CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2022, n. 10118
Imprese di Vigilanza Privata e Servizi fiduciari – Licenziamento – Cambio di appalto – Subentro – Applicabilità artt. 24 – 27 del c.c.n.l. – Oneri probatori incombenti sul datore di lavoro – Duplice tutela nei confronti della società uscente e di quella subentrante
Rilevato che
La Corte di appello di Palermo con la sentenza n. 495/2019 aveva riformato la precedente decisione del tribunale ritenendo illegittima la risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra M. S. e K. spa in quanto non sussistenti le ragioni determinative del recesso datoriale.
Rilevava la Corte territoriale, per quel che in questa sede rileva, che il M. era stato licenziato dalla predetta società con lettera del 10 aprile 2017 a causa del “cambio appalto e del passaggio immediato c/o istituto di vigilanza S.P.” e che tale condizione non si era verificata poiché la società subentrante aveva dapprima rifiutato l’assunzione e successivamente proposto condizioni peggiorative rispetto al pregresso rapporto di lavoro. Riteneva pertanto che, sia in ipotesi di qualificazione del recesso per ragioni economiche della società, che in ipotesi di procedimento collocabile nel disposto dell’art. 24 e segg. CCNL, regolativo del cambio appalto e delle tutele conseguenti, il licenziamento fosse da considerarsi illegittimo. Invero, in caso di recesso per ragioni economiche, non era stato dato conto degli oneri allegatori e probatori incombenti sul datore di lavoro ( primo tra tutti l’obbligo di repechage); in caso di procedura di cambio appalto regolato dalle norme collettive non era intervenuto, al momento del recesso, tale evento, non potendosi ammettere un procedimento frazionato nel tempo, tale da non consentire alcuna forma di garanzia per un passaggio diretto del lavoratore da una società all’altra.
In punto di sanzioni per l’illegittimo recesso, il giudice d’appello valutava che, trattandosi di ipotesi di manifesta insussistenza del licenziamento per motivi economici, la stessa fosse regolata dall’art. 18 co.4 e 7 ( come riformato dalla legge n. 92/2012), con conseguente reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro e condanna al pagamento della indennità pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr.
Avverso detta decisione la società K. spa proponeva ricorso affidato a sei motivi cui resisteva con controricorso il M..
Considerato che
1)- Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 25 e 27 del c.c.n.l. per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi fiduciari, nonché la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ., quest’ultimo anche in combinato disposto con l’art. 1355 cod. civ., con riferimento alle disposizioni del contratto collettivo.
1.2. Si assume che l’interpretazione data dalla Corte di merito, là dove reputa necessario, ai fini dell’applicazione degli artt. 24 – 27 del c.c.n.l., l’effettivo e incondizionato subentro, al momento del recesso datoriale, del nuovo appaltatore nel servizio e il passaggio del lavoratore alle dipendenze della subentrante, senza soluzione di continuità, contrasti con la ratio e la lettera delle disposizioni citate. Ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l., “In ogni caso di cessazione di appalto o affidamento di servizio […] con subentro da parte di altro Istituto di Vigilanza nei medesimi servizi già oggetto dell’appalto stesso, l’Istituto uscente ove ne abbia interesse darà comunicazione, ove possibile almeno trenta giorni prima della cessazione dell’appalto, o diversamente con la massima tempestività, (…) all’Istituto subentrante”, fornendo le informazioni previste nella disposizione citata. Secondo il disposto dell’art. 27 c.c.n.l., “L’Istituto subentrante nell’appalto e/o nell’affidamento del servizio, procederà all’assunzione con passaggio diretto e immediato, senza periodo di prova, del personale precedentemente impiegato nel servizio […] con decorrenza dal primo giorno successivo alla scadenza dell’appalto stesso“. Da tali previsioni si ricava, secondo la società ricorrente, come le parti sociali abbiano inteso il “subentro” riferito all’avvenuta aggiudicazione dell’appalto o all’avvenuto affidamento del servizio, e non, come invece ritenuto dalla Corte di merito, all’effettivo svolgimento del servizio da parte dell’Istituto subentrante. Con la conseguenza che non può avere alcuna influenza sulla legittimità del licenziamento intimato dalla società cessante, la successiva circostanza che, in concreto, l’esecuzione del servizio da parte dell’Istituto subentrante inizi con ritardo rispetto alla data prevista oppure non inizi affatto, per esempio per rinuncia da parte di quest’ultimo. Difatti, nel caso in cui l’Istituto subentrante ritardi l’inizio del servizio, il lavoratore avrà comunque diritto all’assunzione con decorrenza dal primo giorno successivo alla cessazione dell’appalto, potendo anche agire ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., secondo l’espressa previsione del primo comma dell’art. 27 c.c.n.l. La lettura data dai giudici di appello, secondo cui, in caso di ritardo da parte dell’Istituto aggiudicatario nello svolgimento del servizio, l’intero meccanismo descritto dagli artt. 24-27 cit. risulterebbe ex post inapplicabile, determina conseguenze inique e irragionevoli: l’Istituto subentrante sarebbe esentato, per effetto del proprio inadempimento, dall’obbligo di assunzione; l’Istituto uscente, dopo aver dato avvio alla procedura contrattuale e proceduto al licenziamento dei lavoratori per cambio appalto, sarebbe costretto, per fatto a sé non imputabile, a revocare i licenziamenti e procedere a licenziare per giustificato motivo oggettivo, ove non vi siano possibilità di repechage; i lavoratori sarebbero privati della garanzia occupazionale voluta dalle parti sociali, cioè del diritto all’assunzione alle dipendenze del subentrante.
3. Il motivo non può trovare accoglimento.
3.1. La Corte di merito ha accertato che il licenziamento del lavoratore era stato intimato in ragione del cambio di appalto, cioè del subentro di altro Istituto nel servizio prima appaltato all’attuale ricorrente ed ha ritenuto che tale causale potesse costituire legittima causa di recesso solo in presenza delle condizioni previste dagli artt. 24 e ss. del c.c.n.l. applicato.
3.2. Ha poi osservato come fosse onere della K. s.p.a. dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dal contratto collettivo (“l’effettivo e incondizionato subentro di un altro Istituto di vigilanza nel medesimo appalto di servizi” quale garanzia di “certezza che il preesistente rapporto di lavoro (sia) destinato a rimanere immutato nelle originarie componenti retributive, classificatorie, logistiche e temporali, fatta salva la diversa imputabilità datoriale, e senza soluzione di continuità con l’Istituto di vigilanza subentrane”) e che tale onere non era stato soddisfatto, in quanto la subentrante aveva prima rifiutato il subentro e, dopo un lungo intervallo di tempo, era subentrata nella gestione del servizio ma aveva offerto al G. una assunzione a condizioni diverse, ed esattamente con orario ridotto.
3.3. Come rilevato nella sentenza impugnata, la procedura contrattuale è stata introdotta dalle parti per “sottrarre le risoluzioni dei rapporti di lavoro in ragione dei cambi di appalto dalla applicazione delle disposizioni degli artt. 4 e 24 della legge 223 del luglio 1991, (come è dato leggersi nella nota a verbale in calce all’art. 27 cit.)”. Come è noto, infatti, l’art. 7 del D.L. 31/12/2007, n. 248, al comma 4-bis, introdotto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, ha previsto che “Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”. La disposizione ha quindi aggiunto un’ipotesi ulteriore alle eccezioni rispetto all’applicazione della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, già individuate dall’art. 24 comma 4 per i casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie, relativa al subentro nell’appalto di servizi. Allo scopo, ha però previsto un requisito: che i lavoratori impiegati siano riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, oppure che siano riassunti a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. (Solo) nella ricorrenza di tali presupposti, infatti, la situazione fattuale costituisce sufficiente garanzia per i lavoratori, risultandone la posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dall’art. 24 della L. n. 223 del 1991. Ciò risulta confermato anche dalle dichiarate finalità della disposizione, di “favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori”, che concorrono ad individuare l’ambito dell’esonero dal rispetto della procedura collettiva (v. Cass. n. 22121 del 2016; n. 20772 del 2018; n. 11409 del 2018).
3.4. Sulla base di tale cornice normativa, deve osservarsi come l’interpretazione data dalla Corte di merito appaia la sola compatibile con la lettera e la ratio delle disposizioni del c.c.n.l., che, allo scopo di garantire la continuità occupazionale, esigono, quale requisito immanente della legittimità del recesso per cambio di appalto, l’effettiva assunzione del lavoratore alle dipendenze della società subentrante, senza soluzione di continuità (come si ricava dalla previsione dell’art. 27 comma 1: “L’Istituto subentrante […] procederà all’assunzione con passaggio diretto e immediato […] con decorrenza dal primo giorno successivo alla scadenza dell’appalto stesso”) e alle medesime condizioni economiche e normative, là dove, ove si seguisse la tesi proposta dalla società ricorrente, la garanzia occupazionale risulterebbe affidata al solo dato formale della aggiudicazione dell’appalto e alla mera eventualità di un effettivo subentro, nonché al riconoscimento del diritto del lavoratore all’assunzione presso il subentrante, con inoperatività della disciplina del licenziamento nei confronti della cessante.
Ciò in netto contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte (v. Cass. n. 29922 del 2018; n. 2014 del 2020), secondo cui, ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione “ex novo” di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario.
3.5. La coesistenza delle due forme di tutela, nei confronti della società uscente e di quella subentrante, rende priva di rilievo l’osservazione di parte ricorrente secondo cui la tesi accolta dai giudici di appello determinerebbe l’esonero della subentrante dall’obbligo di assunzione e priverebbe il lavoratore del corrispondente diritto.
4) Con il secondo motivo, in via subordinata, è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza e del procedimento per vizio di ultrapetizione (violazione degli artt. 112 e/o 434 cod. proc. civ.), per avere la Corte d’appello posto a base della ritenuta illegittimità del licenziamento, qualificato come intimato per giustificato motivo oggettivo, la questione delle ragioni di individuazione del M. quale dipendente da licenziare, mai prospettata dal medesimo. Questi, rispetto all’ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo, si era limitato a dedurre il mancato adempimento all’obbligo di repechage.
4.1. Il motivo è inammissibile poiché investe un’argomentazione svolta dalla Corte d’appello solo in via ipotetica e ad abundantiam (v. Cass. n. 8755 del 2018; n. 23635 del 2010), come si ricava dal tenore letterale della motivazione sul punto (“Qualora, invece, dovesse ritenersi che il motivo del licenziamento fosse da individuare nella cessazione del servizio…”) e dal fatto che, dopo tale inciso, la motivazione della sentenza prosegue in riferimento alla argomentazione posta a fondamento della decisione, cioè il mancato rispetto della procedura di cui al contratto collettivo per il licenziamento motivato dal cambio di appalto.
5) Con il terzo motivo di ricorso, in via subordinata, è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 5, I. n. 604 del 1966; degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.; dell’art. 25 c.c.n.l.; dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.
17. Si sostiene che l’individuazione dei lavoratori destinati all’assunzione alle dipendenze della subentrante (G. e M.) è avvenuta, in ossequio al disposto dell’art. 25 c.c.n.l., in quanto i predetti erano le guardie giurate prevalentemente impiegate nel servizio appaltato (e poi cessato), nei sei mesi precedenti l’inizio della procedura, circostanza peraltro non contestata dalle parti, con le implicazioni ai fini dell’art. 115 cod. proc. civ. Ove anche si considerasse il licenziamento intimato per motivo oggettivo, l’individuazione dei lavoratori da licenziare secondo il criterio citato dimostrerebbe come la società datrice di lavoro abbia agito secondo correttezza e buona fede.
5.1 Si afferma che la K. s.p.a., in primo grado e in fase di reclamo, aveva allegato e documentato che dalla data del licenziamento e fino al dicembre 2017 (quindi per circa otto mesi), aveva effettuato solo due assunzioni a tempo determinato, non rilevanti ai fini del repechage, e che su tali circostanze non erano state mosse contestazioni da parte del lavoratore.
5.2. Il motivo è inammissibile in quanto non pertinente rispetto alla statuizione di illegittimità del recesso, per assenza delle condizioni previste dalla disciplina contrattuale, e nella parte in cui fa riferimento al licenziamento per motivo oggettivo, in ragione della inammissibilità del precedente motivo.
6) Con il quarto motivo, ancora in subordine, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la sentenza impugnata omesso di esaminare il L.U.L. prodotto dalla società datoriale, nonché i tabulati orari relativi al semestre settembre 2016 – febbraio 2017, e i dati ivi riportati, idonei a dimostrare l’impossibilità di repechage.
6.1 il motivo è inammissibile in conseguenza della inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
7) Con il quinto motivo, in ulteriore subordine, si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4, 5 e 7, I. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, I. n. 92 del 2012, e dell’art. 1227 cod. civ., per avere la Corte di merito erroneamente individuato, quale sanzione applicabile, quella prevista dal comma 4 dell’art. 18 cit., sebbene la ritenuta insussistenza del fatto non risultasse “manifesta”, dovendo al più trovare applicazione il comma 5 dell’art. 18 cit.; inoltre, perché la sentenza impugnata non ha tenuto conto, ai fini della quantificazione dell’indennità risarcitoria, del rifiuto, da parte del lavoratore, dell’offerta lavorativa dell’Istituto subentrante e, più in generale, della mancata attivazione dello stesso per la ricerca di una nuova occupazione.
7.1 n motivo non può trovare accoglimento dovendosi ritenere implicitamente affermata l’esistenza dei requisiti di cui all’art. 18, commi 7 e 4, cit., di manifesta insussistenza del fatto, per essere le condizioni legittimanti il licenziamento per cambio appalto “pacificamente non […] realizzatesi alla data del 14.4.2017) e per vero neppure nei successivi trenta giorni)”. Ai fini del calcolo dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, commi 4 e 7 cit. non rilevano gli elementi di cui si assume l’omesso esame.
8) Con il sesto motivo è dedotto, sempre in subordine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalla ricorrente ai fini della prova dell’aliunde perceptum (interrogatorio formale del lavoratore, richiesta di informazioni all’Inps, al Ministero del Lavoro e all’Agenzia delle Entrate).
8.1. Il motivo come formulato è inammissibile in quanto investe non l’omesso esame di un fatto storico determinato (peraltro la sentenza contiene una statuizione sul punto: “non risulta che il reclamante sia attualmente occupato”) ma, in sostanza, la mancata ammissione di mezzi istruttori, non suscettibile di esame in sede di legittimità, dovendo ribadirsi l’onere, del datore di lavoro che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’allunde perceptum o percipiendí, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda (Cass. n. 22679 del 2018; n. 9616 del 2015; n. 23226 del 2010).
Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto.
9. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza, e liquidate come in dispositivo.
10. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avvocato dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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