CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 maggio 2018, n. 13502
Imposte dirette – IRPEF – Misure a sostegno dei soggetti colpiti dal sisma – Contenzioso tributario
Rilevato
– che con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dai contribuenti avverso il diniego tacito opposto dall’amministrazione finanziaria al rimborso della quota pari al 90% delle imposte IRPEF versate per gli anni 1990, 1991 e 1992, dai medesimi richiesto in quanto residenti in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, ai sensi della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e dal giudice di appello ritenuto spettante sulla scorta dello jus superveniens (costituito dalla legge n. 190 del 2014, art. 1, comma 665) e dell’orientamento giurisprudenziale in materia;
– che per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Agenzia delle entrate con un motivo articolato in due censure; i contribuenti replicano con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che con il motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e della legge n. 190 del 2014 (c.d. Legge di stabilità 2015), art. 1, comma 665, 81 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., sostenendo, sotto un primo profilo, che la CTR aveva errato nel ritenere spettante al contribuente il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro del medesimo, in quanto, stando alla ratio dell’intervento legislativo, il predetto rimborso spettava in via esclusiva al sostituto d’imposta che aveva assolto gli obblighi tributari e, sotto un secondo profilo, che la CTR non aveva considerato che il contribuente non aveva adempiuto all’onere probatorio, sul medesimo incombente, di aver subito le ritenute e che il datore di lavoro avesse effettuato i relativi versamenti;
– che la prima censura è infondata e va rigettata alla stregua dell’ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 14406 del 2016, n. 17472 e n. 17473 del 2017, cui hanno fatto seguito numerosissime pronunce di questa Sottosezione, tra cui n. 27858, n. 29384, n. 29382 del 2017, da n. 29899 a n. 29906 del 2017, n. 31223 del 2017, da n. 227 a 232 del 2018 nonché nn. 318, 414, 422, 425, 429 e 430 del 2018), secondo cui «In tema di misure a sostegno dei soggetti colpiti dal sisma del dicembre 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa, previste dall’art. 9, comma 17, della L. n. 289 del 2002 – come in seguito precisato sul piano normativo dall’art. 1, comma 665, della L. n. 190 del 2014, nel testo novellato dall’art. 16-octies, comma 1, lett. b), della L. n. 123 del 2017, di conv., con modificazioni, del d.l. n. 91 del 2017 – anche il percettore di reddito da lavoro dipendente può esercitare il diritto al rimborso delle somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, in virtù della regola generale enunciata dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, che legittima alla presentazione della relativa richiesta anche il cd. sostituito, quale effettivo beneficiario del provvedimento agevolativo» (così da ultimo Cass. n. 4291 del 2018);
– che nella medesima direzione si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, in netta controtendenza rispetto ai precedenti documenti di prassi (peraltro non vincolanti) di cui si fa menzione nel ricorso;
– che, con la seconda censura dedotta con il primo motivo, la ricorrente propone una nuova questione che non è stata dedotta in primo grado, come chiaramente desumibile dall’affermazione della difesa erariale secondo la quale l’amministrazione finanziaria non aveva alcun onere «di contestare in primo grado le somme chieste a rimborso» (ricorso, pag. 7);
– che, al riguardo, deve osservarsi che con la censura in esame la difesa erariale introduce nel ricorso la questione dell’operatività del principio di non contestazione, in relazione al quale deve ricordarsi il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 29613 del 2011, secondo cui «In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione»; principio, quest’ultimo, che è sicuramente applicabile al processo tributario (Cass. n. 1540 del 2007) e che opera sul piano della prova (Cass. n. 9732 del 2016);
– che, alla stregua dei superiori principi, a fronte della produzione da parte dei contribuenti delle dichiarazioni reddituali che dei modelli 101 (controricorso, pag. 10), incombeva all’amministrazione finanziaria uno specifico onere di contestazione di tale documentazione e nel ricorso per cassazione la trascrizione — nella specie del tutto omessa — degli atti in cui aveva adempiuto a tale onere (cfr., al riguardo, Cass. n. 20637 del 2016, in cui si legge che «il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non possa prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione negata dal ricorrente;
– che va altresì osservato che al contribuente era sufficiente provare la qualità di lavoratore dipendente e l’entità delle ritenute subite e non invece l’avvenuto versamento da parte del datore di lavoro della ritenuta d’acconto che questo era obbligato ad effettuare;
– che, in estrema sintesi, i motivi vanno rigettati e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, mentre non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
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