CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 luglio 2020, n. 16236
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Oggetto – Rivalutazione del merito della controversia – Inammissibilità
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 9560/16, sez. 42 , accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla E. Costruzioni srl avverso l’avviso di accertamento T9B031C04225/2013 per Ires, Iva ed Irap 2008, annullando le sanzioni irrogate ma confermando nel resto l’atto di accertamento
Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR Lombardia.
La società contribuente si costituiva con controricorso e proponeva a sua volta appello incidentale.
Il giudice di seconde cure , con sentenza 2086 /2018,accoglieva l’impugnazione dell’Agenzia e rigettava quella incidentale della società.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società contribuente sulla base di un motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso lamenta” l’erroneo convincimento del giudice di secondo grado in ordine alla illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni nonché erroneo convincimento in ordine alle valutazioni delle presunzioni” e quindi sulla determinazione dell’ammontare dei tributi dovuti . Sostiene poi l’errata applicazione dell’art. 6 del d.lgs 472/97.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
E’ inammissibile laddove tende ad effettuare una diversa ricostruzione dell’importo dei tributi con ciò contestando la pronuncia di secondo grado sotto il profilo dell’ammontare della debenza .
In particolare la ricorrente chiede a questa Corte di rivalutare la perizia di parte e chiede l’accoglimento del ricorso in relazione all’importo dei tributi sulla base di quanto da essa risultante.
Va osservato a tale ultimo proposito che la sentenza di secondo grado ha ritenuto non meritevole di esame la citata perizia con una motivazione espressa, non dando quindi luogo ad una omessa pronuncia su un fatto decisivo; questione peraltro neppure proposta dalla ricorrente.
In sostanza, le censure della ricorrente, con cui si fa riferimento ad una fase giudiziaria in sede penale ed ad accertamenti peritali di parte, chiedono a questa Corte di effettuare una rivalutazione del merito della controversia che è inammissibile in questa sede di legittimità, senza dire che il motivo per questa parte sarebbe inammissibile sotto l’ulteriore profilo della mancanza di autosufficienza poiché avrebbe dovuto riportare nel ricorso il testo della perizia non avendo la Corte accesso agli atti della fase di merito.
Per quanto concerne poi l’altra doglianza relativa alle sanzioni, in relazione alle quali si chiede l’esenzione ai sensi dell’art 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, la stessa è manifestamente infondata.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo (di regola l’intermediario cui e stato attribuito l’incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il profilo della “culpa in vigilando”(Cass. 28359/18; Cass. 20113/12).
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha rilevato che nessuna prova era stata fornita circa l’avvenuta denuncia all’autorità giudiziaria da parte della ricorrente nei confronti di un soggetto terzo tenuto al pagamento delle somme; soggetto che la ricorrente deduce che sarebbe stato l’amministratore giudiziario.
A tale ultimo proposito si osserva che i due requisiti per ottenere l’esenzione devono coesistere e la mancanza di uno dei due esclude la possibilità di usufruire del beneficio. A prescindere quindi dalle vicende relative alla sussistenza o meno della condotta colpevole, la società avrebbe comunque dovuto presentare , una volta cessato il sequestro giudiziario e tornata in bonis, denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti del soggetto che essa assume essere responsabile dell’erronea dichiarazione e del mancato pagamento dei tributi ; circostanza che non è stata dedotta con il ricorso.
Il ricorso va dunque respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 12.000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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