CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8987
Professionisti – Mandato professionale – Accertamento – Riscossione – Omessa dichiarazione di compensi erroneamente imputati a spese anticipate dalla società
Rilevato che
– Con sentenza n. 252/11/17 depositata in data 17 gennaio 2017 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (in seguito, la CTR), accoglieva l’appello proposto da G. G., mnemonista che svolge attività professionale in forza di un contratto di mandato professionale con la società G. Lda avente sede nell’isola di Madeira (P), paese a fiscalità privilegiata, (in seguito, il contribuente) avverso la sentenza n. 253/3/12 della Commissione tributaria provinciale di Ravenna (in seguito, la CTP), relativa a tre avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione per II. DD. ed IVA 2004, 2006 e 2007 sul presupposto dell’esterovestizione della società mandante, direttamente riconducibile al contribuente, sia l’omessa dichiarazione di compensi erroneamente imputati a spese anticipate in nome e per conto della stessa, sia versamenti e prelevamenti non giustificati;
– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo quattro motivi. La società contribuente non si è costituita restando intimata.
Considerato che
– Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- l’Agenzia lamenta la nullità della sentenza per aver la CTR accolto l’appello ritenendo assorbita la questione della esterovestizione della società mandante e della ripresa relativa all’imputazione a reddito di lavoratore autonomo, e ciò nonostante annullando gli atti impositivi;
– Il motivo è fondato. Va rammentato che «L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che con sente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Cass. n. 6835 del 16/3/2017). Ne consegue che l’omessa pronuncia determina nullità della sentenza.» (Cass., Sez. 5, n.10036 del 24/04/2018);
– Orbene, ai fini dell’autosufficienza, l’Agenzia ha prodotto la parte rilevante di uno dei tre avvisi di accertamento (quello per il 2004) e delle controdeduzioni in appello in cui correttamente riproponeva, dopo la vittoria in primo grado, la questione della natura reale della società G. e della fittizietà del contratto di mandato al fine di giudicare sulla ripresa di «tutti i compensi corrisposti al professionista» e illegittimamente qualificati come rimborso spese anticipate in nome e per conto della società G. che «dovevano essere imputati a reddito da lavoro autonomo». La sentenza su tale ripresa non ha pronunciato in alcun modo, né la ripresa per rimborso spese (che per il 2004 sono quantificati nel p.v.c. in € 15.355,00) può essere considerata sovrapponibile a quella su versamenti e prelevamenti non giustificati sui conti bancari riconducibili al contribuente (omessa dichiarazione di compensi che, sempre per il 2004, sono quantificati nel p.v..c in € 117.312,00). La sentenza Impugnata si è pronunciata solo sulla seconda ripresa e, dunque, non è conforme al principio di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali, ed è nulla;
– Con il secondo e quarto motivo – ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ. – da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, l’Agenzia ricorrente lamenta la violazione dell’art.32 d.P.R. 600/73 e dell’art.2728 cod. civ., in relazione alla ratio decidendi resa circa l’omessa dichiarazione di compensi risultante da accertamenti bancari, per averne la CTR escluso la valenza reddituale con riferimento ai versamenti effettuati dal contribuente sui conti correnti – alla luce della Corte Cost. n.228/2014 – e, comunque, ritenuto non possibile sulla base della documentazione agli atti, individuare il preciso importo delle somme presunte come reddito da lavoro autonomo;
– Le censure, da affrontarsi congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate. Va ribadito che «In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 dei d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (Cass. 9 agosto 2016 n. 16697; conforme, Cass. 10 febbraio 2017 n. 3628);’
– Orbene L’Agenzia, a sostegno del motivo produce estratti del p.v.c., pacificamente versato in atti, sin dal primo grado, in cui vengono evidenziate analiticamente le singole movimentazioni sui conti correnti oggetto di accertamento e, limitatamente alla parte in cui la CTR ha escluso valenza reddituale anche con riferimento ai versamenti effettuati dal contribuente sui conti correnti, la sentenza impugnata collide frontalmente con i principi di diritto sopra richiamati, non dando conto i giudici d’appello – analiticamente – dell’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili;
– Con il terzo motivo, l’Agenzia ricorrente deduce – in relazione all’art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ. – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n.4, cod. proc. civ., per essere apparente la motivazione della CTR in relazione alla ripresa circa l’asserita prova liberatoria del contribuente in merito alle motivazioni bancarie;
– Il motivo è infondato. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232); rammenta inoltre che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);
– Nel caso di specie, la motivazione della CTR, prova fornita dal contribuente a giustificazione delle movimentazioni, non é analitica e, dunque, non risponde ai canoni interpretativi sopra richiamati, ma non può dirsi obiettivamente incomprensibile, e tanto basta per escludere la mera apparenza della motivazione, ponendosi al livello del limite costituzionale censurabile;
– In conclusione in accoglimento del primo, secondo e quarto motivo di ricorso, rigettato il terzo, la sentenza dev’essere cassata con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo, oltre che per il regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo e quarto motivo ricorso, rigettato il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per il regolamento delle spese di lite.