CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2019, n. 21820
Tributi – Contributi di bonifica – Beni in proprietà ricompresi nel perimetro di contribuenza – Benefici fondiari – Obbligazione contributiva
Fatti di causa
1. – Con sentenza n. 1665/2014, depositata il 10 settembre 2014, la CTR di Firenze, in riforma della decisione di prime cure, ha accolto l’appello proposto dal Consorzio di Bonifica Val di Chiana Romana e Val di Paglia (in prosieguo: il Consorzio) così accertando la legittimità delle cartelle esattoriali emesse nei confronti della Famiglia dei Discepoli Istituto Religioso relativamente ai contributi di bonifica dovuti per l’anno 2009.
La CTR ha rilevato che i beni in proprietà della contribuente erano ricompresi nel piano di classifica, e nel perimetro di contribuenza, – atti, questi, legittimamente adottati dal Consorzio, – e che da detta inclusione conseguiva, secondo i dieta della giurisprudenza di legittimità, una presunzione di vantaggiosità relativamente ai benefici fondiari posti a fondamento dell’obbligazione contributiva.
2. – Per la cassazione di detta sentenza ricorre la Famiglia dei Discepoli Istituto Religioso articolando tre motivi di censura.
Resiste con controricorso il Consorzio.
Le altre parti intimate non hanno svolto difese.
Ragioni della decisione
1. – Con un primo motivo, letteralmente articolato in termini di «1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. 2. Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto», la ricorrente deduce, in sintesi, che l’obbligazione contributiva presuppone la ricorrenza di un beneficio concreto per gli immobili, un vantaggio di tipo fondiario che «non è provato dalla pura e semplice inclusione del bene nel comprensorio».
Soggiunge la ricorrente che, sulla base della assunta CTU, il giudice di prime cure aveva accolto il ricorso e che la contestazione del piano di classifica impediva «di ritenere assolto da parte del consorzio il proprio onere probatorio».
Con un ulteriore motivo, rubricato in termini di «3. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.», la ricorrente denuncia l’omesso esame delle deduzioni con le quali si era spiegato che il bene, cui l’obbligazione contributiva si correlava, non era di proprietà «della “Casa dei discepoli” bensì della “Famiglia dei Discepoli – Istituto Religioso con sede in Roma», che la cartella esattoriale recava «un codice fiscale che non corrispondeva a quello della “Casa dei Discepoli», – quest’ultima costituendo una «struttura interna della “Famiglia dei Discepoli – Istituto Religioso”», – che, ancora, la prova della proprietà dell’immobile in contestazione conseguiva dalla circostanza che la Famiglia dei Discepoli aveva presentato la dichiarazione ICI.
2. – Tutti i motivi di censura vanno disattesi.
3. – In relazione ai primi due profili di censura occorre premettere che la CTR ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, reiteratamente ribadito da questa Corte, secondo il quale l’adozione del piano di classifica e ripartizione ingenera una presunzione (iuris tantum) di vantaggiosità dell’attività di bonifica svolta dal Consorzio, – ossia di benefici fondiari immediati e diretti derivanti dalle opere di bonifica per i fondi di proprietà dei consorziati ricompresi nel perimetro di contribuenza, – così che incombe sul consorziato l’onere di fornire la prova contraria (della non vantaggiosità, per il proprio fondo, dell’attività di bonifica svolta dal Consorzio); e che solo qualora detti atti generali manchino, ovvero vengano specificamente contestati dal contribuente, la suddetta vantaggiosità deve essere provata dal Consorzio che la deduca, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass., 18 aprile 2018, n. 9511; Cass., 24 maggio 2017, n. 13130; Cass., 29 novembre 2016, n. 24356; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23220; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21176; Cass., 6 giugno 2012, n. 9099; Cass. S.U., 14 maggio 2010, n. 11722).
Se, dunque, non coglie detta ratio decidendi, – incentrata su di una presunzione iurìs tantum, – la censura (che, peraltro, nemmeno evoca l’art. 2697 c.c.) secondo la quale un vantaggio di tipo fondiario «non è provato dalla pura e semplice inclusione del bene nel comprensorio», deve osservarsi che il (mero) richiamo di dieta giurisprudenziali concernenti gli effetti della contestazione del piano di classifica difetta di specificità ed autosufficienza (art. 366, c. 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ.) non avendo la ricorrente precisato il dove, ed il quando, di detta contestazione, dunque la relativa sede processuale ed il contenuto stesso dell’atto recante la contestazione.
Relativamente, poi, alla censura di «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia»,
– che evoca il testo dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ. qual previgente sinanche alle modifiche introdotte (a far data dal 2 marzo 2006) dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, – rileva la Corte come, – trovando applicazione, nella fattispecie (a fronte di sentenza pubblicata il 10 settembre 2014), il nuovo testo dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ., qual sostituito dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, c. 1, lett. b), conv. in I. 7 agosto 2012, n. 134 (secondo il cui disposto rileva l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti), – sia stato precisato che la riformulazione di detta disposizione codicistica deve essere interpretata «come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza ” della motivazione.» (Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).
E si è, in particolare, rimarcato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo, – quale fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), – deve essere proposta nel rispetto delle previsioni di cui agli art. 366, comma 1 n. 6, e 369, comma 2 n. 4, cod. proc. civ., così che «il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.» (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881, cit.).
Orbene la ricorrente articola la censura di omessa e insufficiente motivazione in alcun modo individuando, – anche sulla base dell’assunta CTU, – il dato fattuale (decisivo) dal cui omesso esame sia conseguito (con la cennata applicazione della regola di riparto degli oneri probatori) il rigetto della proposta domanda, così, in buona sostanza, demandando a questa Corte la valutazione (indistinta) dei contenuti dell’accertamento peritale in relazione alla dedotta (in)sussistenza di una vantaggiosità delle opere di bonifica qual correlate ai beni di proprietà (in quanto tali ricadenti nel perimetro di contribuenza allegato al piano di classifica).
4. – Relativamente, poi, alla censura che involge la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. rileva, innanzitutto, la Corte che la doglianza si risolve nell’indicazione di dati fattuali (e giuridici) involgenti, rispettivamente, la proprietà dei beni per i quali erano stati richiesti i contributi (proprietà riconducibile alla stessa parte, odierna ricorrente, piuttosto che alla «Casa dei discepoli»), il codice fiscale esposto in cartella esattoriale (che «non corrispondeva a quello della “Casa dei Discepoli», quest’ultima costituendo una «struttura interna della “Famiglia dei Discepoli – Istituto Religioso”»), altro dato confermativo di detta proprietà (presentazione della dichiarazione ICI da parte della Famiglia dei Discepoli).
Una siffatta articolazione, – avuto riguardo alla denuncia di error in procedendo che può ricavarsi dal contenuto del motivo formulato (cfr. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931), – non soddisfa, però, l’onere di specificità posto a carico del ricorrente (art. 366, c. 1, n. 4, cod. proc. civ.) in quanto non è dato comprendere il rilievo giuridico di detti dati (che, peraltro, risulterebbero confermativi dell’individuazione della giusta parte del processo, avuto riguardo alla proprietà dei beni incisi dai contributi di bonifica) rispetto alla concreta vicenda definita dalla impugnata sentenza.
In altri termini la ricorrente non ha affatto indicato le ragioni dì diritto del motivo di impugnazione in esame in relazione alle implicazioni giuridiche del contenuto della censura (avuto riguardo, dunque, alla incidenza dei dati esposti rispetto all’atto tipico, – una cartella esattoriale, – oggetto di impugnazione).
5. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, c. 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, c. 17, ai fini del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione principale.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del Consorzio controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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