CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2019, n. 2439
Rapporto associativo – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Configurabilità – Prova
Rilevato
1. che la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di A.M.A. intesa alla condanna dell’Associazione S. C. L’A. al pagamento di somme a titolo di ferie, permessi, mensilità aggiuntive, retribuzione e tfr, reclamate in ragione della natura asseritamente subordinata delle prestazioni rese in favore dell’Associazione;
1.1. che il rigetto della originaria domanda è stato fondato sul difetto di allegazione e prova di elementi relativi alle concrete modalità di svolgimento del rapporto con la Associazione da parte della A. la quale era tra gli associati della stessa;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.M.A. sulla base di due motivi ; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato
1. che preliminarmente deve essere respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso fondata dalla parte controricorrente sulla richiesta di controparte di cassazione di una sentenza diversa da quella impugnata. La richiesta, in sede di conclusioni, di cassazione di sentenza non coincidente con quella indicata nel corpo dell’atto come oggetto di impugnazione appare ascrivibile a mero errore materiale intrinsecamente inidoneo a generare incertezza sulla decisione effettivamente investita con il ricorso per cassazione. L’atto di impugnazione contiene, infatti, una serie di dati identificativi (numero della sentenza impugnata, numero di iscrizione nel Registro generale del procedimento definito con la decisione di appello, estremi del decreto di fissazione dell’udienza e di assegnazione al giudice relatore, data di lettura del dispositivo e di deposito della motivazione, ecc.) della sentenza effettivamente impugnata i quali escludono ogni dubbio in ordine al provvedimento giurisdizionale che la parte aveva inteso effettivamente impugnare;
2. che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 cod. civ.. Premessa, in linea di principio, la astratta configurabilità, pur in presenza del rapporto associativo, di un rapporto di lavoro subordinato, assume di avere offerto la prova di tale subordinazione. In particolare, richiama le buste paga degli anni 2004 /2005, prodotte a campione, non contestate nella loro autenticità da controparte, nelle quali risultavano indicati e specificati i giorni e le ore retribuite, l’ammontare delle detrazioni fiscali e contributive; in questa prospettiva evidenzia la incongruità della difesa articolata da controparte secondo la quale tali somme si giustificavano quale corrispettivo per l’attività di socia, stante l’assenza di finalità di lucro dell’Associazione; richiama, inoltre, deposizioni testimoniali che si assumono confermative dell’assoggettamento della A. al potere di direzione e controllo della Associazione;
3. che con il secondo motivo deduce omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti rappresentato dalle buste paga prodotte a campione relative agli anni 2004/2005, dato che assume incompatibile con un rapporto associativo statutariamente previsto come privo di fini di lucro;
4. che il primo motivo di ricorso è inammissibile con riferimento alla dedotta violazione di norme di diritto. Non si configurano, infatti, le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 28/02/2012, n. 3010; Cass. 28/11/2007, n. 24756; Cass. 31/05/2006, n. 12984); che, in particolare, quanto alla dedotta violazione dell’art. 2094 cod. civ. parte ricorrente non specifica l’errore concreto nel quale sarebbe incorso il giudice di merito con riferimento ai tradizionali indici rivelatori della natura subordinata del rapporto, nella ricostruzione fattuale del rapporto e nella conseguente esclusione della riconducibilità dello stesso all’area della subordinazione; in merito alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. si osserva che tale previsione regola la distribuzione dell’onere probatorio ma non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione r dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.(Cass. 17/06/2013, n. 15107; Cass. 29/11/2012, n. 21234; Cass. 05/09/2006, n. 19064; Cass. 12/02/2004, n. 2707);
4.1. che le ulteriori deduzioni articolate dalla parte ricorrente sono inammissibili in quanto intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità, ove sorretto, come nel caso di specie da motivazione congrua e logica (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357);
5. che il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto il fatto del quale si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame – rappresentato dalla emissione di buste paga relative agli anni 2004 /2005 – oltre a non essere evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366, comma 1 n. 6, cod. proc. civ. risultando del tutto omessa la relativa trascrizione (Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607), è privo di decisività;
5.1. che, infatti, come questa Corte ha più volte affermato “requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale” (v. fra le altre Cass. 21/11/2001, n. 14664; Cass. 12/09/2003, n. 13448; Cass. 06/06/2002, n. 8254; Cass. 04/04/2001, n. 5036; Cass. 03/04/2000, n. 4036; Cass. 16/01/1996, n. 326, nonché Cass. 04/05/2011, n. 9808);
5.2. che alla luce dei richiamati principi e della connessa necessità di verifica in concreto dell’atteggiarsi del rapporto in relazione agli elementi ritenuti sintomatici della subordinazione, la esistenza di buste paga è circostanza che non assume alcun rilievo decisivo nel senso di implicare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, la ricostruzione del rapporto inter partes (v. tra le altre, Cass. 05/12/2014, n. 25756; Cass. 24/10/2013, n. 24092) come di natura dipendente, rappresentando la emissione di buste paga solo uno dei possibili elementi dai quali, in concorso con altri ed alla stregua di una valutazione complessiva, inferire la esistenza di un rapporto di lavoro dipendente;
6. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
7. che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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