CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2022, n. 35080
Cooperativa Sociale – Natura subordinata dei rapporti di lavoro – Configurabilità – Illecito amministrativo – Ordinanza ingiunzione – Legittimità
Rilevato che
1. con sentenza 11 marzo 2021, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’opposizione della Cooperativa Sociale Impresa S.L. all’ordinanza con la quale la Direzione Territoriale del Lavoro di Piacenza aveva ingiunto il pagamento della somma di € 18.960,00 per tre illeciti di natura amministrativa relativi alla natura del rapporto lavorativo instauratosi con 17 lavoratrici: in accoglimento dell’appello della D.T.L. e la conseguente riforma della sentenza di primo grado, che aveva invece annullato l’ordinanza ingiunzione opposta dalla Cooperativa, per insussistenza degli illeciti amministrativi contestati, avendo accertato la natura autonoma ed occasionale dei rapporti di lavoro;
2. senza alcuna motivazione disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per inesistenza della sua notificazione (a soggetto diverso, in quanto nello studio di difensore in Milano indicato insieme con il difensore di Piacenza che nel ricorso introduttivo del giudizio aveva eletto domicilio nel proprio studio), la Corte territoriale ha ritenuto, contrariamente al Tribunale sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato oggetto di sanzione;
4. con atto notificato il 10 settembre 2021 la società ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. la ricorrente deduce nullità del procedimento d’appello per insanabile vizio di notificazione, in quanto inesistente per essere avvenuta nei confronti di un soggetto (difensore estraneo, presso il quale la parte non aveva eletto domicilio) diverso dal destinatario, privo di alcun collegamento con il giudizio (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. il requisito del “collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario non rientra tra gli elementi costitutivi essenziali (rinvenibili nell’attività di trasmissione, svolta da soggetto qualificato, dotato ex lege del relativo potere, nonché nella fase di consegna, intesa come raggiungimento di uno degli esiti postivi dell’atto, in forza dei quali lo stesso possa considerarsi ex lege eseguito), idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, integrandone la fattispecie legale minima; sicché, il requisito in parola si colloca al di fuori del perimetro strutturale della notificazione e la sua assenza determina, non già l’inesistenza, ma la nullità dell’atto processuale, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione dell’intimato o la sua rinnovazione, spontanea o su ordine del giudice (Cass. 21 luglio 2021, n. 20840, in specifico riferimento alla notifica dell’atto di appello effettuata presso l’originario difensore revocato, anziché presso quello nominato in sua sostituzione; Cass. 24 gennaio 2018, n. 1798; Cass. s.u. 20 luglio 2016, n. 14916);
3.1. nel caso di specie, la notificazione, sia pure avvenuta a difensore con studio in Milano, anziché a quello in Piacenza già domiciliatario in primo grado e nuovamente officiato in grado d’appello – posto che il “collegamento” (o “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario non rientra tra gli elementi costitutivi essenziali – è nulla, sicché, per effetto della costituzione della Cooperativa in giudizio, è stata sanata ai sensi dell’art 164, terzo comma c.p.c.;
4. la ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 2697 c.c. e degli artt. 115, 116 c.p.c., per erronea qualificazione dei rapporti lavorativi sanzionati dalla D.T.L. come subordinati, nonostante l’assenza degli elementi costitutivi di esercizio di potere direttivo, né di controllo, né disciplinare, anziché di collaborazione libero professionale, sulla base delle dichiarazioni rese dalle lavoratrici in sede ispettiva non confermate in giudizio (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1 l. 339/1958, 20, terzo comma, lett. i-bis) d.lgs. 276/2003, per inconfigurabilità di un rapporto di lavoro domestico, non avendo le lavoratrici prestato attività a beneficio dei bisogni personali del datore di lavoro, non potendone costituire strumento di esercizio della sua attività professionale (terzo motivo);
5. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
6. la fattispecie, in quanto di intermediazione della cooperativa sociale nella collaborazione con le famiglie richiedenti il servizio di lavoratrici straniere quali addette alla cura di persone anziane o disabili, è riconducibile al lavoro domestico, caratterizzato, come appunto nel caso di specie, da una prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare, confermato dall’art. 1 d.p.r. 1403/1971 – di disciplina dell’obbligo delle assicurazioni sociali nei confronti dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari – nel riferimento, ai fini di individuazione dei lavoratori cui esso è applicabile, allo svolgimento di mansioni finalizzate al funzionamento della vita familiare (Cass. 1 aprile 2005, n. 6824; Cass. 30 agosto 2018, n. 21446): lavoro domestico esercitato in regime di somministrazione, ai sensi dell’art. 20, terzo comma, lett. i- bis) d.lgs. 276/2003 (dal terzo al quinto capoverso di pg. 3 della sentenza), che integra una particolare forma di subordinazione, giuridicamente ricorrente tra Cooperativa somministrazione e lavoratrici somministrate (Cass. 8 marzo 2019, n. 6870; Cass. 6 dicembre 2019, n. 31889, ai fini di individuazione del soggetto responsabile per i danni cagionati a terzi da fatti illeciti compiuti dal lavoratore nello svolgimento della missione);
6.1. tale configurazione giuridica, peraltro corretta, è stata negata dalla Cooperativa ricorrente in modo meramente apodittico ( “se si afferma che il rapporto intercorreva tra la Cooperativa e le lavoratrici, non potranno trovare applicazione, per quanto sopra evidenziato, le disposizioni della suddetta legge né, tanto meno, quelle di cui all’art. 20 comma 3 – lettera i-bis) D.lgs 276 / 2003”: ultimi quattro alinea del penultimo capoverso della parte argomentativa di pg. 26 del ricorso), invece concentratasi, con il secondo motivo, sulla più tipica e generale distinzione tra lavoro subordinato in senso lato e attività autonoma professionale, poco pertinente nel caso di specie;
6.2. le censure si risolvono, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e di ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 3 al terzo di pg. 5 della sentenza) a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
7. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.