CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 aprile 2020, n. 8297
Tributi – Cartella di pagamento – Notifica tramite raccomandata – Avviso di ricevimento – Efficacia di atto pubblico – Disconoscimento della sottoscrizione dell’avviso di ricevimento – Necessaria querela di falso. – Prescrizione debiti tributari – Interessi e sanzioni – Prescrizione quinquennale
Rilevato che
1. – S.B. propone opposizione avverso la intimazione di pagamento relativa all’IRPEF 2002, notificatale in data 16 marzo 2016 deducendo di non avere ricevuto la notifica della prodromica cartella di pagamento ed eccependo la prescrizione del credito vantato dall’erario. Deduce in particolare che, una volta ricevuta la intimazione di pagamento, si è recata presso la sede di Equitalia, ove le è stato comunicato che la cartella di pagamento sarebbe stata notificata in data 9 ottobre 2006, tramite raccomandata; richiesta e ottenuta la copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata, ha constatato che la sottoscrizione ivi apposta non è la sua.
Il ricorso è stato accolto in primo grado dalla CTP di Milano che ha ritenuto la prescrizione del credito, decorso il termine di cinque anni, e non ha esaminato questione della notifica della cartella di pagamento. Propone appello l’Agenzia e la CTR della Lombardia con sentenza del 28 maggio 2018 ha accolto l’impugnazione, osservando che l’avviso di ricevimento ha efficacia di atto pubblico e che un generico disconoscimento non ne inficia la efficacia probatoria, essendo a tal fine necessaria la querela di falso; che ritenuta valida la notifica della cartella di pagamento in data 9 ottobre 2006, il termine di prescrizione è quello proprio del tributo e cioè decennale, e non quinquennale come ritenuto dalla CTP, termine non ancora decorso al momento della notifica della intimazione opposta.
2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente affidandosi a due motivi. Si è costituita la Agenzia presentando controricorso. Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del D.L. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197/2016, si osserva quanto segue:
Ritenuto che
3. – Con il primo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare dell’art. 60 DPR 600/1973, dell’art. 138 e dell’art. 139 c.p.c. per difetto di notifica della cartella di pagamento, atteso che la firma apposta sull’avviso di ricevimento è falsa. Deduce che la falsità è facilmente rilevabile e di avere proposto querela di falso in via principale con atto di citazione del 5.11.2018, giudizio pendente innanzi al Tribunale di Varese, come da documentazione che allega al ricorso; chiede pertanto la sospensione del procedimento di cassazione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Il motivo è infondato.
La querela di falso è stata proposta in via principale in data 5.11.2018, dopo il deposito della sentenza oggi impugnata, e cioè dopo che la parte ha preso contezza della motivazione della sentenza di secondo grado, ove correttamente si afferma che l’avviso di ricevimento del piego notificato a mezzo posta ha natura di atto pubblico e che la sua efficacia probatoria può essere contestata solo proponendo querela di falso (Cass. 8082/2019).
Si tratta quindi di un fatto nuovo, dedotto per la prima volta in cassazione, e di un documento nuovo, attestante la pendenza del giudizio di falso, che la parte allega per la prima volta nel presente giudizio. Nel giudizio di cassazione non è ammessa la produzione di nuovi documenti, se non nei limiti indicati dall’art. 372 c.p.c., ipotesi diverse dalla presente. In particolare, questa Corte si è già espressa in tema di querela di falso proposta dopo la pronuncia della sentenza impugnata, affermando il principio, cui il Collegio intende dare continuità, che la certificazione attestante la pendenza del procedimento di falso non può essere depositata, quale documento nuovo, in sede di ricorso per cassazione, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della sospensione necessaria, ex art. 295 c.p.c., con riferimento al giudizio di legittimità (Cass. 11327/2017; Cass. 1870/2016; Cass. 22517/2014).
Non ricorrono quindi i presupposti per disporre la invocata sospensione del giudizio.
4. – Con il secondo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con violazione dell’art. 2948 c.c. e dell’art. 20 del D.lgs. 472/1997, per avere ritenuto decennale anziché quinquennale la prescrizione dei crediti IRPEF e IVA e comunque quelli relativi a sanzioni e interessi.
Il motivo è solo parzialmente fondato.
Si deve premettere che ritenuta l’efficacia probante della notifica della cartella di pagamento, avvenuta in data 9.10.2006, e non impugnata, restano irrilevanti le questioni che avrebbero potuto farsi valere con la impugnazione della cartella stessa (Cass. 5577/2019).
Sulla decorrenza della prescrizione successiva alla notifica della cartella si osserva quanto segue:
La parte invoca il principio di carattere generale, affermato anche da questa Corte, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., e si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati di riscossione mediante ruolo, di modo che, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass. 20425/2017).
Tuttavia ciò non significa che tutti i crediti tributaria abbiano una prescrizione più breve di quella ordinaria, anzi è vero il contrario: secondo consolidata interpretazione di questa Corte (cfr. Cass. n. 24322/14; n. 22977/10; n. 2941/07 e n. 16713/16; Cass. 32308/2019), «il credito erariale per la riscossione dell’imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrittone quinquennale previsto all’art. 2948, n. 4, cod. civ. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo».
I crediti di imposta sono, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 cod. civ., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, l’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995, per i contributi previdenziali) e, in particolare i crediti IRPEF e IVA sono soggetti alla prescrizione decennale (Cass. 9906/2018; Cass. 32308/2019). Sono invece soggetti alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. gli interessi e le sanzioni, ai sensi dell’art. 20 D.lgs. 472/1997 (Cass. 5577/2019).
Pertanto, in parziale accoglimento del secondo motivo del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata per quanto di ragione e non essendo necessari accertamenti in fatto può decidersi nel merito, dichiarando prescritto il credito tributario di cui si discute limitatamente agli interessi ed alle sanzioni.
In ragione del parziale accoglimento del ricorso le spese dei gradi di merito e di legittimità si compensano tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso.
Accoglie il secondo motivo nei termini di cui in motivazione e cassa, in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata; decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente limitatamente agli interessi e alle sanzioni. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e di legittimità.
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