CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10251

Tributi – Accertamento – Notifica dell’atto al curatore fallimentare e non al soggetto fallito – Validità

Ritenuto in fatto

La Commissione Tributaria di primo grado di Napoli, rigettava il ricorso proposto dalla curatela del Fallimento di B.A. avverso un avviso di rettifica, relativo all’anno di imposta 1984, con il quale era stata recuperata l’IVA omessa, non essendo stato riconosciuto il diritto all’aliquota agevolata del 2% su contratti di compravendita effettuati dalla ditta fallita.

La Commissione Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello della curatela sul presupposto che l’appellante avesse dimostrato i requisiti per godere dell’agevolazione.

L’Ufficio Iva impugnava la sentenza dinanzi la Commissione Tributaria Centrale della Campania. La curatela non si costituiva.

Il giudice di appello, con sentenza n. 20/02/2013, depositata il 27.2.2013 accoglieva l’appello dell’ufficio sul presupposto che parte contribuente non avesse dimostrato la conformità della costruzione alla licenza edilizia ovvero che non risultassero contrasti con la medesima secondo la previsione dell’art. 41 ter della legge 1150/42 e non potesse godere dell’agevolazione.

Avverso tale statuizione B.D., nella qualità di erede di B.A. deceduto il 9.9.2011, propone ricorso per Cassazione affidando il suo mezzo a due motivi, illustrati con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità dell’avviso di rettifica n. 550/89 relativo all’anno di imposta 1984 notificato esclusivamente alla curatela del fallimento in data 13.11.1989 per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost.; art. 60 del DPR 600/73; art. 10 DLgs 546/92; art. 43 L.F. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. lamentando che poiché il presupposto impositivo si era verificato prima della dichiarazione di fallimento l’avviso doveva essere notificato personalmente al contribuente.

La censura è inammissibile.

1.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in materia di accertamento, l’omessa notifica al fallito dell’atto impositivo, in presenza di regolare notifica al Curatore del fallimento e conseguente impugnazione da parte della curatela, non determina irritualità, nullità o inesistenza di tale atto, poiché l’obbligo di notificazione al contribuente fallito è strumentale a consentire allo stesso l’esercizio in via condizionata del diritto di difesa, azionabile solo nell’inerzia degli organi della procedura fallimentare (cfr. Cass. n. 5384/2016, 5392/2016).

In particolare, è stato anche ribadito, in tema di fallimento di società dì persone e dei soci illimitatamente responsabili, che l’atto impositivo, se inerente a crediti tributari i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore ma anche al contribuente personalmente fallito, il quale, restando esposto ai riflessi, anche sanzionatori, conseguenti alla definitività dell’atto impositivo, è eccezionalmente abilitato ad impugnarlo (cfr. Cass. n. 8034/2017).

La legittimazione ad impugnare l’avviso di accertamento è riconosciuta eccezionalmente al fallito, tuttavia, solo in caso d’inerzia degli organi fallimentari (Cass. n. 3667/1997); con la conseguenza che, qualora il curatore abbia dimostrato, invece, il suo interesse per il rapporto in lite, promuovendo il giudizio o intervenendo nello stesso, il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio (Cass. n. 5202/2003).

Occorre inoltre considerare che gli estremi di una situazione configurabile come inerzia del curatore non sono ravvisabili nel caso di mancata costituzione della curatela vittoriosa dinanzi la Commissione Tributaria Centrale, essendo la mancata costituzione significativa non della inerzia, bensì della volontà di gestire in un certo modo l’affare litigioso (Cass. n. 7308/1996; Cass.7791/2006; Cass. 8990/2007).

La pubblica funzione svolta dal curatore fallimentare nell’ambito dell’amministrazione della giustizia esclude che possa configurarsi un contrasto di interessi tra lo stesso ed il fallito, sicché quest’ultimo, una volta tornato “in bonis”, potrà solo sostituirsi al primo nel giudizio da lui intrapreso, nel punto e nello stato in cui esso si trova, accettandolo come tale e senza poter invalidare quanto sia stato legittimamente compiuto dal curatore medesimo allorquando questi lo rappresentava (Cass. 11854/2015).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per mancata interruzione del processo per decesso della parte e violazione delle norme in tema di contraddittorio e degli artt. 24 e 111 Cost.; art. 40 comma 1 dlgs 546/92 e dell’art. 43 l.f in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Lamenta che nel procedimento all’esito del quale era stata emessa la sentenza impugnata, si era verificato il fatto interruttivo rappresentato dal decesso di B.A. che a seguito della chiusura del fallimento sin dal 1998 aveva acquistato la capacità processuale.

2. La censura è inammissibile.

Il fallimento è stato dichiarato con sentenza emessa in data 28.11.1985 e si è chiuso in data 22.4.1998. B.A. è deceduto in data 9.9.2011. Tanto la chiusura del fallimento che il decesso del fallito sono intervenuti in pendenza del giudizio davanti la Commissione Tributaria Centrale di Napoli.

In base alla disciplina transitoria dettata dall’art. 150 del d.Igs. n. 5/06, di riforma della legge fallimentare, i ricorsi per la dichiarazione di fallimento … depositati prima dell’entrata in vigore del decreto nonché le procedure fallimentari pendenti alla stessa data …. sono definiti secondo la disciplina anteriore.

La pronuncia di fallimento – anteriormente alla riforma attuata con il d.Igs. 9 gennaio 2006, n. 5 – così come la chiusura dello stesso non produce effetti interruttivi automatici sui processi in cui sia parte il fallito, perché la perdita della capacità processuale che ne consegue non si sottrae alla regola, dettata a tal fine dall’art. 300 cod. proc. civ., della necessità della dichiarazione in giudizio da parte del procuratore dell’evento interruttivo, in difetto della quale il processo prosegue tra le parti originarie (Cass. 21748/2018; Cass. 10724/2013). La stessa considerazione va fatta in relazione al decesso della parte che deve essere dichiarata in giudizio ai sensi dell’art. 300 c.p.c..

Nella specie la ricorrente nemmeno deduce che gli eventi interruttivi fossero stati dichiarati.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 7.500,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.