controllo sulla legalità e sulla logicità della decisione (Cass. 24/11/2016, n. 24012).
Per completezza, osserva la Corte che la fattispecie in esame si discosta dai casi oggetto delle pronunce giurisprudenziali richiamate dal contribuente a sostegno della propria linea difensiva: nella specie, infatti, si tratta di terreni (con annessi fabbricati rurali) suscettibili di utilizzazione edificatoria; in altri termini, si tratta di un’area edificabile; i precedenti menzionati dal ricorrente, invece, riguardano aree già edificate (cfr. Cass. n. 4150/2014 che ha escluso la tassazione separata di una plusvalenza realizzata a seguito di vendita di “capannone ad uso commerciale e relative pertinenze”, censito al catasto fabbricati; in senso conforme: Cass. 9/07/2014, n. 15629).
1.2. Ne consegue il rigetto del ricorso principale.
2. Occorre adesso esaminare il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, affidato ad un unico motivo, recante la seguente rubrica: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 8 dlgs. 546/92, 6 dlgs 472/97 e 10 comma 3 L. 212/00, 81, comma 1 lett. b) del TUIR e 36 DL 223/06, ex art. 360 n. 3 c.p.c.».
L’Ufficio si duole che la sentenza impugnata abbia annullato la sanzione per l’incertezza interpretativa circa la nozione di “terreno edificabile” e in merito al connesso trattamento fiscale della plusvalenza derivante dalla sua vendita, allorché, come nella specie, sul terreno insistano fabbricati rurali.
Rimarca come nessuna condizione di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disciplina tributaria possa evincersi dal contenuto della decisione della CTR o dalle ragioni della ripresa, menzionate nell’atto impositivo (riprodotto, ai fini dell’autosufficienza, nel corpo del ricorso per cassazione), ancorate a elementi pacifici, a cominciare dal mancato accatastamento al NCEU dei fabbricati insistenti sui terreni ceduti.
2.1. Il motivo è infondato.
In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva che — ai sensi degli artt. 8 d.lgs. n. 546 del 1992; 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; 10, comma 3, legge 2 luglio 2000, n. 212 — costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, «l’incertezza normativa oggettiva tributaria», che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in «senso oggettivo» (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697cod. civ.).» (Cass. 7/12/2017, n. 29368).
Detto questo, nella specie la CTR, diversamente da quanto prospetta l’Agenzia delle entrate, non ha erroneamente delineato il quadro normativo di riferimento, ma, con apprezzamento di merito, insindacabile nel giudizio di legittimità (in disparte l’ipotesi, estranea al tema del decidere, del vizio di motivazione), ha ravvisato la sussistenza del presupposto oggettivo dell’invocata causa di non punibilità, ossia che la violazione delle norme tributarie dipendesse da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata ed ambito di applicazione.
Del resto, la soluzione della CTR è conforme all’orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende aderire, che, nel valutare se ricorressero, nel 2004 (ossia tre anni dopo la cessione a titolo oneroso dei terreni oggetto di questo giudizio, risalente al 2001) obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione dell’art. 81, (oggi 67) comma 1, lett. b) T.U.I.R., ha così statuito: «Nel 2004 sussisteva infatti indubbiamente un certo contrasto di giurisprudenza quanto meno sul problema dello strumento urbanistico al quale fare riferimento per valutare se un terreno fosse edificabile. Alcune pronunce della S.C., invero, ritenevano che un suolo potesse essere considerato edificabile soltanto sulla base di strumenti urbanistici perfetti, ossia giunti a completamento del loro iter approvativo, in quanto non solo adottati dal comune competente, ma anche sottoposti al controllo tutorio da parte, solitamente della regione (v. Cass., Sez. 1, n. 10406 del 03/12/1994; Sez. 5, n. 15320 del 29/11/2000, Rv. 542282; Sez. 5, n. 13969 del 12/11/2001, Rv. 550161; id., n. 467 del 15/01/2003); altre, invece, consideravano sufficiente, a tal fine, la mera circostanza che il suolo risultasse inserito in una zona di edificazione di un piano anche soltanto adottato dal comune e non ancora approvato dalla regione (Cass., Sez. 5, n. 4120 del 22/03/2002, Rv. 553198; Sez. 5, Sentenza n. 4381 del 27/03/2002, Rv. 553320; Sez. 5, n. 17762 del 12/12/2002, Rv. 559199).
Per dirimere tale contrasto si rese necessaria una norma interpretativa, adottata due anni dopo ed applicabile retroattivamente (art. 36 comma 2 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248), la quale – come noto – ha chiarito (con effetto retroattivo: v. e pluribus Cass., Sez. U, n. 25505 del 30/11/2006, Rv. 593374; Sez. 5, n. 14507 del 30/05/2008) che «ai fini dell’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» (Cass. 23/11/2016, n. 23845).
3. Ciò comporta il rigetto del ricorso incidentale.
4. Per la soccombenza reciproca delle parti, le spese del giudizio di legittimità vanno compensate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale;
compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.