CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 dicembre 2021, n. 41886
Esposizione all’amianto – Rivalutazione contributiva – Domanda amministrativa all’Inps – Termine
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 7.8.2015, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato decaduto L.M. dal diritto al beneficio della rivalutazione contributiva ex art. 13, I. n. 257/1992, per i periodi di lavoro in cui era stato esposto ad amianto;
che avverso tale pronuncia L.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
Considerato in diritto
che, con i cinque motivi di censura, il ricorrente denuncia sotto vari profili violazione e falsa applicazione degli artt. 38 Cost., 47, d.P.R. n. 639/1970, 38, d.l. n. 69/2009, 4 e 6, d.l. n. 384/1992 (conv. con I. n. 438/1992), 3, comma 10, d.m. 27.10.2004, e 6, di. n. 103/1991, per avere la Corte di merito ritenuto che, avendo presentato domanda amministrativa all’INPS in data 31.5.1997 e avendo depositato il ricorso introduttivo del presente giudizio in data 27.5.2009, egli fosse decaduto dal beneficio in questione, essendo stata la domanda giudiziale proposta ben oltre il termine di tre anni e trecento giorni dalla data della domanda amministrativa;
che le doglianze sono infondate, essendosi ormai consolidato il principio secondo cui la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dall’art 47, d.P.R. n. 639/1970, nel testo sostituito dall’art. 4, d.l. n. 384 del 1992 (conv. con I. n. 438/1992), trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione, potendo l’art. 47 citato, per l’ampio riferimento alle controversie in materia di trattamenti pensionistici in esso contenuto, comprendere tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l’acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso nella previsione di legge anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dall’art. 13, comma 8, I. n. 257/1992 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 618 del 2018, 19729 del 2017, 17433 del 2017);
che altrettanto consolidato è il principio secondo cui con la domanda intesa all’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici, e dunque intimamente collegato alla pensione, in quanto strumentale ad agevolarne l’accesso (ovvero, nel caso dei già pensionati, ad ottenerne un arricchimento, ove la contribuzione posseduta sia inferiore al tetto massimo dei quarant’anni), è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli pertinenti al diritto al trattamento pensionistico (così, in specie, Cass. n. 17433 del 2017, cit., ove ulteriori riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte);
che del pari consolidato è il principio secondo cui, fermo restando che ai fini della decorrenza del termine di decadenza va tenuto conto esclusivamente della data di presentazione dell’istanza all’INPS (così da ult. Cass. n. 9230 del 2021), la scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo – a loro volta risultanti dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione, di cui all’art. 7, I. n. 533/1973, e di quello di centottanta giorni previsto dall’art. 46, commi 5 e 6, I. n. 88/1989 – determina comunque il decorrere del dies a quo del termine triennale di decadenza, rendendo irrilevante sia la decisione tardiva dell’ente sia la tardiva presentazione di un ricorso amministrativo (così Cass. n. 15969 del 2017);
che, ciò chiarito, le doglianze concernenti l’interpretazione della domanda amministrativa a suo tempo proposta dall’odierno ricorrente sono all’evidenza inammissibili, non essendo consentito in questa sede di legittimità veicolare richieste d’interpretazione del contenuto di atti negoziali se non per il tramite della censura di violazione delle regole d’ermeneutica contrattuale ovvero, ex art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un qualche fatto decisivo;
che, restando assorbito nelle considerazioni che precedono ogni ulteriore profilo di doglianza, il ricorso va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.200,00, di cui € 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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