CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 dicembre 2020, n. 29734
Tributi – IRES – Disciplina delle società di comodo – Test di operatività – Compilazione dichiarazione dei redditi – Controllo automatizzato – Emissione cartella di pagamento ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 – Illegittimità
Rilevato che
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso della società P.E. s.r.l. in liquidazione avverso la cartella esattoriale emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per il recupero di IRES non versata in conseguenza del mancato adeguamento della società al reddito minimo previsto per le società non operative, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994.
2. I giudici regionali hanno preliminarmente ritenuto giustificata l’emissione della cartella esattoriale, sottolineando che l’art. 36-bis citato consentiva all’Amministrazione finanziaria di correggere errori o omissioni di imposta in cui era incorso iI contribuente senza che ciò comportasse la necessità dell’instaurazione di un preventivo contraddittorio con l’interessato, non vertendosi in ipotesi di determinazione di maggior reddito imponibile o dell’esistenza di un reddito non dichiarato; hanno inoltre rilevato che la stessa società, qualificandosi come società non operativa, aveva compilato l’apposito riquadro della dichiarazione destinato al test di «Verifica dell’operatività e della determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi>>, ma non aveva poi correttamente completato la compilazione della dichiarazione, non avendo «adeguato la propria autotassazione all’imponibile minimo evidenziato dal test>>.
Hanno, in particolare, segnalato che dalla ricostruzione operata dall’Ufficio risultava che <<di fronte all’indicazione nel quadro RN, al rigo 6, colonna 2, di un reddito pari a 0 (zero) la società avrebbe dovuto riportare quale reddito l’importo minimo dichiarato dalla stessa nel Quadro RF, rigo 87, in euro 56.749,00>>; hanno, quindi, ritenuto legittima l’iscrizione a ruolo delle imposte derivante dalla errata ed incompleta compilazione della dichiarazione del redditi.
3. La società contribuente ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo – rubricato «violazione o falsa applicazione dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 – Mancata emissione di avviso di accertamento» – la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano dato rilievo unicamente al profilo formale della compilazione del quadro della dichiarazione dei redditi dedicato al <<test di operatività» ed al calcolo dell’eventuale reddito minimo derivante dall’applicazione della disciplina delle società di comodo, trascurando di tenere conto del fatto che la società, presentando istanza di interpello disapplicativo, aveva chiaramente mostrato di non volersi adeguare a detta disciplina. Il mancato adeguamento in dichiarazione dei redditi al reddito minimo previsto dalla legge n. 724 del 1994 non era dunque una mera <<svista>> o un errore materiale, ma costituiva piuttosto una scelta consapevole, considerato che, a seguito della risposta negativa all’interpello, non aveva avuto altra soluzione per contestare le risultanze di detta risposta se non omettere di adeguarsi al reddito minimo; ad avviso della ricorrente, pertanto, la scelta effettuata, se ritenuta non corretta dall’Ufficio, avrebbe richiesto una attività accertativa che avrebbe dovuto concludersi con un avviso di accertamento debitamente motivato sotto il profilo dell’applicabilità della legge n. 724 del 1994. In difetto dell’emissione di avviso di accertamento, l’adozione dell’avviso di liquidazione costituiva palese violazione del richiamato art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
2. Con il secondo motivo censura, in via subordinata, la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalle ragioni oggettive previste per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo.
Pur avendo rappresentato già in sede di ricorso introduttivo la sussistenza delle condizioni oggettive di esclusione del regime delle società di comodo, ribadendo le medesime argomentazioni anche nel giudizio di appello, la Commissione regionale non ne aveva fatto menzione, omettendo in tal modo di decidere su una questione decisiva, oggetto di discussione tra le parti.
3. In controricorso l’Agenzia delle entrate ha posto in rilievo, con riguardo alla questione oggetto del presente ricorso, che con la Direttiva n. 8 del 12 febbraio 2013 ha sollecitato <<l’abbandono delle controversie instaurate avverso cartelle di pagamento emesse dagli uffici a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni per recuperare le imposte dovute sul reddito minimo delle società non operative>>, affermando che <<la contestazione relativa all’omesso adeguamento al reddito “minimo” deve trovare la sua naturale sede nella fase di accertamento e non in quella di liquidazione della dichiarazione>>; avendo proceduto, in ottemperanza alle istruzioni dettate da tale direttiva, all’annullamento, in autotutela, della cartella esattoriale oggetto di impugnazione, ha insistito per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.
4. Il ricorso è fondato e va accolto.
Dalla sentenza impugnata emerge che la cartella di pagamento è stata emessa per l’importo indicato dalla società contribuente quale reddito minimo risultante dal test di operatività di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e non anche quale reddito effettivamente percepito.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che, in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, ferma restando la facoltà per il contribuente di fornire la prova contraria e di dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass., sez. 5, 21/10/2015, n. 21358; Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9852; Cass., sez. 5, 30/12/2019, n. 34642).
Conseguentemente, come precisato da Cass., sez. 6-5, 12 dicembre 2016, n. 25472, il risultato del cd. test di operatività non è da solo idoneo a giustificare l’emissione della cartella ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 senza la previa emissione di un avviso di accertamento ex artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973, costituendo il valore del test di operatività un dato meramente presuntivo, sulla base del quale il contribuente ben potrà fornire la prova contraria contestando le risultanze dei parametri e degli indici di cui al citato art. 30 legge n. 724 del 1994.
Infatti, l’emissione di cartella a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 è ammissibile solo quando l’importo scaturisca da un controllo meramente formale dei dati forniti dallo stesso contribuente o da una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma non quando, come nel caso in esame, presuppone la risoluzione di questioni giuridiche (Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11292; Cass., sez. 5, 8/06/2018, n. 14949; Cass., sez. 5, 21/03/2019, n. 7960).
5. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata.
Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata.
Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
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