CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2019, n. 2414

Agevolazioni fiscali – Prima casa – Tributi – Imposta ipotecaria e catastale – Vendita immobile di lusso

Ritenuto in fatto

G.C.G. propone ricorso, affidato a due motivi, illustrati con memoria per la cassazione della sentenza n. 1417/20/2014 depositata il 10.3.2014 della CTR del Lazio la quale confermando la sentenza di primo grado respingeva l’appello del contribuente sul ricorso avverso avviso di liquidazione con il quale era stata recuperata a tassazione l’imposta ipotecaria e catastale in relazione alla vendita di una casa ritenuta di lusso in quanto di superficie superiore a mq 240 e quindi esclusa dal beneficio di registrazione a tariffa ridotta.

Il contribuente prestando acquiescenza al capi della sentenza che riguardavano la non spettanza dell’agevolazione prima casa si duole della ritenuta legittimità delle sanzioni.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Ritenuto in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e 62 del d.lgs. n. 546/1992.

Lamenta che la CTR non abbia disapplicato le sanzioni per obiettiva incertezza della legge tributaria applicabile.

2. Con il secondo motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546/1992 nonché degli artt. 10 della legge n. 212/2000 e 6 del d.lgs. n. 472/1997 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e 62 del D.lgs. n. 546/1992. Lamenta che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto di escludere la obiettiva incertezza normativa per la qualità professionale del soggetto acquirente (avvocato).

Osserva preliminarmente il collegio che la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (Cass. 11439/2018).

3.Il ricorso è fondato sebbene per una questione, rilevabile d’ufficio, diversa dalle censure proposte.

Il nuovo regime introdotto dal d. lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a) – “il quale, nel sostituire il secondo comma dell’art. 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio prima casa – sulla base dei parametri di cui al D.M. LL. PP. 2 agosto 1969”“trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1° gennaio 2014, come espressamente disposto dal d. lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5, cit.” (ex plurimis Cass. Sez. V, n. 11639/17; nn. 13309-13318/16), con la conseguenza che il trasferimento immobiliare per cui è causa continua ad essere disciplinato dalla previgente disciplina.

In forza della disciplina sopravvenuta l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici).

Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota IVA ridotta, il legislatore è poi intervenuto con l’articolo 33 del D.Lgs. 175 del 2014 che, nel modificare il n.21 della Tab. A, Parte II, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione IVA è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie. Il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente al 1° gennaio 2014, come espressamente disposto dall’art. 10, comma 5, D.Lgs. 23 del 2011, per cui l’atto di trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina. Fermo dunque restando il pregresso regime impositivo sostanziale, ritiene il Collegio – dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. n. 13235/2016 – che una diversa soluzione si imponga, invece, per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato. In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’articolo 3 D.Lvo n. 472 del 1997, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile.

Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”. La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex artt. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, e 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” (sempre secondo i sopra richiamati parametri ministeriali), vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento. In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dal quarto comma dell’articolo 1, Parte Prima, Tariffa D.P.R. 131 del 1986 – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa. E’ vero che la modifica normativa non ha abolito né l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), né le conseguenze sanzionatone derivanti dalla falsa dichiarazione, tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione. Tale circostanza rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “abolitio criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatolo (Cass. 25754/14; Cass. 25053/06).

Va, inoltre, considerato che qui ricorre una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel terzo comma dell’articolo 3 D.Lvo n. 472 del 1997) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite, perché qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione, fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio. Ne discende che l’Amministrazione finanziaria mantiene la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile – dall’immobile trasferito, senza però avere titolo per applicare le sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti, non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti. In definitiva, lo jus superveniens impone la dichiarazione di non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto, conclusione che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità (Cass. 2010/2018; Cass. n. 1856/2013; n. 4616/2016; n. 16679/2016 e n. ord.13235/2016 cit.). Stante l’avvenuta contestazione, da parte della contribuente, della legittimità della revoca dell’agevolazione, è per ciò solo escluso che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue, né la questione oggetto di esame d’ufficio comporta accertamenti fattuali di sorta, trattandosi di eliminazione delle sanzioni e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile.

4) Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, ex artt. 384 c.p.c., comma 1, dichiarando non dovute le sanzioni.

Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in ragione dello ius superveniens e dell’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia.

P.Q.M.

Accoglie, nei termini di cui in motivazione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario del contribuente limitatamente alle sanzioni.

Spese dell’intero giudizio compensate.