CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8845
Tributi – Accertamento induttivo – Impresa di costruzione – Cessione di immobili a prezzi inferiori ai valori di mercato – Rettifica – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Rilevato che
1. La contribuente A. Costruzioni S.r.l. in liquidazione propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 134/11/11 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il 5.12.2012, che ha respinto il suo appello contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva rigettato il ricorso della stessa contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di processo verbale di constatazione del medesimo Ufficio, ha rettificato, ai fini IRES ed IRAP, il reddito d’impresa relativo all’anno d’imposta 2005, recuperando, anche ai fini IVA, maggiori componenti positivi per complessivi euro 818.847,00; e riconoscendo minori componenti negativi, pari ad euro 45.000,00 di costi non deducibili.
2. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., la contribuente assume «l’insufficiente e/o omessa motivazione della sentenza di secondo grado», per avere il giudice d’appello motivato per relationem alla sentenza di primo grado, limitandosi ad affermare che andavano confermate le decisioni della C.T.P.
3. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente denuncia la «violazione e/o falsa applicazione» dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 39, comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato, con effetto retroattivo, dall’art. 24, comma 4, lett. f) e comma 5, legge 7 luglio 2009, n. 88, per avere il giudice a quo ritenuto che la contribuente, avendo alienato a terzi appartamenti e box a prezzi, dichiarati e contabilizzati, inferiori a quelli derivanti dai valori medi di vendita desumibili dal listino della Borsa immobiliare di Milano, fosse gravata dell’onere di provare che i corrispettivi dichiarati corrispondessero a quelli realmente concordati e ricavati dalle compravendite in questione.
4. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370, comma 1, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Per la loro stretta connessione, i due motivi possono essere trattati congiuntamente. È opportuno, tuttavia, richiamare sin d’ora l’attenzione sulla circostanza che mentre il primo motivo, attinente il preteso vizio della motivazione della sentenza impugnata, appare sostanzialmente esteso a censurare la decisione tanto in ordine al rilievo n. l) (così identificato nel ricorso) dell’accertamento, quanto relativamente ai capi nn. 2),3) e 4) (come indicati nella sentenza della C.T.R.) dello stesso atto, il secondo motivo palesa invece un preteso errore di diritto imputato esclusivamente alla decisione che attinge il rilievo n.l) dell’accertamento, ovvero i maggiori ricavi non dichiarati, derivanti dalla vendita di immobili a prezzi inferiori a quelli valutati congrui dall’Ufficio.
1.1. Tanto premesso, deve rilevarsi che, come sostiene la ricorrente, « In tema di imposta di registro, a seguito della sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 che, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore nominale degli stessi, è stato ripristinato il precedente quadro normativo, sicché è rimesso alla valutazione del giudice l’accertamento, anche in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, in ordine all’eventuale maggior valore di detti beni.» (Cass., 11/05/2018, n. 11439). Ed è stato, recentemente, precisato da questa Corte quale siano i limiti del ricorso in materia, dopo la citata modifica legislativa, all’argomentazione presuntiva: «Nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di “presumptio de presumpto”.» (Cass. 25/01/2019, n. 2155).
Una volta che l’Ufficio, anche ricorrendo a presunzioni semplici gravi, precise e concordanti, abbia sufficientemente motivato l’accertamento in ordine all’asserita inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio ed alla loro idoneità a rappresentare una maggiore capacità contributiva non dichiarata, il relativo onere probatorio grava sul contribuente :« In tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo.» (Cass. 31/10/2018, n. 27804).
1.2. La delimitazione dei limiti del ricorso alle presunzioni semplici, consentito all’Ufficio nell’accertamento analitico – induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, contribuisce pertanto a determinare l’ambito della motivazione necessaria e sufficiente ai fini della decisione relativa al capo del l’accerta mento avente ad oggetto i maggiori ricavi derivanti dalla vendita di immobili.
Invero, la censura mossa dalla ricorrente nell’esposizione del primo motivo, concernente il preteso vizio motivazionale, appare sostanzialmente duplice.
Infatti, la contribuente lamenta innanzitutto che il giudice d’appello abbia motivato per relationem alla sentenza di primo grado, limitandosi ad affermare che andavano confermate le decisioni della C.T.P.
In tali termini, il motivo è infondato, con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata riferibile al rilievo -identificato nel ricorso come n. l) – dell’accertamento relativo al recupero di maggiori ricavi non dichiarati, derivanti dalla vendita di immobili ad un prezzo, dichiarato e contabilizzato, inferiore a quello ritenuto congruo dall’Ufficio.
Su tale capo della decisione, infatti, il giudice a quo non si è limitato a richiamare la sentenza appellata, procedendo invece ad esplicitare, in ordine alle argomentazioni poste dall’Amministrazione a fondamento dell’accertamento, autonome considerazioni e valutazioni, che comprendono, oltre alla comparazione con i valori della Borsa Immobiliare di Milano, il riferimento a compravendite già avvenute nello stesso stabile e nello stesso piano di quest’ultimo, nonché all’antieconomicità – rispetto ai costi di costruzione degli stessi immobili, dedotti dalla contabilità della contribuente- dei corrispettivi di alienazione dichiarati.
Sulla base di tali plurimi elementi convergenti (e non solo con riguardo alla discrasia con i valori ricavati dalla Borsa immobiliare), la C.T.R. ha quindi ritenuto che i presupposti dell’accerta mento fossero fondati e che fosse onere della contribuente fornire la prova della coincidenza tra i ricavi dichiarati e quelli effettivi.
Tuttavia, la ricorrente, nel primo e nel secondo motivo, lamenta anche che la motivazione della sentenza impugnata, in parte qua, sia insufficiente, poiché, nell’escludere che la contribuente abbia fornito la relativa prova, non ha preso in considerazione le argomentazioni contrarie proposte dalla parte privata sin dal ricorso introduttivo (riprodotte, in parte, anche nel ricorso per cui si procede) e reiterate nell’ appello, nel quale la contribuente appellante aveva censurato (come risulta dalla sentenza della C.T.R. e dalla parte del ricorso d’appello trascritta nel ricorso per cassazione) proprio la loro mancata valutazione, già da parte della C.T.P.
Anche in questi termini, la censura è infondata, in quanto non evidenzia la potenziale rilevanza decisiva delle argomentazioni che il giudice a quo avrebbe omesso di valutare, specialmente con riguardo alla valorizzazione, nella motivazione della decisione impugnata, dell’antieconomicità dell’operazione immobiliare in questione, ove venissero ritenuti effettivi i corrispettivi di alienazione degli immobili dichiarati, inferiori ai costi di costruzione sostenuti, come ricavati dalla stessa contabilità della contribuente.
Nessuno degli argomenti esposti nel ricorso per cui si procede contiene infatti una circostanziata e logica critica di tale rilievo della sproporzione tra costi di costruzione contabilizzati e prezzi di vendita dichiarati dalla stessa impresa, dalla quale deriva – una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità dell’operazione immobiliare, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza- I’onere del contribuente stesso di dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione (Cass., 25/10/2017, n.25257; Cass., 16/09/2015, n. 18178).
Tanto meno il ricorso appare puntuale con riferimento alla critica del dato relativo alla metratura degli stessi immobili alienati, che riconosce tratta da dati provenienti dalla stessa contribuente (i millesimi di comproprietà individuati nei regolamenti condominiali allegati agli atti di compravendita delle porzioni immobiliari), contestati per uno scostamento, del quale non evidenzia la particolare rilevanza, rispetto a risultanze catastali che, comunque, calcolano la superficie dell’immobile esclusivamente a fini censuari e sulla base di quanto stabilito con le norme tecniche per la determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari di cui al d.P.R. 23/03/1998, n. 138.
1.3. Il primo motivo è infondato anche con riferimento al preteso vizio della motivazione della sentenza impugnata in ordine ai rilievi identificati dalla C.T.R. come nn. 2),3) e 4) dell’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente in primo grado. Riguardo a tale parte della motivazione, infatti, la contribuente lamenta soltanto che il giudice d’appello abbia motivato per relationem alla sentenza di primo grado, limitandosi ad affermare che andavano confermate le decisioni della C.T.P.
Tuttavia, questa Corte ha già chiarito che la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, ove si dia conto dell’identità delle argomentazioni delle parti con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Cass., 11/09/2018, n. 21978. V. altresì Cass., 11/05/2012, n. 7347), e che adempie all’obbligo di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata di cui condivida le argomentazioni logico – giuridiche, purché dia conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte (Cass., 08/06/1998 n. 5612; Cass., 16/02/2007, n. 3636; Cass., 11/06/2008, n. 15483; Cass. 20/05/2011, n. 11138; Cass., 14/10/2015, n. 20648).
Nel caso di specie, il giudice a quo, per quanto sinteticamente, ha dato atto della ricorrenza delle medesime argomentazioni della contribuente nei due gradi di merito (circostanza del resto non contestata in questa sede) e della sua condivisione critica della decisione di primo grado. Inoltre, nel contesto dell’esposizione del primo motivo, contenuta nel ricorso per il quale si procede, relativamente alla decisione avente ad oggetto i rilievi identificati come nn. 2),3) e 4) dell’avviso di accertamento, la contribuente limita la censura alla modalità espositiva utilizzata dal giudice a quo, senza indicare specificamente fatti ed argomenti decisivi la cui valutazione avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione.
2. Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva della resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
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