CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 aprile 2022, n. 13641
Debito contributivo – Rateizzazione – Istanza – Condizioni di ammissibilità
Rilevato che
la Corte d’appello dì Reggio Calabria, a conferma della sentenza del Tribunale stessa sede, ha rigettato l’opposizione avverso l’avviso di pagamento riferito a crediti contributivi d’impresa in relazione all’esercizio 2005 proposta dalla società A.C.S. a r.l., la quale si doleva del fatto che, sebbene l’intimazione da parte di E. s.p.a. – Riscossione fosse intervenuta successivamente al provvedimento che aveva concesso alla società la rateizzazione del debito contributivo, questa avesse dato corso all’attivazione dell’azione esecutiva;
la Corte territoriale ha accertato che:
a) la società appellante aveva presentato all’agenzia per la riscossione due istanze di rateizzazione, una in data 25 agosto 2008 e un’altra in data 8 novembre 2011; che questa seconda istanza era stata redatta in tale data, ma ricevuta e protocollata dall’ente della riscossione soltanto il 16 gennaio 2012;
b) la società, sebbene richiesta espressamente dal Collegio, non ha prodotto in giudizio copia delle istanze, ma solo dei provvedimenti di ammissione alla dilazione (peraltro già presenti in atti) del 30 gennaio 2009 e del 21 febbraio 2012;
c) la seconda richiesta di rateizzazione (8 novembre 2011) non reca data di ricezione, ma il provvedimento emesso da E. porta la data di protocollo in entrata del 16 gennaio 2012;
d) come riconosciuto esplicitamente dalla stessa opponente, la società era decaduta dalla possibilità di ottenere la rateizzazione del credito oggetto della cartella opposta, già incluso nel piano di ammortamento allegato al provvedimento di concessione (30 gennaio 2009) a seguito della prima richiesta (25 agosto 2008);
la Corte territoriale ha poi ripercorso i vari interventi del legislatore in materia di rateizzazione del credito contributivo, avendo finalizzato l’accertamento all’individuazione della disciplina ratione temporis applicabile alla fattispecie de qua;
l’art. 19 del d.pr n. 602 del 1973 ha introdotto la possibilità per le imprese di accedere a piani di rateizzazione delle somme dovute a titolo contributivo, con una ripartizione fino a un massimo di settantadue rate mensili, nelle ipotesi di temporanea obiettiva difficoltà del debitore;
il d.l. 225 del 2010 ha inasprito le condizioni di ammissibilità per le rateizzazioni concesse entro il 26 gennaio 2011, concedendo all’ente della riscossione la facoltà (non l’obbligo) di prorogare la rateizzazione per un ulteriore periodo in favore delle imprese già ammesse alla rateizzazione le quali non abbiano pagato la prima o le prime due rate, a condizione che le stesse possano comprovare un temporaneo peggioramento della situazione di difficoltà posta a base della concessione della prima dilazione;
prima che l’ente della riscossione avesse ricevuto dalla società A. a r.l. la seconda istanza di proroga (16 gennaio 2016), il legislatore ha introdotto un co.l bis all’art. 19 del d.p.r. n. 602 del 1973, (inserito con l’art. 10, comma 13 bis del d.l. n. 201 del 2011, conv. con modific. con la I. n. 14 del 2011), attraverso cui è stata imposta un’ulteriore restrizione alla facoltà di concessione della proroga a rateizzare il debito; tale norma, entrata in vigore a partire dal 28 dicembre 2011, prevede che in caso di comprovato peggioramento della situazione la dilazione concessa può essere prorogata per una sola volta fino a settantadue mesi, a condizione che l’impresa debitrice non sia incorsa in decadenza;
essendo stata l’istanza presentata il 16 gennaio del 2012, quando già era entrato in vigore il comma 1 bis dell’art. 19 del d.P.R. n. 602 del 1973, la proroga non poteva essere più concessa, trattandosi della seconda istanza presentata dalla società A. a r.l., oltre tutto, come da sua stessa ammissione, già incorsa in decadenza;
la Corte territoriale ha inoltre rigettato i motivi di opposizione riguardanti l’asserita mancata produzione in giudizio della copia notificata da parte dell’Agenzia della riscossione, ricordando come, secondo la giurisprudenza di legittimità, il concessionario può dimostrare il perfezionamento della notifica mediante esibizione del solo avviso di ricevimento; che quanto al disconoscimento della conformità all’originale della documentazione prodotta da E., la copia fotostatica dell’avviso di ricevimento fa piena prova ove, come nel caso in esame, la parte non ne abbia contestato specificamente la corrispondenza all’originale;
la cassazione della sentenza è domandata dalla società A.C.S. a r.l. sulla base di due motivi;
l’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso; l’Inps ha depositato procura speciale in calce al ricorso.
Considerato che
col primo motivo parte ricorrente contesta “violazione e falsa applicazione di legge – falsa applicazione dell’art. 2 comma 20 del D.L. 225 del 2010 – erronea valutazione ed omesso esame in ordine a un fatto decisivo per il giudizio”; prospetta l’erroneità della ricostruzione temporale effettuata dalla Corte territoriale, sostenendo che la stessa avrebbe iniziato la procedura esecutiva nonostante la presentazione dell’istanza di rateizzazione in data 8 novembre 2011;
col secondo motivo denuncia “erronea e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 cc nonché dell’art. 2714 e 2715 cc – insufficiente contraddittoria motivazione”; contesta l’affermazione secondo cui l’eccezione di disconoscimento da parte della ricorrente della conformità all’originale della copia dell’atto di avvenuta notifica prodotto da E. sarebbe stata genericamente formulata; denuncia che le norme codicistiche non richiedono formule sacramentali per la suddetta eccezione; ritorna sugli stessi motivi di appello concernenti l’assenza di attestazione di conformità all’originale della copia fotostatica della ricevuta di ritorno prodotta da E. e rilasciata non da funzionario munito del relativo potere e facoltà, invocando le garanzie di formalità del procedimento notificatorio e l’obbligo di conservazione degli atti da parte dell’ente di riscossione; infine sostiene che la copia della ricevuta di ritorno prodotta da E. non è che la stampa di un documento digitalizzato; che perché questo possa avere efficacia probatoria, il comma 2 bis dell’art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) prevede una procedura complessa, che domanda il rispetto di formalità dirette a conferire certezza circa la conformità della copia prodotta all’originale, e, segnatamente, l’attestazione di tale conformità da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 7, comma 2 CAD), condizione che risulta disattesa nel caso in esame;
il primo motivo è inammissibile;
la ricorrente non produce in questa sede, né indica in quale fase del giudizio ha prodotto copia dell’istanza di rateizzazione, ricevuta e protocollata dall’ente della riscossione soltanto il 16 gennaio 2012, ossia quando già era entrato in vigore il co.l bis dell’art. 19 del d.p.r. n. 602 del 1973, (introdotto con l’art. 10, comma 13 bis del d.l. n. 201 del 2011, conv. con modific. con la I. n. 214 del 2011);
secondo i principi di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 6 cod. proc. civ. ed in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
tale violazione comporta inevitabilmente che il “vizio genetico” del procedimento, attestato nel provvedimento di cui si chiede la cassazione, è rimasto tuttora irrisolto;
le doglianze di parte ricorrente rimangono, pertanto, ancorate ad assunti generici, certamente non idonei a scalfire la lucida analisi della Corte territoriale circa le ragioni di diritto per le quali – in base alla disciplina ratione temporis applicabile – non sussistono i presupposti di legge per autorizzare un’ulteriore proroga della rateizzazione, dal momento che la società è decaduta dall’agevolazione a causa del mancato adempimento delle scadenze debitorie indicate nel piano di ammortamento;
la ricostruzione del dato fattuale secondo la normativa ratione temporis applicabile da parte della Corte territoriale convince, atteso che, abbandonata la logica delle proroghe in successione, il legislatore dà accesso alla possibilità di una proroga dell’originaria dilazione, limitata a un ulteriore periodo, a condizione che il richiedente non sia incorso in decadenza e che possa dimostrare il peggioramento delle proprie condizioni reddituali;
pertanto, una volta accertato in concreto che nessuna facoltà di ulteriore dilazione della rateizzazione del dovuto poteva essere autorizzata nei confronti dell’odierna ricorrente per carenza dei presupposti legittimanti l’istanza di ulteriore proroga, non sussiste nessun ostacolo all’introduzione della procedura esecutiva per il recupero del debito da parte dell’ente incaricato della riscossione;
il profilo di censura relativo all’omesso esame di un fatto storico decisivo è inammissibilmente prospettato in presenza di una doppia conforme;
secondo il costante orientamento di legittimità “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.“(Cass. n.26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);
il secondo motivo è parimenti inammissibile;
la censura ripropone il motivo d’appello relativo al disconoscimento della congruità del documento prodotto all’originale sul quale la Corte territoriale si è già pronunciata con una motivazione esente da vizi logico argomentativi, con cui ha rilevato che ‘l’opponente aveva trascurato il consolidato orientamento di legittimità il quale ha affermato che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 non richiede per la cartella di pagamento la sottoscrizione dell’atto ma soltanto l’indicazione del responsabile del procedimento;
quanto alla doglianza concernente la conformità del provvedimento digitalizzato, proposto anche in questa sede, essa è inammissibile, avendo già la Corte territoriale dichiarato che la stessa è diretta a introdurre in sede di gravame argomenti nuovi;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita; non si provvede sulle spese nei confronti dell’INPS che non ha svolto attività difensiva;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso art. 13.
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