CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 ottobre 2019, n. 27637
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento redditi di capitale – Utili extra-bilancio distribuiti derivanti da omessa contabilizzazione di ricavi accertati nei confronti della società
Ritenuto in fatto
1. T. P. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio di Fano recuperava a tassazione l’omessa dichiarazione di redditi di capitale, accertando per l’anno 2002 maggiori imposte ai fini Irpef, addizionale comunale e regionale e relative sanzioni, quali utili extra-bilancio che l’Ufficio aveva ritenuto distribuiti in quanto derivanti da omessa contabilizzazione di ricavi accertati nei confronti della società T. s.r.l., di cui la contribuente risultava socia con la quota del 20% del capitale sociale.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro rigettava il ricorso della contribuente, il cui appello interposto dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Ancona veniva ugualmente rigettato con sentenza n. 32/3/12, pronunciata l’11.10.2011 e depositata il 5.6.2012.
3. Avverso tale decisione la T. proponeva ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.
4. L’agenzia delle entrate, ritualmente intimata, non ha presentato alcun controricorso e si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c.
5. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza camerale del 13 giugno 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, artt. 112, 115, 116, 132 c.p.c. e 36 D.Lgs. 546/92 sotto il profilo di cui ai n.ri 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.”, lamentando, in particolare, che la C.T.R. non aveva in alcun modo considerato che l’acquisto del 20% delle quote societarie della T. s.r.l. era stato dichiarato inefficace dal giudice civile in quanto affetto da simulazione assoluta, talché, essendo la propria partecipazione societaria meramente virtuale, si rivelava infondata la presunzione di percezione di utili della società medesima. Lamenta altresì che l’ufficio non aveva allegato alcunché da cui si potesse argomentare che i maggiori redditi accertati in capo alla società di cui era formalmente socia, erano stati distribuiti ai soci in proporzione alle rispettive quote e che questa società fosse a ristretta base partecipativa.
2. Con il secondo motivo deduce “violazione e falsa applicazione del principio della domanda, ex artt. 99, 112, 329, 342, 345 c.p.c., 18 lett. d), 19, 57 e 58 D.Lgs. 546/92 ed omessa motivazione sotto il profilo di cui ai n. 4 e 5 art. 360 c.p.c.”, lamentando che la C.T.R. aveva accolto l’assunto dell’Ufficio secondo cui, malgrado l’assenza di oggettivi riscontri, nel corso di una verifica effettuata presso la soc. T. (ancora in corso dì notifica) avrebbe accertato ricavi extracontabili per 714.664 euro che sarebbero stati distribuiti ai soci secondo le rispettive quote di partecipazione, così incorrendo in un palese vizio di ultrapetizione in quanto non avrebbe potuto pronunciarsi su di una questione diversa dalla quella posta alla base dell’atto impositivo.
3. Con il terzo motivo deduce “contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio sotto il profilo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.”, lamentando che la C.T.R. aveva ritenuto provato – malgrado si trattasse di accertamento non completato – che la T. s.r.l. avesse conseguito utili per 714.664 euro e che detto importo fosse stato distribuito tra i soci in proporzione alle rispettive quote.
4. Va innanzitutto disattesa la doglianza della ricorrente relativa alla violazione dell’art. 112 c.c. per omesso pronunciamento della C.T.R. in ordine all’asserita inefficacia dell’acquisto da parte della T. delle proprie quote sociali (avvenuto nel 2001), avendone il Tribunale di Pesaro, Sez. dist. di Fano, accertato la simulazione assoluta all’esito seguito di un giudizio promosso nel 2009 (come da sentenza allegata in atti); doglianza sulla quale si fondano tutte le residue argomentazioni della ricorrente. Detta censura è stata correttamente disattesa dalla C.T.R. con implicito giudizio di irrilevanza e di inopponibilità all’Agenzia delle Entrate che era rimasta estranea al giudizio de quo. Invero, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155 del 13/10/2017; n. 29191 del 6/12/2017; n. 5351 del 8/3/2007)
5. Per il resto le residue doglianze della ricorrente, suscettibili di trattazione unitaria, vanno rigettate.
5.1. La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in ipotesi di società di capitali a ristretta base partecipativa, come nel caso di specie, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci di eventuali utili extracontabili (Cass. 18042/2018; 24534/2017; 18032/2013; 18640/2008). Detta presunzione ricorre anche quando essa derivi dalla quantificazione dei profitti contenuta in altra sentenza, pronunziata nei confronti della società, non ancora passata in giudicato (Cass. n. 15824 del 29/7/2016; Cass. n. 18042 del 9/7/2018; Cass. n. 1947 del 24/1/2019).
5.2. La presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale infatti non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ritrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale (Cass. n. 15824 del 2016).
5.3. La suddetta presunzione può ovviamente essere vinta dal socio dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass. n. 1932 del 2/2/2016) e resta salva in ogni caso la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (Cass. n. 18032 del 24/7/2013; n. 24572 del 18/11/2014; n. 15828 del 29/7/2016).
5.4. Il socio, a fronte di un avviso di accertamento emesso a carico della società divenuto definitivo, non ha titolo per contestare nel merito, in sede di giudizio sull’avviso di accertamento a lui notificato, ai fini Irpef, in virtù della presunzione sopra indicata, l’accertamento operato nei confronti della società; ben può tuttavia vincere tale presunzione attraverso la prova che i maggiori utili extracontabili non sono stati da lui percepiti, in quanto non oggetto di distribuzione, ovvero che sono stati accantonati o reinvestiti dalla società. (Cass. n. 15828 del 29/7/2016).
6. Nel caso in esame, la Commissione regionale non si è discostata dai principi enunciati da questa Corte, avendo ritenuto che dovesse presumersi l’assegnazione alla odierna contribuente, quale socia della società di capitali, degli utili extra-bilancio accertati in capo alla società, sicché non è configurabile né il vizio dì omessa pronuncia, né quello di mancanza di motivazione, considerato che le argomentazioni poste a fondamento della decisione evidenziano che i giudici di appello hanno ritenuto del tutto legittimo l’accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate, stante la presenza di una ristretta base partecipativa che lasciava presumere la sua diretta partecipazione alle gestione aziendale e la sua diretta conoscenza delle vicende societarie, in assenza di prova contraria non offerta dall’odierna ricorrente.
7. Vanno poi disattese le censure della ricorrente di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto intrinsecamente inammissibili laddove prospetta genericamente i vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Non è, infatti, concepibile che una motivazione, quanto al medesimo punto, sia contemporaneamente mancante, carente ed illogica, atteso che detti vizi, essendo alternativi, non possono concorrere tra di loro ed è onere della parte ricorrente precisare quale sia, in concreto, il vero vizio della sentenza d’appello, non potendo tale scelta rimettersi alla Corte (Cass. n. 4786 dell’ 11.3.2016).
8. Per il resto, le residue doglianze, prive della necessaria specificità, si esauriscono in una generica prospettazione di vizi motivazionali. Invero il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità (art. 366 cod. proc. civ.), l’indicazione dei motivi per i quali si richiede la cassazione; motivi, che per costante giurisprudenza devono avere i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.
9. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 3.500,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a , quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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