CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 maggio 2019, n. 14608
Tributi – Rivalutazione partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati – Imposta sostitutiva – Versamento – Soggetto non obbligato e non legittimato – Azione di ripetizione – Diritto al rimborso ex art. 38, co. 1, DPR n. 602/73
Rilevato che
1. I’ A.C.V. S.a.s. di Z.B., L. e G., ha presentato, il 27.10.2004, all’amministrazione finanziaria istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, delle prime due rate (dell’importo complessivo di euro 52.468.72, oltre agli interessi) da essa versate in adempimento dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 5 L. 28 dicembre 2001, n. 448, relativo alla rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, e della riapertura dei termini previsti da quest’ultima norma, disposta dal d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modifiche, dalla I. 21 febbraio 2003, n. 27;
2. la società istante, al fine di ottenere il relativo rimborso, ha dedotto che, dopo aver già predisposto la perizia giurata di stima ed effettuato i primi due versamenti previsti dalla citata disposizione ed oggetto dell’istanza di restituzione, aveva successivamente provveduto, sempre al fine di avvalersi della rideterminazione delle medesime partecipazioni societarie, a reiterare la stima del valore di queste ultime ed a versare la prima rata della corrispondente imposta sostitutiva (le due rate ulteriori, invece, erano state versate dai soci), come riliquidata, in applicazione del sopravvenuto art. 6-bis d.l. 24.12.2003, n.335, convertito con modifiche dalla I. 27 dicembre 2004, n. 47, che aveva prorogato i termini dettati dal d.l. n. 282/2002, convertito dalla l. n. 27/2003, n. 27;
3. l’Agenzia delle Entrate non ha disposto il rimborso, ritenendo irregolare ed invalida la procedura della seconda liquidazione dell’imposta sostitutiva in quanto, effettuata la nuova rivalutazione, la prima rata era stata pagata dalla medesima società, che non era il soggetto passivo dell’imposizione; mentre solo le restanti due rate erano state versate dai soci (in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione), unici effettivi legittimati passivi rispetto all’imposta sostitutiva in questione;
4. la P.A. s.p.a. (che ha incorporato l’istante A.C.V. s.a.s., dopo che quest’ultima si era trasformata nella C.V. S.r.l.), il 25.9.2008 ha presentato nuova istanza di rimborso ed ha poi proposto ricorso avverso il conseguente silenzio-rifiuto dell’Ufficio, invocando l’errore scusabile nel pagamento delle rate versate dalla società e non dai suoi soci, unici soggetti passivi dell’imposta sostitutiva;
5. la CTP di Brescia ha accolto il ricorso, ritenendo la sussistenza di un errore scusabile nel versamento dell’imposta sostitutiva eseguito dalla società, invece che dai soci;
6. l’Agenzia delle Entrate ha proposto appello, davanti alla CTR della Lombardia, avverso tale sentenza, ritenendo che il primo giudice avesse errato nel ravvisare un errore scusabile, o una mera irregolarità formale, del contribuente, e ribadendo che l’invalidità della seconda procedura di accesso alla liquidazione dell’imposta sostitutiva, in quanto non effettuata dal titolare passivo di quest’ultima, escludeva anche ogni possibilità di invocare il preteso rimborso delle somme versate dalla società, per la medesima imposta, nell’ambito della prima procedura di liquidazione;
7. nella contumacia dell’appellata, la CTR di Milano – sez. staccata di Brescia, con la sentenza 2/65/2012, depositata il 12 gennaio 2012, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza appellata, ritenendo la sussistenza dell’errore scusabile nel fatto che i versamenti dei quali era domandato il rimborso erano stati eseguiti in parte dalla società, piuttosto che dai soci, e rilevando che l’errore nell’interpretazione della normativa di riferimento, relativo all’individuazione del soggetto passivo d’imposta, era stato favorito dall’Agenzia delle Entrate, che non aveva ravvisato e segnalato elementi ostativi alla continuazione dei versamenti dell’imposta;
8. l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, articolando, quale unico motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. n. 448/2001 e dell’art. 6-bis d.l. n. 335/2003, convertito nella l. n. 47/2004;
9. si è costituita, con controricorso, la P.A. s.p.a., chiedendo il rigetto del ricorso;
Considerato che
1. la lettura dell’unico motivo di ricorso evidenzia come, nonostante la violazione di legge sia stata rubricata nell’atto con riferimento all’art. 5 l. n. 448/2001 ed all’art. 6-bis d.l. n. 335/2003, convertito nella l. n. 47/2004, la censura non investa affatto l’interpretazione e l’applicazione che di tali norme ha fornito la CTR, atteso che, per quanto qui rileva, la ricorrente ribadisce sul punto un’affermazione che emerge già inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza impugnata e che è condivisa dalla stessa controricorrente, ovverosia che non la società, ma esclusivamente i soci di essa erano soggetti passivi dell’imposta sostitutiva in questione e, pertanto, legittimati e tenuti ad effettuare i relativi versamenti, eventualmente rateali. Infatti, è proprio l’errore nell’individuazione del soggetto passivo dell’imposta, tenuto quindi ad effettuare i relativi versamenti diretti, che la società ha invocato e la CTR ha riconosciuto come scusabile, ponendolo a fondamento del conseguente diritto al rimborso;
2. tuttavia, a prescindere dalla formale rubricazione del predetto motivo, la lettura del ricorso evidenzia come esso si estenda in realtà a censurare la decisione impugnata anche sotto altro aspetto, ovvero per avere essa ritenuto che la disciplina dell’errore scusabile possa rilevare, al fine di giustificare la richiesta del rimborso di versamenti effettuati dal contribuente, anche quando «riguarda, invece, un aspetto sostanziale del rapporto tributario, ossia l’individuazione del soggetto passivo d’imposta, che come tale non rientra nella casistica dell’errore scusabile». Casistica che la ricorrente delimita menzionando l’art. 16, comma 9, l. 27 dicembre 2002, n. 289, in materia di chiusura delle liti fiscali pendenti, secondo il quale «In caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio». Ma tale disposizione, che introduceva una limitata possibilità di rimessione in termini per l’integrazione dell’adempimento dei contribuente in materia di condono, è estranea alla fattispecie in questione, che ha per oggetto versamenti diretti erronei non perché inferiori al dovuto, ma perché provenienti da un soggetto che – come non è in discussione tra le parti – non era obbligato, né quindi legittimato, ad effettuarlo. Né, peraltro, l’ambito applicativo del richiamato art. 16, comma 9, l. n. 289/2002, può ritenersi diversamente circoscritto dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate, richiamate da quest’ultima, che, in materia di interpretazione di norme di legge, esprimono meri pareri dell’Amministrazione finanziaria e non vincolano il giudice;
3. in realtà, la fattispecie del versamento diretto effettuato (non con la consapevolezza di soddisfare l’obbligazione altrui, ma) nell’erroneo, ma scusabile, convincimento di essere personalmente obbligato, dal soggetto che non vi era tenuto, configura piuttosto l’indebito soggettivo, ex latere solventis, descritto dall’art. 2036 c.c., che genera a favore del solvens l’azione di ripetizione (cfr. Cass., 5.2.1992, n. 1257), che nel diritto tributario trova disciplina nel già richiamato art. 38, comma 1, d.P.R. n. 602/73, per il quale il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare l’istanza di rimborso nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. Infatti tale norma, autorizzando la presentazione dell’istanza di rimborso, oltreché in caso di errore materiale, in quello di «inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento», opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito, a prescindere dalla riferibilità dell’errore al versamento, all’an o al quantum del tributo (Cass., 6.3.2015, n. 4578);
4. è quindi la stessa incontestata inesistenza di un obbligo di versamento facente capo alla società che attribuisce a quest’ultima il diritto – riconosciuto dalla sentenza della CTR impugnata – al rimborso di quanto già versato nell’erronea convinzione di esservi obbligata in quanto soggetto passivo d’imposta;
5. infine, le ulteriori censure mosse dalla ricorrente alla decisione impugnata, per aver ritenuto che, nella fattispecie concreta, l’errore della società, in ordine all’individuazione del soggetto passivo dell’imposta, fosse scusabile, anche in considerazione della condotta tenuta dalla stessa amministrazione finanziaria, sono inammissibili, in quanto, attingono una valutazione in fatto, perciò rimessa al solo Giudice del merito, senza peraltro stigmatizzare specificamente vizi della motivazione sul punto;
6. il ricorso è quindi infondato e va respinto;
7. le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15%, oltre agli accessori di legge ed oltre ad euro 200,00 per esborsi.
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