CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2021, n. 37360
Tributi – Determinazione del reddito d’impresa – Costi sostenuti per la fruizione di prestazioni rese in outsourcing dalla holding – Deducibilità – Inerenza – Accordo di cost sharing – Insufficiente – Possibilità di determinare i criteri di ripartizione – Necessità
Rilevato che
1. con sentenza n. 3787/30/14 del 09/07/2014 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP) n. 10/02/12, la quale aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da A.S.P.I.C.A. s.r.l. in liquidazione (di seguito Aspica) avverso l’avviso di accertamento per IRAP relativa all’anno 2005;
1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR e per quanto ancora interessa in questa sede, l’Agenzia delle entrate aveva contestato la deducibilità di alcuni costi per spese legali, in quanto riferentisi a prestazioni rese in diversi anni d’imposta, nonché di costi riaddebitati dalla società capogruppo W.I. s.p.a. per difetto di inerenza;
1.2. la CTR respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate evidenziando che: a) correttamente i costi per spese legali erano stati imputati all’anno d’imposta 2005 in quanto «poiché le prestazioni professionali all’epoca non dovevano essere preventivamente pattuite, il quantum non era oggettivamente determinabile»; b) per quanto riguarda «i costi sostenuti per la fruizione di prestazioni rese in outsourcing di gruppo», l’Amministrazione finanziaria aveva «l’onere di contestare specificamente la circostanza dell’assenza da parte della società beneficiaria di strutture idonee alla messa in opera di tali prestazioni in autonomia» e, nel caso di specie, i costi oggetto di recupero, sostenuti dalla holding, erano «correlati e necessari all’esercizio dell’attività della società, in quanto la stessa non disponeva di un’organizzazione interna in grado di effettuare i servizi resi dalla capogruppo»;
2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
3. A.S.P.I.C.A. resisteva con controricorso;
4. interveniva, altresì, in giudizio il liquidatore giudiziale di Assunzioni Servizi Pubblici Impianti Costruzioni Appalti – A.S.P.I.C.A. s.r.l. in concordato preventivo con cessione di beni (di seguito A.S.P.I.C.A. in concordato), depositando controricorso unitamente ad A.S.P.I.C.A.
Considerato che
1. va pregiudizialmente evidenziata l’inammissibilità dell’intervento spiegato da A.S.P.I.C.A. in concordato, atteso che, come noto, l’intervento di terzi che non hanno partecipato alle pregresse fasi di merito è inammissibile (Cass. n. 20565 del 07/08/2018; Cass. n. 7930 del 18/04/2005), fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta, ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa (Cass. n. 25423 del 10/10/2019);
1.1. nel caso di specie, il giudizio si è svolto nei soli confronti della società in liquidazione e, pertanto, correttamente l’Agenzia delle entrate ha chiamato in giudizio unicamente A.S.P.I.C.A. che, del resto, è la sola legittimata alla partecipazione al presente giudizio;
1.2. invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il commissario liquidatore non ha la legittimazione ad agire o resistere, in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, potendo, al più, spiegare intervento, in quanto la legittimazione processuale spetta all’imprenditore sottoposto al concordato preventivo, che, invero, prosegue l’esercizio dell’impresa durante lo svolgimento della procedura ed è, quindi, soggetto passivo d’imposta anche in relazione agli obblighi di natura tributaria maturati dopo l’ammissione alla procedura concordataria e dopo l’omologazione della relativa proposta» (da ultimo, Cass. n. 18823 del 28/07/2017; conf. Cass. n. 17606 del 04/09/2015; Cass. n. 24683 del 19/10/2017);
1.3. A.S.P.I.C.A. in concordato, pertanto, non è nemmeno legittimata all’intervento e, conseguentemente, l’evidenziata disintegrità del contraddittorio che lo avrebbe reso necessario non sussiste;
2. sempre in via pregiudiziale, deve ritenersi l’ammissibilità del ricorso, non sussistendo, in via generale, un divieto di riproposizione, in sede di impugnazione, delle argomentazioni proposte nei gradi precedenti, né si può ritenere che vi sia stata – nel contesto del ricorso – una pedissequa riproduzione degli atti processuali tale da rendere incomprensibili le ragioni per le quali viene chiesta la riforma della sentenza impugnata;
3. con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la ratio decidendi relativa alla prima ripresa (indeterminabilità dei costi per spese legali) implica la soluzione di una questione di diritto nuova, sottoposta all’attenzione della CTR solo in grado di appello;
3.1. in particolare, si sostiene che: in primo grado sarebbe stato affermato che le prestazioni degli avvocati sono state ultimate nell’anno 2005 (data in cui è stata emessa la relativa fattura) e non già negli esercizi precedenti; solo in secondo grado si sarebbe precisato che i costi non sono determinabili; deduzione nuova, quest’ultima, che sarebbe stata accolta dalla sentenza impugnata;
4. il motivo è infondato;
4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio» (Cass. S.U. n. 15408 del 15/10/2003; conf. Cass. n. 15101 del 10/09/2012; Cass. n. 15506 del 23/07/2015);
4.2. nel caso di specie, la domanda proposta da A.S.P.I.C.A. riguarda, in via generale, la deducibilità dei costi per spese legali in ragione dell’applicazione del principio di competenza di cui all’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR);
4.3. la circostanza che la deducibilità consegua alla ultimazione della prestazione dei difensori nell’anno 2005 ovvero alla impossibilità di quantificare i costi negli esercizi precedenti (rilievo proposto in appello in via gradata dalla società contribuente e accolto dalla CTR) non modifica la pretesa sostanziale di A.S.P.I.C.A., derivante dalla corretta applicazione del principio di competenza;
5. con il secondo motivo di ricorso si contesta, sempre in relazione alla medesima ripresa, violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR avrebbe addossato all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la data di determinabilità del costo o, comunque, avrebbe tratto dalla circostanza che le prestazioni legali non debbano essere preventivamente pattuite l’arbitraria inferenza che i costi non fossero determinabili in data antecedente all’emissione delle fatture;
6. il motivo è inammissibile;
6.1. come noto, i costi afferenti a prestazioni di servizi devono essere imputati all’esercizio in cui le prestazioni sono state ultimate, salvo che non ne sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, sicché incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova dell’anno di ultimazione delle prestazioni e sul contribuente la prova dell’anno in cui i costi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare e che gli stessi non lo erano alla chiusura dell’esercizio di ultimazione della prestazione ovvero alla scadenza dei termini per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi (Cass. n. 1107 del 18/01/2017);
6.2. ciò premesso in termini generali, la prestazione professionale dell’avvocato è sicuramente una prestazione di servizi ed ha carattere unitario, con la conseguenza che la relativa spesa deve essere imputata non già all’esercizio in cui la prestazione è stata eseguita ma a quello nel quale è stata ultimata e, in caso di più gradi di giudizio, l’ultimazione coincide con la emanazione della pronuncia che ha concluso il singolo grado (Cass. n. 24003 del 26/09/2019);
6.3. nel caso di specie, la CTR ha affermato che nell’esercizio 2004 la prestazione professionale, sebbene certa, non era oggettivamente determinabile in quanto all’epoca il compenso previsto per detta prestazione non doveva essere preventivamente pattuito;
6.4. peraltro, prima di concludere per la determinabilità della prestazione già nell’anno 2004, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto quanto meno dedurre che la prestazione professionale oggetto di accertamento sia stata quanto meno ultimata – con specifico riguardo al grado, ove riguardante un giudizio – nel menzionato anno;
6.4.1. poiché la deduzione manca, non può inferirsi la violazione di legge da parte della CTR, che ha imputato i costi al momento dell’emissione della fattura;
6.5. in ogni caso e sotto altro profilo, la CTR – al di là della correttezza letterale delle affermazioni effettuate – compie un accertamento di merito, concernente la determinabilità dei compensi, che non può essere posto in discussione con la proposizione di una censura di violazione di legge;
6.6. invero, ciò che la difesa erariale contesta non è tanto la corretta applicazione del criterio ricavabile dall’art. 109 TUIR, quanto l’insufficienza motivazionale della sentenza impugnata, che, nel compiere il suo accertamento, ha omesso di valutare alcune circostanze decisive;
7. con il terzo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziandosi, con riferimento alla ripresa concernente i costi addebitati ad A.S.P.I.C.A. dalla controllante, che la motivazione addotta dalla CTR sarebbe apodittica e, pertanto, meramente apparente;
8. con il quarto motivo di ricorso si contesta, in relazione alla medesima ripresa, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., dell’art. 109 TUIR e dei principi generali in materia di inerenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la sentenza impugnata ha sostanzialmente invertito l’onere della prova in materia di inerenza dei costi, onere gravante sulla società contribuente;
9. con il quinto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., evidenziandosi che la semplice partecipazione ad un accordo di cost sharing non implica che le spese siano inerenti;
10. i tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto involgenti la medesima questione, vanno disattesi;
10.1. deve prima di tutto ritenersi l’infondatezza della contestazione di motivazione apparente;
10.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019);
10.3. nel caso di specie, la CTR ha prima accertato quali siano i costi imputati alla società contribuente dalla capogruppo (affitti e spese condominiali in Roma; stampati e cancelleria; congressi e costi pubblicitari; contratti consulenti a progetto; costi automobilistici; spese telefoniche) e ha quindi affermato che detti costi, sostenuti dalla controllante, sono correlati e necessari all’esercizio dell’attività di A.S.P.I.C.A., «in quanto la stessa non disponeva di una organizzazione interna in grado di effettuare i servizi resi dalla capogruppo»;
10.3.1. nella prospettazione della CTR detti costi sono, pertanto, inerenti all’attività imprenditoriale svolta dalla società contribuente e oggettivamente determinabili, in quanto dalla documentazione prodotta «è stato possibile determinare i criteri di ripartizione delle diverse tipologie di costi»;
10.4. trattasi, dunque, di motivazione logica e niente affatto apparente che, peraltro, resiste anche alle ulteriori contestazioni di violazione di legge prospettate dalla difesa erariale;
10.5. è vero, infatti, che l’affermazione per la quale gravi sull’Amministrazione finanziaria un onere di contestazione specifica dei costi comuni redistribuiti dalla controllante alla controllata è errata in diritto, ma – come più sopra evidenziato – la sentenza impugnata ha dimostrato di avere esaminato le prove offerte dalla società contribuente e correttamente valutato il requisito della inerenza dei costi in quanto afferenti all’attività imprenditoriale (sul concetto di inerenza si veda funditus Cass. n. 18904 del 17/07/2018);
10.6. né emerge che la legittimità della ripartizione dei costi sulla controllata sia la conseguenza del semplice accordo di cost sharing, atteso che i costi oggetto di tale accordo sono stati specificamente individuati dalla CTR, che li ha ritenuti inerenti e vantaggiosi, nonché ripartiti sulla base di criteri ritenuti esplicitati nella documentazione prodotta e ritenuti congrui;
10.7. in buona sostanza, al di là di alcune affermazioni della CTR erronee in diritto, l’accertamento compiuto è, nella sostanza, conforme a legge e le eventuali carenze dello stesso, pur denunciate dalla difesa erariale, implicano una rivalutazione di merito del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità, quanto meno attraverso la proposizione di censure di violazione di legge;
11. in conclusione, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione di A.S.P.I.C.A. in concordato, con compensazione tra le parti delle spese di lite in ragione della particolarità della questione di diritto affrontata; nei confronti di A.S.P.I.C.A., il ricorso va, invece, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 43.664,00;
11.1. il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile la costituzione di ASPICA s.r.l. in concordato preventivo e compensa tra la stessa e l’Agenzia delle entrate le spese di lite; rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di A.S.P.I.C.A. s.r.l. in liquidazione, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 4.100,00, oltre ad euro 200,00 per spese borsuali, alle spese generali e agli accessori di legge.