CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8866

Tributi – IRPEF – Accertamento divenuto definitivo – Istanza di annullamento in autotutela dell’accertamento – Silenzio rifiuto – Impugnabilità

Rilevato che

1. Con ricorso alla CTP di Siena, O.B. impugnò il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria sulla sua istanza di annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento, divenuto definitivo, che aveva recuperato a tassazione IRPEF, per l’annualità 2003, la plusvalenza derivante dalla vendita di un terreno edificabile;

la CTP di Siena, con sentenza n. 71/2012, dichiarò il ricorso inammissibile;

2. la contribuente ha interposto appello e la CTR della Toscana, con la sentenza in epigrafe, lo ha respinto rilevando, in termini generali, che l’accertamento divenuto definitivo può essere oggetto d’istanza di annullamento in autotutela purché non venga dedotta l’infondatezza della pretesa tributaria (ormai definitiva), ma si facciano valere eventuali profili d’illegittimità del silenzio-rifiuto; nella specie, l’asserito difetto di motivazione del diniego (tacito) d’annullamento in autotutela è questione priva di pregio poiché le stesse ragioni poste a base dell’atto impositivo sono idonee a sorreggere, sul piano dell’apparato argomentativo, il silenzio-rifiuto;

3. la contribuente ricorre, per due motivi, per la cassazione di questa sentenza della CTR toscana; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

Considerato che

1. con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 97 Cost., 1, 12, della legge n. 212/2000 e del d.m. n. 37/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza della CTR che avrebbe omesso di prendere in considerazione che la contribuente aveva dedotto l’illegittimità del diniego in quanto l’atto impositivo conteneva un errore sul presupposto dell’imposta, visto che l’Agenzia aveva calcolato la plusvalenza sull’intero terreno ceduto, mentre la parte privata era titolare (solo) di una quota del 50% di esso;

2. con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 1, 2 e 36 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza della CTR che avrebbe trascurato, senza neppure dichiararli assorbiti, tre specifici profili d’illegittimità dell’atto di silenzio-rifiuto, riprodotti nei motivi d’appello, ossia: a) l’illegittimità dell’avviso di accertamento per erronea determinazione del corrispettivo percepito; b) la mancata esatta determinazione della plusvalenza; c) l’illegittimità dell’avviso di accertamento per errore materiale nella determinazione della plusvalenza;

2.1. i due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati;

è orientamento pacifico di questa Corte, ribadito anche recentemente (Cass. 28/03/2018, n. 7616), che il ricorso avverso il diniego di autotutela opposto dal fisco è certamente ammissibile, ma il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse per gli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria;

pertanto, il contribuente non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa a seguito della sua intervenuta definitività, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto: ciò in quanto non è dato al giudice tributario di invadere la sfera discrezionale collegata ed esercitata dalla Pubblica amministrazione nell’esercizio del potere di annullamento dell’atto amministrativo in autotutela, pena il superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima;

il che spiega perché non possa ritenersi che tale potere di annullamento dell’atto in autotutela costituisca un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti;

la Corte, al riguardo, ha affermato che: «in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo» (Cass. 20/02/2015, n. 3442; conf. Cass. 2/12/2014, n. 25524; 12/05/2010, n. 11457);

svolta questa premessa, tornando al caso di specie, si rileva che la CTR non ha commesso alcun errore di diritto né ha omesso di provvedere integramente sulla domanda della contribuente in quanto, in sostanza, in risposta ai rilievi critici di quest’ultima, ha riconosciuto la legittimità del diniego tacito d’annullamento in autotutela, poggiante sul medesimo sostrato argomentativo dell’avviso di accertamento, ormai definitivo;

d’altra parte, in virtù dei principi di diritto appena esposti, era preclusa alla ricorrente la facoltà di fare valere, mediante l’impugnazione del diniego di autotutela, le ragioni sostanziali d’ingiustizia dell’atto impositivo;

per completezza, nell’ottica di un prospettabile difetto d’interesse ad agire della ricorrente, è dato rilevare che, in fase amministrativa, l’Agenzia, pure in assenza di un esplicito provvedimento in autotutela, tuttavia, prendendo atto che la contribuente aveva ceduto la quota della metà del terreno (e non l’intero compendio), aveva rideterminato in euro 303.750,00 il valore della plusvalenza (inizialmente quantificata in euro 607.500,00) e che, pertanto, aveva proceduto allo sgravio parziale degli importi iscritti a ruolo (cfr. pag. 2 del controricorso);

2. ne discende il rigetto del ricorso;

3. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

4. ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115/2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis del citato art. 13;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis del citato art. 13.